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Infolampo: pensioni – occupazione

2018, la discriminazione è rosa
Ultime rilevazioni internazionali: su 144 Paesi siamo 118esimi per le opportunità economiche per le
donne e addirittura 127esimi per le retribuzioni a parità di ruolo. I maschi guadagnano il 12,7% in più e
la forbice anziché restringersi si va allargando
di Silvia Garambois
Prima, durante e dopo: le donne in Italia stentano a trovare lavoro, vengono pagate meno degli uomini a
parità di mansioni e alla fine prendono la pensione più bassa. Anzi, quest’anno rischiano di non andarci
proprio in pensione. I numeri del 2018 non si annunciano di grande auspicio per le donne.
Ci sono Paesi in cui sono state fatte scelte radicali per affrontare il problema. L’Islanda solo nei giorni
scorsi ha stabilito per legge che gli stipendi delle donne
devono essere uguali a quelli degli uomini. Senza tanti giri
di parole: quello che deve essere uguale non è un principio
astratto di uguaglianza (quello era già legge da diversi
decenni) ma il valore matematico in busta paga. Le donne lo
sanno: c’è una bella differenza…
La discriminazione, volere o volare, corre sulla matematica
non sui buoni propositi. Anche nel Regno Unito sono corsi
ai ripari, con una legge approvata nei mesi scorsi, che
obbliga le grandi aziende a rendere noto da quest’anno il
differenziale di genere nei salari e nei bonus dei loro
dipendenti. Nero su bianco.
In Italia abbiamo da molti decenni belle e buone leggi, a
partire dalla “Legge Anselmi”, anno 1977, varata sull’onda delle proteste del movimento delle donne –
per la “parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, e dalla legge 125 del 1991, sulle
“azioni positive” per la parità. Il risultato però è che secondo gli ultimi rilievi del World Economic Forum
sulle disparità tra uomo e donna, su 144 Paesi analizzati noi facciamo come i gamberi e siamo finiti
118esimi per le opportunità economiche per le donne e addirittura 127esimi per le retribuzioni a parità di
ruolo. Gli uomini guadagnano il 12,7% in più delle donne e la forbice, anziché restringersi, si va
allargando.
Quello che scopriremo in questo 2018, assai probabilmente, sarà invece un maggior numero di donne al
lavoro. Ma non serve farsi illusioni, c’è il trucco: saranno infatti quelle del settore privato che la legge
Fornero ha bloccato, le nate nel ’53, che – tra scalini e scaloni e codicilli di legge – devono stare ferme due
giri e aspettare il 2020 per andare in pensione (mentre quelle del ’52 sono di fatto in larga maggioranza in
pensione). E alla fine la loro pensione sarà mediamente più bassa del 30,5% rispetto agli uomini.
Questi numeri, uno in fila all’altro, vanno messi sul tavolo del prossimo governo: non c’è una politica di
sviluppo, non c’è un progetto per ridare speranza al Paese che possa ignorarli. E non bastano più belle
parole da campagna elettorale.
http://www.radioarticolo1.it/articoli/2018/01/04/8221/2018-la-discriminazione-e-rosa

‘Lavoro più stabile e fisco più
leggero’
Intervista a Susanna Camusso

Leggi su www.cgil.it

http://espresso.repubblica.it
Così la generazione dei sessantottini ha tradito le proprie
idee per rimanere se stessa
Coloro che sono “nati” sulle barricate 50 anni fa hanno spesso cambiato posizione o appartenenza. Ma
in molti casi lo hanno fatto per continuare ad agire da uomini liberi
di Wlodek Goldkorn
Così la generazione dei sessantottini ha tradito le proprie idee per rimanere se stessa
A fine giugno di quasi cinquant’anni fa, Hanna Arendt scriveva all’amico Karl Jaspers: «Sembra che i
figli del Ventunesimo secolo studieranno il Sessantotto alla stessa maniera con cui noi abbiamo studiato

le rivoluzioni del 1848». E aggiungeva: «La vicenda mi tocca personalmente. Dany il Rosso, Cohn-
Bendit, è figlio di amici intimi ed è un ragazzo eccellente».

