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Infolampo: Diseguaglianze – Social pillar

La crescita c’è, ma le disuguaglianze aumentano
Il Rapporto 2017 sulla qualità dello sviluppo realizzato dalla Fondazione Di Vittorio e da Tecnè: sale il
Pil, ma la forbice sociale si allarga, con la ricchezza sempre più concentrata. Camusso: la qualità della
ripresa non è all’altezza delle necessità
Nonostante la crescita del Pil, la qualità dello sviluppo del Paese nel 2017 si ferma agli stessi livelli del
2016. Ciò è determinato dalla permanenza di una grande area di povertà e da un’ancora più grande area di
vulnerabilità economica e sociale. Detto in altri termini:
crescono le diseguaglianze e la forbice sociale si allarga, con la
ricchezza che tende a concentrarsi nella popolazione ad alto
reddito. Ma non solo. Ad aumentare sono anche le distanze
territoriali tra il Nord (in particolare il Nord-Est) e il resto del
Paese, mentre cala la fiducia economica e le attese per i
prossimi 12 mesi e peggiora l’indice che misura l’equità
economica. È la fotografia che emerge dal “Rapporto 2017
sulla qualità dello sviluppo in Italia” (qui il pdf integrale)
elaborato dalla Fondazione Di Vittorio e dall’Istituto Tecnè.
Per quanto riguarda la fiducia economica, rispetto a un anno fa,
a fronte del 5% che ritiene migliorata la condizione economica
della propria famiglia, c’è un 28% che l’ha vista ulteriormente
peggiorare. E l’allargamento della forbice lo si rileva in
particolare tra chi ha un reddito fino a 850 euro netti al mese,
dove la percezione del miglioramento cala all’1%, mentre
quella del peggioramento sale al 49%. Né va meglio quanto emerge relativamente alla percezione per il
futuro della propria famiglia – in questo caso, il 75% del campione pensa che tra 12 mesi la situazione
economica sarà uguale a quella di oggi, mentre il 16% teme addirittura un peggioramento – e per quanto
attiene alle attese sull’andamento dell’occupazione nei prossimi mesi – per il 44% resterà stabile e per il
38% farà registrare una diminuzione.
Sul futuro economico del Paese, rileva il rapporto Di Vittorio-Tecnè, gli italiani sono ancora più
pessimisti: per il 32% sarà peggiore di oggi, per il 51% uguale e solo per il 17% migliore. “Le dinamiche
della crescita in atto non diminuiscono le diseguaglianze, né producono nuova occupazione, soprattutto di
qualità – commenta il segretario generale della Cgil Susanna Camusso –. Dalla ricerca, infatti, si evince
che continua a crescere la concentrazione della ricchezza e, contemporaneamente, peggiora la percezione
di una parte importante del mondo del lavoro e delle famiglie italiane sul loro futuro. Un fenomeno che si
tende a nascondere. Le diseguaglianze sono state una delle cause della crisi e il loro permanere nella fase
più alta di crescita del Pil degli ultimi tre anni spiega il diffuso pessimismo e malcontento tra le persone e
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Non autosufficienza. Serve una
legge nazionale

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Un nuovo pilastro europeo per i diritti sociali?
Due critiche – di metodo e di merito – al social pillar di Göteborg
C’è qualcosa di vagamente situazionista nella proclamazione inter-istituzionale del «pilastro europeo dei
diritti sociali» da parte di Commissione, Consiglio e Parlamento dell’Unione solennemente riuniti al
vertice di Göteborg dello scorso novembre. Per quanto probabilmente aspiri ad essere ricordato al pari
di altri famosi vertici, a cominciare da quello celeberrimo di Lisbona del marzo del 2000, è difficile che
quello di Göteborg possa davvero lasciare una effettiva traccia di sé negli anni a venire. Ed è invece
probabile che ce ne ricorderemo, in negativo, come di un non-evento, palesemente inidoneo a rifondare
su nuove basi – e men che meno su di un «pilastro» dal solido ancoraggio costituzionale – le politiche
sociali e del lavoro dell’Unione europea.
di Stefano Giubboni
La mia pessimistica previsione si basa su due principali ordini di considerazioni, sulle quali vorrei
brevemente soffermarmi per motivare tanto scetticismo sul futuro del pilastro europeo dei diritti sociali.
La prima attiene alla natura giuridica del pilastro ed è, quindi, se vogliamo, di metodo, giacché si appunta
sulla scelta di affidare ad un atto di soft law, per quanto solennemente adottato, l’ambiziosa pretesa di una
sorta di rifondazione politico-costituzionale dei diritti sociali nell’Unione europea. La seconda attiene
invece ai contenuti del pilastro, ed è dunque di merito.
Il pilastro è formalmente un atto (articolato in tre capi preceduti da un lungo preambolo) di certo
politicamente impegnativo per i tre organi che lo hanno proclamato in via inter-istituzionale, ma
altrettanto certamente privo di valore normativo. Potremmo forse paragonarlo – mutatis mutandis – alla
Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori proclamata nel 1989 a Strasburgo (con
l’auto-esclusione del Regno Unito) sotto gli auspici della Commissione Delors, la quale servì infatti
essenzialmente da base programmatica delle proposte di politica sociale dell’esecutivo comunitario
dell’epoca. Il paragone con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – che fu come noto
proclamata solennemente per la prima volta a Nizza, nel 2001 – suonerebbe, invece, inappropriato, non
fosse altro perché la Carta, elaborata con forte innovazione di metodo dalla convenzione appositamente
costituita, era destinata ab origine a diventare parte integrante del diritto primario dell’Unione: ad
assumere, cioè, come si dice, pieno valore costituzionale. Ed infatti, sia pure con un’attesa durata quasi un
decennio, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha alla fine assunto tale valore, con
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Al contrario, come si afferma chiaramente nel preambolo, il pilastro è stato ideato – «segnatamente per la
zona euro» (ancorché con apertura a tutti gli Stati membri) – solo con l’obiettivo (politico) di «fungere da
guida per realizzare risultati sociali e occupazionali efficaci in risposta alle sfide attuali e future così da
soddisfare i bisogni essenziali della popolazione e per garantire una migliore attuazione e applicazione dei
diritti sociali». Esso non aspira, dunque, ad assumere un valore normativo autonomo, ma mira piuttosto a
guidare l’azione politica della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo, oltre che degli Stati
membri ai quali è indirizzato, compiendo una ricognizione dei principi e dei diritti sociali che formano già
parte dell’acquis dell’Unione grazie alla Carta dei diritti fondamentali e, più in generale, alle norme
primarie e secondarie in materia sociale già in vigore nell’ordinamento euro-unitario. Come si afferma nel
punto 14 del preambolo, il pilastro «esprime principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il
buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21° secolo.
Ribadisce alcuni dei diritti già presenti nell’acquis dell’Unione». È vero, come si afferma subito dopo
nello stesso punto del preambolo, che il pilastro «aggiunge nuovi principi per affrontare le sfide derivanti
dai cambianti sociali, tecnologici ed economici», ma – salvo quanto osserverò criticamente tra breve
sull’effettivo valore innovativo delle sue enunciazioni – esso riconosce anche che, «affinché i principi e i
diritti siano giuridicamente vincolanti, è prima necessario adottare misure specifiche o atti normativi al

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di-metodo-e-di-merito-al-social-pillar-di-goteborg/