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Infolampo: Futuro – Armamenti

U.S. Soldiers from 4th Battalion, 23rd Infantry Regiment arrive at an Afghan National Police checkpoint in Helmand province, Afghanistan, Jan. 15, 2010. (U.S. Air Force photo by Tech. Sgt. Efren Lopez/Released)

Chi calcola il futuro?
È questa la domanda che deve precedere ogni idea di innovazione per aiutarci a rovesciare la retorica
della Silicon Valley, secondo cui la tecnologia sarebbe un processo neutrale. Dobbiamo stare attenti,
perché non è così
di Michele Mezza
L’articolo che segue è tratto da Idea Diffusa, l’inserto della Cgil sul lavoro 4.0 a cura di Rassegna Sindacale. Il nuovo numero –
che si può scaricare qui – viene presentato oggi (9 luglio) in occasione di un evento organizzato dalla confederazione di corso
d’Italia a Roma.
In una scena del romanzo appena pubblicato in Italia dalla scrittrice e saggista scientifica Ilona Jerger,
intitolato E Marx tacque nel giardino di Darwin, il grande
scienziato dell’evoluzionismo spiega che “la bellezza della
natura è nello sguardo dell’osservatore”. Indirettamente gli
risponde l’autore de Il Capitale e soprattutto dei Grundrisse, il
quale ha vissuto realmente per molti anni a meno di venti
chilometri dall’autore de L’Origine della specie – senza
incontrarlo realmente mai – che “è dall’anatomia dell’uomo
che si ricava quella della scimmia”.
La prendo apparentemente alla larga, perché la suggestione di
un incontro mai avvenuto fra i due giganti del materialismo
scientifico mi aiuta a fissare meglio il punto di un
ragionamento che propongo come contributo alla nostra
discussione: l’innovazione in sé non esiste, esistono i rapporti
sociali che si determinano ed esprimono mediante le forme tecnologiche. È di questo reale contenuto del
mondo digitale – gli occhi dell’osservatore – che dovremmo meglio parlare, più che arrovellarci su questo
o quel dispositivo tecnologico, per capire come tutelare diritti e bisogni di tutti, proprio perché è
l’anatomia più avanzata che ci permette di capire le fasi precedenti o, come avrebbe detto Di Vittorio,
“solo se vinciamo contro i padroni più padroni, possiamo tutelare anche i cafoni”.
Sono ormai passati quasi 35 anni dal famoso spot del MC 2, girato da Ridley Scott, considerato l’atto di
nascita della computerizzazione dei comportamenti sociali, e credo sia importante che il ramificato
sindacato italiano decida di reagire alla retorica della Silicon Valley che ci tramanda l’innovazione come
fenomeno uniforme e neutralmente positivo. Abbiamo sotto i nostri occhi il più spettacolare processo di
ristrutturazione che si sia mai concentrato nello spazio di una sola generazione, trasformando,
antropologicamente, l’idea stessa del produrre e del pensare in una sequenza di algoritmi che rende ormai
realizzabile il sogno di Pitagora: calcolare il futuro. Ma chi è il calcolato e chi il calcolante? Questa è la
domanda che oggi deve precedere ogni idea di innovazione.
Tutti i principali comportamenti umani – leggere, informarsi, pensare, ascoltare, vedere, parlare,
comunicare e trasformare la natura – sono oggi mediati e formattati da un sistema di calcolo che in base a
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Uscire

