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Infolampo: vaccini, geografia

vaccini-017Vaccini per la salute degli anziani. Al via la campagna
“Io ci vado”
A partire da quest’anno, oltre al vaccino anti influenzale, quello anti pneumococco è gratuito per gli over
65. La campagna è promossa da HappyAgeing, l’alleanza per l’invecchiamento attivo a cui aderisce
anche lo Spi-Cgil.
A partire da quest’anno, oltre al vaccino anti influenzale, quello anti pneumococco è gratuito per gli over
65. La novità, prevista dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2017 -2019 e inserita nei
nuovi Livelli essenziali di assistenza, è stata introdotta per
arginare il rischio di contrarre malattie da pneumococco, un
batterio potenzialmente pericoloso e letale per l’uomo e che
nella popolazione anziana provoca le polmoniti. Eppure la
percezione dei rischi è ancora scarsa: solo un anziano su tre
sa che di polmonite si può morire. Per questo motivo,
l’Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo HappyAgeing
(www.happyageing.it) con la nuova campagna “Io ci vado” e
il claim “ll vaccino Ti spetta. Tu che aspetti?” esorta i nati
nel 1952 e tutti gli anziani a far proprie queste conquiste di
prevenzione, compiendo un importante gesto in difesa della
propria salute.
Lo scopo dell’Alleanza – costituita dalla Società Italiana di
Igiene (SItI), la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia
(SIGG), la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa
(Simfer), i sindacati, Spi Cgil, Fnp Cisl e Uil Pensionati, la Fap Acli e Federsanità Anci – è contribuire al
raggiungimento di migliori condizioni di salute per gli over 65. Un’azione ispirata anche dalla
Commissione Europea che pone per il 2020 il traguardo dell’allungamento di 2 anni della vita in salute
dei cittadini, indicando le vaccinazioni come uno dei cinque pilastri – quello più efficace già nel breve
periodo – per mantenersi in salute e al riparo da patologie evitabili.
A fotografare la situazione, una ricerca quantitativa condotta da AstraRicerche nel mese di settembre su
un campione di oltre mille italiani: nonostante rispetto a due anni fa siano aumentate sia la conoscenza del
vaccino contro la polmonite (+12,8%, +19% negli over60) sia il numero di persone che dichiarano di
essere vaccinate contro la polmonite (+4,8%) gli anziani (la ricerca è sugli over 60) si sentono sempre
meno a rischio, tanto che solo 1 su 10 ha la percezione di poter contrarre personalmente la malattia.
Inoltre, rimangono alcuni falsi miti sulle modalità di prevenzione: per 4 persone su 5 è sufficiente
mantenersi genericamente in buona salute, per 1 su 3 lavarsi le mani. Solo 1 intervistato su 3 pensa che la
prevenzione della polmonite passi attraverso la vaccinazione.
“Ogni anno, in Italia, sono migliaia i decessi e i ricoveri ospedalieri per complicanze derivate da malattie
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Senza investimenti le Marche
non ripartono

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La nuova geografia dello sviluppo italiano
La metafora delle tre Italie rappresenta ancora congruamente le diverse forme di sviluppo territoriale?
L’Italia di oggi è trainata dalle regioni che meglio nel nostro paese hanno saputo combinare attività
manifatturiere e servizi ad alta intensità di conoscenza
di Fabiano Compagnucci, Mauro Gallegati
L’Italia, già dalla sua Unità, si caratterizza per la differenza nei livelli di sviluppo economico: un primo
periodo di lieve divergenza, cui segue, fra le due guerre mondiali, una forte divergenza che muta in
convergenza nella fase post-bellica fino ad un nuovo aumento del divario, anche se a macchia di
leopardo, a partire dalla recente crisi. Fino agli anni ‘60 questi squilibri territoriali possono essere
riassunti nel dualismo nord-sud, riferibile, nonostante la complessità della questione, ad un dualismo di
tipo produttivo: industria fordista al nord contro prevalenza di attività e modalità agricole arretrate al sud.
A partire dagli anni ’70, però, questa dicotomia non è più in grado di dare conto degli squilibri regionali,
la cui articolazione si è andata nel frattempo arricchendo con la diffusione del fenomeno dei distretti
industriali nelle regioni del Nord-Est-Centro (NEC). Accanto al modello organizzativo e produttivo
basato sulle grandi citt à industriali del nord-ovest, si affianca quello tipico “dell’Italia dei comuni” e
della “campagna urbanizzata”.