Due giorni dopo, la filosofa si rivolge direttamente al ragazzo eccellente: «Sono convinta che i tuoi
genitori se fossero ancora vivi, sarebbero orgogliosi di te» e gli offre ogni sorta di aiuto, compreso quello
finanziario.
L’amicizia tra Arendt ed Erich Cohn, padre di Daniel, trotzkista, ebreo tedesco, scomparso nel 1959 e la
moglie Herta David, risaliva a metà anni Trenta: non solo ebrei, ma antifascisti ed esuli in Francia. E il
rapporto tra l’autrice di “Banalità del Male. Eichmann a Gerusalemme” e il ragazzo che appena 23enne
sfidò il generale De Gaulle per diventare volto e simbolo del Sessantotto europeo, è fondamentale per
capire cosa resta oggi di quell’anno e che fine hanno fatto i suoi protagonisti.
Diciamolo esplicitamente. Tra i tanti meriti di Arendt c’è l’aver tradito la propria appartenenza per
restare fedele all’indipendenza di giudizio e quindi alla propria biografia. Il libro appena citato ha
significato per lei, ebrea tedesca simpatizzante (con riserve) del sionismo, l’anatema da parte
dell’ambiente da cui proveniva. Ecco, possiamo azzardare quanto segue: del Sessantotto siamo tutti
debitori sul piano dei costumi (il nemico del Sessantotto Sarkozy, un po’ ebreo un po’ ungherese e
divorziato, senza il Sessantotto non sarebbe stato presidente della Repubblica) e dell’immaginario. Una
generazione è stata sulle barricate. Poi, come sempre accade alle generazioni ognuno ha scelto la propria
strada: notaio, avvocato, giornalista, imprenditore, insegnante, operaio, prete, rabbino, di destra e di
sinistra e via elencando. Ma resta il tradimento delle idee preconcette, per essere invece fedeli alla
biografia e quindi al proprio punto di vista.
L’essenziale, per alcuni dei leader del Sessantotto, non senza errori, è stato continuare a provare lo
stupore di fronte al mondo, porre prima le domande a se stessi, e solo dopo dare una possibile risposta
agli altri. E così, per eterogenesi dei fini, l’eredità, se esiste un’eredità del Sessantotto, non è la purezza
ideologica, ma l’ambivalenza e cioè la consapevolezza che l’intransigenza serve per arrivare a un
dignitoso compromesso, dentro il quadro della storia e non contro la Storia. O forse, possiamo dire che
del Sessantotto resta più Hannah Arendt con la sua radicalità filosofica unita al rifiuto dell’utopia che non
Marx e Marcuse.
Abbiamo parlato di Dany Cohn-Bendit. E intanto aggiungiamo altri nomi di protagonisti (tutti maschili,
perché il Sessantotto delle donne che finisce nel femminismo è un’altra storia): Adam Michnik, Adriano
Sofri, Alex Langer.
Nel 1976 Michnik, polacco, anche lui ebreo, figlio di comunisti, pubblica un libro intitolato “La Chiesa e
la sinistra in Polonia”. La tesi: è ora perché la sinistra laica, il gruppetto di persone che contestando il
potere comunista usava il linguaggio di origine marxista, riconosca il ruolo emancipatorio della Chiesa.
Nello stesso anno Adriano Sofri scioglie Lotta Continua e si ritira alla vita privata, salvo riemergere dopo,
a sostegno non delle lotte rivoluzionarie per la conquista del potere, ma in difesa degli oppressi ovunque
siano nel mondo; mentre due anni dopo Cohn-Bendit comincia la sua lunga marcia dentro le istituzioni,
nei ranghi dei Verdi. Qualche anno dopo diventerà assessore comunale a Francoforte e poi deputato
europeo e non chiederà più di abbattere il potere “borghese e capitalista”. Nello stesso periodo Langer
rifiuta la schedatura etnica nell’Alto Adige e inizia il suo coinvolgimento nel movimento ambientalista. Il
rifiuto di dichiararsi appartenente a uno dei gruppi linguistici (italiano o tedesco) lo porterà a teorizzare
una specie di tradimento «senza diventare transfughi».
Nel 1968 dunque Michnik è al centro della contestazione studentesca a Varsavia. In Polonia non si chiede
di rovesciare i “rapporti di produzione capitalisti” né, come a Parigi (o a Pisa) la libertà per le ragazze e i
ragazzi di stare insieme nelle Case dello Studente. La richiesta è invece: più libertà di parola, più

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tradito-proprie-idee-rimanere-se-stessa-1.316696?ref=HEF_RULLO