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Boom di spese militari e moltiplicazioni di eserciti
europei
Il 2018 si annuncia anno record di spesa militare in Europa, con o senza gli F35. Oltre a Nato e PeSco è
nato, su idea di Macron, lo IEI, “force de frappe” che coinvolge 9 paesi tra cui la Gran Bretagna post
Brexit ma per ora non l’Italia e Visegrad.
di Rachele Gonnelli
Con le avvisaglie delle ultime settimane è molto probabile che il 2018 sarà un anno record per le spese
militari. La Gran Bretagna ha deciso nei giorni scorsi di portare al 3 per cento sul Pil le sue spese per il
comparto Difesa e la Germania, al contrario della Spagna, ha accettato di adeguarsi al 2 per cento
richiesto a gran voce dalla Nato ma il presidente americano Donald Trump non è soddisfatto e anzi, in
previsione del vertice dell’11 e 12 luglio, tira le orecchie ad Angela Merkel dicendo che Berlino starebbe
addirittura “minacciando la sicurezza atlantica” e che per quanto lo riguarda “la pazienza con la Germania
sta finendo”.
Per avere dati abbastanza definitivi e comparati delle spese belliche nel 2018 bisognerà aspettare il
rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) disponibile all’inizio dell’anno
prossimo. Del resto non sappiamo ancora se il nuovo governo italiano vorrà confermare, come sembra, o
meno il programma di acquisto dei caccia F35, dopo che questo impegno era già sparito nel programma
con cui il M5S si è presentato alle elezioni del 4 marzo.
Nel frattempo si procede con una moltiplicazioni di voci di spesa e di organizzazioni da finanziare. Va in
questo senso la lettera d’intenti firmata da nove paesi europei lo scorso 25 giugno per la creazione, su
base volontaria, di uno strano ibrido militare che va sotto il nome di IEI, cioè – e questa volta dal francese
perché di una idea francese si tratta – “initiative européenne d’intervention”. Si tratterebbe di una forza
d’intervento rapido europea da utilizzare per la difesa comune in casi di attacco di un paese, per
evacuazioni di massa, per sostenere le protezioni civili alle prese con catastrofi naturali e terremoti, ma
soprattutto, a quanto sembra, come strumento strategico per uniformare e omogeneizzare metodiche e
competenze degli Stati maggiori e delle strutture di intelligence.
La lettera d’intenti per il momento è stata firmata da: Germania, Spagna, Belgio, Danimarca, Francia,
Olanda, Portogallo ed Estonia. Ed ha fatto rumore nei circoli degli analisti della Difesa in Europa il fatto
che l’Italia, con il nuovo governo giallo-verde appena insediato, si sia riservata di decidere se aderire o
meno in un secondo tempo. Gli analisti spiegano questo saltare un giro con le rivalità ancora molto forti
tra Italia e Francia sulla vicenda dei migranti oppure con i residui della vecchia tensione tra Roma e Parigi
sui cantieri Saint Nazare e la vicenda StxFincantieri, contrasto che però, a ben vedere, è stato appianato.
La rivalità è infatti da ricondurre piuttosto alla tensione non dichiarata ma fortissima sugli interessi
petroliferi in Libia tra Total e Eni, e quindi tra un Macron che appoggia il generale cirenaico Haftar e
un’Italia che da anni privilegia come unico partner il rivale: il premier di Tripoli Fayez Serraj.
In ogni caso i nove Stati che hanno sottoscritto il Memorandum of understanding hanno risposto
affermativamente a una chiamata fatta direttamente da Emmanuel Macron che risale a quasi un anno fa e
che nel calendario fissato non si concretizzerà prima del prossimo settembre.
Macron aveva parlato per la prima volta di questa cooperazione rafforzata sul piano militare – ad
adesione libera, volontaria – in quello che forse è stato il suo più storico e lungo discorso sull’Europa,
pronunciato alla Sorbona il 26 settembre 2017.
Nel Memorandum è esplicitato che l’iniziativa di intervento rapido sarà complementare e non concorrente
con la Nato. Così come è stato esplicitato più volte che non dovrà sovrapporsi con il dispositivo di PeSco,
la cooperazione strutturata permanente sul piano militare che coinvolge 23 dei 27 Paesi dell’Unione
europea, embrione di quello che dovrebbe essere un esercito europeo.
Macron però alla Sorbona è stato molto più chiaro sugli intenti, al di là delle rassicurazioni. Molto più
eloquente anche della sua ministra Florence Parly che ha seguito fin qui i negoziati spiegando che questa
specie di force de frappe europea si pone due obiettivi: coinvolgere la Gran Bretagna – e la sua Raf –
nella difesa europea nonostante la Brexit e superare le lentezze e l’eccesso di burocratizzazione nelle
decisioni di politica estera e militare di di Bruxelles.
Nel discorso alla Sorbona il presidente francese ha parlato diffusamente – da filosofo qual è all’origine –
delle “passioni tristi” (citazione da L’epoca delle passioni tristi di Miguel Benasayag e Gérard Schmit,
Feltrinelli 2013) che attanagliano i popoli europei alle prese con “le burrasche della mondializzazione”,
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