Trascorsi trent’anni dall’affermarsi di quel modello, un nuovo cambiamento di paradigma mischia di
nuovo le carte in tavola, costringendoci ad una nuova lettura degli squilibri regionali. L’affermarsi della
cosiddetta “knowledge economy”, un sistema economico fondato sulle attività e sui servizi ad alta
intensità di conoscenza e creatività, generatori di innovazione, sembra, nella sua prima fase,
avvantaggiare le regioni che si erano industrializzate per prime e che, sempre per prime a cavallo fra gli
anni ’80 e ‘90, avevano intrapreso il processo di terziarizzazione. A circa trent’anni da quella svolta e
dopo la più grande crisi mondiale che si ricordi dal 1929, la metafora delle tre Italie rappresenta ancora
congruamente le diverse forme di sviluppo territoriale in Italia?
Ragionando in termini di PIL per abitante, sembrerebbe sufficiente ribadire il classico dualismo Nord-Sud
per interpretare gli squilibri regionali. Secondo Eurostat, infatti, sono tutte meridionali, con l’aggiunta di
Marche ed Umbria, le regioni con PIL pro-capite inferiore alla media nazionale nel 2015. Fra le restanti,
la maggior parte, al 2015, aveva recuperato totalmente o quasi i livelli di reddito pro-capite pre-crisi, con
la rilevante eccezione del Lazio, in cui il differenziale negativo si attesta sul 10%, e della Provincia di
Bolzano, che, invece, non sembra essere stata toccata dalla crisi. Fermo restando che l’Italia, fra le
nazioni OECD, è quella che ha mostrato le maggiori difficoltà nel superare la fase recessiva, cosa
possiamo dire della diversa capacità di queste regioni nell’assorbire gli shock dettati dal cambiamento di
paradigma economico e nell’adattarsi alle mutate condizioni di mercato? Esistono dei pattern comuni?
Per rispondere a questa domanda consideriamo due tipologie di fattori: le diverse composizioni settoriali
delle economie regionali e le peculiarità dei singoli quadri istituzionali. L’ ”Indice Europeo di
Competitività Regionale” elaborato dalla Commissione Europea, ossia la capacità di una regione di
offrire un ambiente attraente e sostenibile tanto alle imprese che ai cittadini, cerca di tenere conto di
questi aspetti nel valutare le performance delle singole regioni. La lettura dell’Indice suggerisce la
presenza di una situazione articolata. Lombardia e Emilia Romagna possono essere considerati i motori
dell’economia italiana. La Lombardia, che, con il Piemonte e la Liguria, ha traghettato l’Italia nell’era
fordista, è la più internazionalizzata delle regioni italiane, e quella che maggiormente ha saputo
combinare una ancora rilevante base manifatturiera con i servizi ad alta intensità di conoscenza,
coadiuvati anche dai numerosi atenei presenti sul territorio, accrescendo la capacità innovativa e creativa
del proprio sistema economico. Stesso discorso, seppur sulla base di un sistema economico di più ridotte
dimensioni, si può fare per l’Emilia Romagna, dove si è riusciti a creare un legame virtuoso fra
manifattura hi-tech e servizi ad alta intensità di conoscenza, anche in questo caso supportati da un’ottima
offerta accademica. Le stime di crescita delle economie regionali per il 2017, non a caso, vedono prima
l’Emilia Romagna e seconda la Lombardia. La Lombardia e l’Emilia Romagna, nonostante rappresentino
l’esito di due modelli significativamente diversi – una regione industriale della prima ora ed una regione
NEC – convergono nelle performance. In entrambi i casi sembra funzionare la “Tripla Elica”, ossia un
modello basato sulla centralità dei rapporti fra università e centri di ricerca, industria e istituzioni
pubbliche nel sostenere i sistemi innovativi regionali.
Piemonte e Liguria, le altre due regioni del triangolo industriale, non sembrano tenere il passo della
Lombardia, nonostante si tratti di sistemi economici in cui l’eredità industriale – ad alta e media intensità
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