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Infolampo: Migranti – leggere

Migranti, il coraggio che manca alla politica
Massafra apre la conferenza nazionale della Cgil: l’Europa impegna risorse ed energie per fermare le
persone, non per la loro integrazione e sicurezza. Male l’Italia sullo Ius soli: “Come si fa a lasciare per
ultima quella che invece è una priorità?”
Con la Conferenza nazionale sull’immigrazione vogliamo offrire un orizzonte, una strategia che guardi a
questo tema uscendo dalle paure e dalle strumentalizzazioni
di una politica miope e disattenta. Così, il segretario
confederale della Cgil, Giuseppe Massafra, ha aperto i lavori
di “Nuove sfide, universalità dei diritti, libera circolazione”,
la grande iniziativa che è iniziata oggi 12 dicembre a Roma e
che sarà conclusa domani da Susanna Camusso.
Per Massafra, la “narrazione sui migranti è fatta solo di
numeri e dati ed è completamente disumanizzata: quasi mai
appaiono le persone con le loro storie di vita e sofferenza”. Il
tutto in un’atmosfera che si nutre “di rabbia, rancore, frutto
di una crisi che ha acuito le diseguaglianze e reso sempre più
ampie le distanze sociali tra i pochi ricchi e i tanti poveri”. È
questo senso di frustrazione che “spinge le persone a
difendersi, a respingere tutto ciò che può sembrare una
minaccia, ad arroccarsi nel proprio spazio. Ed è qui, anche,
che nasce e si alimenta la paura del diverso che rischia di risvegliare i peggiori istinti dell’uomo”.
Tutto questo, però, non è fatale. Qui entra in gioco la “responsabilità di una politica che cannibalizza sé
stessa, che per piccoli calcoli cede spazio al populismo parlando di invasioni etniche, identità da
preservare e così via”. Ma basterebbe solo fermarsi un po’ a riflettere, ha attaccato il segretario
confederale della Cgil, per capire che le ragioni di questa crisi, di questo impoverimento, non sono certo i
migranti, ma si spiegano “con il modo in cui è stata gestita la globalizzazione, lasciando mano libera al
mercato, permettendo alle merci di spostarsi sempre più liberamente ma ergendo invece steccati per gli
esseri umani, in zone della terra sempre più impoverite o funestate da guerre terribili”.
Sotto accusa, per Massafra, c’è innanzitutto l’Europa, che “continua a considerare le migrazioni come un
fenomeno da arginare. Sforzi e risorse sono stati impiegati solo per bloccare e fermare l’immigrazione,
quasi mai per strategie per aiutare migrazioni sicure, regolari, capaci di migliorare le condizioni di vita
delle persone. Anche il concetto di ‘aiutiamoli a casa loro’ si è tradotto in aperture di centri di detenzioni
come quelli libici, dove vengono violati violentemente e costantemente i diritti umani, e non per
realizzare progetti di sviluppo o corridoi umanitari per garantire sicurezza negli spostamenti”.
Esemplare in senso negativo, da questo punto di vista, l’accordo del governo italiano con la Libia: “È
vero che i flussi sono diminuiti del 32 per cento, ma sono rimasti invariati il numero dei trattenimenti nei
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12 Dicembre 1969

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Non bisogna leggere molti libri, bisogna leggere molto
Gentile bibliopatologo,
ho un problema: non sono capace di mettere da parte un libro anche quando lo trovo noioso, banale,
autoreferenziale. Ogni volta cado nello stesso tranello, quello di dirmi che ogni libro ha qualcosa da dire
e perciò vale la pena finirlo. Penso che l’atteggiamento rispetto a questo problema sia legato, più che
altro, alla maturità del lettore. Noto infatti che le persone di una certa età (mature, appunto) riescono
meglio nella nobile arte di riporre ciò che di inutile si presenta alla loro attenzione.
– Paolo C.
di Guido Vitiello
Caro Paolo,
ti chiamo Paolo perché ti chiami Paolo, e io, per carità, non ho niente contro il nome Paolo; ma fosse per
me, preferirei ribattezzarti Bebio Macro. Non prendermi per pazzo, o almeno non per questa stravaganza:
è solo il nome del primo destinatario della polpetta avvelenata che turba la tua vita di lettore.
Un giorno di duemila anni fa Bebio Macro ricevette da un amico una lettera che conteneva, tra le altre
notizie e considerazioni, questo ferale consiglio: “Nullus est liber tam malus, ut non aliqua parte prosit”,
nessun libro è così cattivo che in qualche sua parte non possa giovare. Il mittente si chiamava Plinio. Ma
come sappiamo dagli anni di scuola i Plinii erano due, il Vecchio e il Giovane – e questo ci riporta
indirettamente alla tua ipotesi che la facilità ad abbandonare i libri si conquisti con l’età e la maturità.
Ebbene, quale dei due Plinii impartì a Bebio Macro lo sciagurato consiglio, a cui gli illustri banditori del
rinascimento avrebbero dato la forza di un comandamento per l’intera comunità dei lettori? La frase è di
solito attribuita a Plinio il Vecchio, ma a rigore la scrisse Plinio il Giovane, riportando il pensiero dello
zio. Ora, non ne farei una questione di anagrafe, anche perché quando Plinio il Giovane riferì la frase del
Vecchio non era poi tanto più giovane di quanto fosse il Vecchio al momento della morte; azzardo però la
congettura che il venerando zio, mentre la lava del Vesuvio stava per sommergerlo, avrebbe dubitato di
quel precetto; e che ai nostri giorni, sotto l’eruzione editoriale permanente, vedendosi travolto da fiumi di
carta e di inchiostro, si sarebbe affrettato a ripudiarlo, a capovolgerlo, perfino a maledirlo.
C’è solo un luogo dove può regnare l’idea che nessun libro sia così cattivo da meritare l’abbandono, e non
è la Repubblica delle Lettere vagheggiata dai dotti rinascimentali, ma la Città degli Immortali sognata in
un racconto di Borges, dove “dato un tempo infinito, con infinite circostanze e mutamenti, è impossibile
non comporre, almeno una volta, l’Odissea”. E se è impossibile, pur non essendo Omero, non comporre
almeno una volta l’Odissea, ne deriva che la si può leggere anche mille volte, e insieme all’Odissea
l’intero catalogo di tutti gli editori presenti, passati e futuri – nozioni che del resto, in una città di
immortali, perdono qualunque significato.
Fantasie letterarie? Non solo. Quasi tutti i grandi lettori sono diventati tali nella Città degli Immortali,
ossia nei lunghi pomeriggi d’estate dell’infanzia o della prima giovinezza. Che ne sapevamo, allora, del
tempo? Ma quaggiù tra i mortali, abbandonare i libri è più che un diritto: è una necessità, un criterio
elementare di saggezza. Sono certo, caro Bebio Macro, che Plinio il Vecchio ti direbbe lo stesso. E anche
il Giovane, a ben vedere, in un’altra delle sue lettere aveva aggiustato il tiro: multum legendum esse, non
multa. Non bisogna leggere molti libri, bisogna leggere molto. Al limite, mille volte l’Odissea.
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