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Al voto, al voto!

Sessanta giorni e siamo alla casella di partenza. Una nuova classe politica, alla prima vera prova si infrange miseramente sugli scogli della presunzione, delle banalità strategiche, della pochezza di idee, ma soprattutto della consapevolezza del duro lavoro atteso al governo. Proprio questo ultimo elemento fa si che si valorizzino tutti gli elementi in grado di allontanare, da ognuno le responsabilità di governo, invocando dai più il ricorso ad un nuovo voto nell’immediato, anche senza cambiare questa sciagurata legge elettorale. Ci appare inutile in questa fase fare la conta di chi abbia commesso più errori, abbia detto più facezie o abbia alzato volontariamente l’asticella delle proprie rivendicazioni allo scopo di rendere sempre più difficile il raggiungimento di un accordo. Un accordo apparso ai più dall’inizio assolutamente fuori dalla portata di forze politiche profondamente diverse, con politiche spesso antitetiche, ma obbligati da questa legge elettorale a trovare una sintesi. Una sintesi mai trovata in quanto nessuno ha rinunciato alle proprie idee di fondo, confliggenti con quelle dei potenziali alleati, o con quanti hanno ritenuto giusto o sbagliato di ritirarsi a priori da responsabilità governative. Così la Lega forte dell’onda lunga che la spinge verso percentuali mai osate a parole accarezza l’accordo con il M5s, ma nei fatti e nei comportamenti quotidiani lo rifugge, non volendo ruoli subalterni e rivendicando un ruolo come coalizione, mentre il M5s intende colloquiare solo con la Lega e non con l’intero centro destra. Dall’altro lato, si fa per dire, del campo politico, il Pd ignora tutto e tutti, al massimo potrà essere disponibile per un appoggio esterno o per una coalizione di governo molto ampia e dal respiro limitato ad alcune riforme urgenti. Un labirinto inestricabile, fatto di parole, solo parole, assenza di strategia, ma soprattutto di senso di responsabilità istituzionale. Ognuno pensa solo a se stesso, al proprio tornaconto elettorale e non c’è vergogna ad auspicare una nuova tornata elettorale intesa come un regolamento di conti, “l’elettorato saprà punire quelle forze che hanno impedito il cambiamento” dixit Di Maio. E’ certo Di Maio di quale cambiamento auspicano gli italiani? Nelle votazioni per gli incarichi istituzionali, presidenze, vice presidenze, segretari d’aula, questori, presidenti di commissione, Lega e M5s non hanno avuto comportamenti differenti rispetto ai parti della prima, della seconda Repubblica, ed allora perché invocare di nuovo le urne se dal popolo arriva un anelito di cambiamento, senza poi attuare un cambio di passo effettivo. Qual è la differenza oggi, a parte le qualità culturali e lo spessore politico, tra Di Maio, Salvini, Renzi e un Forlani, un Cossiga  o un Occhetto? Un senso dello Stato e sicuramente il voler rifuggere quasi sempre da alchimie e furbizie strumentali in danno del Paese, oggi invece il Paese passa costantemente in secondo piano e non vi è neppure il senso del ridicolo o l’umiltà di comprendere il rischio e la gravità di un nuovo ricorso alle urne in tempi brevi, tale comunque da sancire definitivamente l’inconsistenza di queste forze politiche, incapaci di tramutare il consenso elettorale in potenza rigeneratrice delle istituzioni.

ARES