Infolampo: Voucher – referendum
Cgil: pronti ad appellarci al presidente della Repubblica
Il direttivo del sindacato: “Se dal governo arriva una nuova normativa sul lavoro occasionale, dopo
l’abolizione dei buoni, ci rivolgiamo al Colle. Petizione popolare per il rispetto dell’art. 75 della
Costituzione e grande manifestazione nazionale”
La Cgil “ritiene gravissima l’eventualità che il governo, attraverso un improprio emendamento al decreto
legge n. 50/2017 attualmente in discussione in Parlamento, definisca una nuova normativa sul lavoro
occasionale”. È quanto si legge nell’ordine del giorno
approvato dal comitato direttivo del sindacato, riunitosi
oggi a Roma. Le proposte in discussione, “sulle quali mai si
è realizzato un confronto con il sindacato e con la Cgil in
particolare, contravvenendo agli impegni formalmente e
ripetutamente assunti dal Governo – prosegue l’ordine del
giorno – prefigurerebbero il ritorno, con norme peggiori, ai
voucher che Parlamento e Governo hanno cancellato poche
settimane fa, assumendo lettera e sostanza del quesito
referendario proposto dalla Cgil”.
“Si sta cercando – aggiunge la Cgil – di far rientrare dalla
finestra ciò che, con le nostre firme e la nostra iniziativa e
mobilitazione, abbiamo fatto uscire dalla porta. Si tratta di
un tentativo inqualificabile e inaccettabile”. Sarebbe la
prima volta nella storia della Repubblica, sottolinea il
sindacato, “che un governo e la sua maggioranza
intervengono con un provvedimento legislativo opposto a quello emanato poco prima con il fine di evitare
una prova referendaria. Questo configurerebbe una sostanziale violazione dell’art. 75 della Costituzione e
costituirebbe un atto irrispettoso nei confronti della Suprema Corte di Cassazione che si è appena
pronunciata in proposito”.
Per la Cgil si tratterebbe di “un palese atto di spregio nei confronti di tutti coloro che firmarono a
sostegno del quesito referendario per abrogare i voucher e di una vera e propria lesione della democrazia,
essendo evidente la spregiudicatezza con la quale si è legiferato poche settimane fa al solo scopo di
impedire agli elettori di pronunciarsi”. Se questo tentativo si concretizzerà in un provvedimento di legge,
dunque, “la Cgil porrà in atto una ferma e coerente azione di contrasto, facendo sin da subito appello al
presidente della Repubblica affinché intervenga, facendosi garante del rispetto della Costituzione e del
diritto di voto da parte dei cittadini”.
Il direttivo ha dato “mandato alla segreteria, in ragione delle eventuali decisioni parlamentari, di
promuovere sia una petizione popolare per il rispetto dell’art. 75 della Costituzione repubblicana, sia una
grande manifestazione nazionale alla quale chiamare a partecipare lavoratori, pensionati, cittadini e tutte
le organizzazioni democratiche del Paese”.
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Nelle Marche dilaga la precarietà
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Il referendum sindacale, tra democrazia e rappresentanza
A rileggerlo oggi, a qualche settimana di distanza dal referendum sul piano di salvataggio della
compagnia aerea di bandiera italiana, l’art. 21 St. lav. sul referendum sindacale sembra raccontare una
storia molto diversa da quello che può essere definito, ad una prima lettura, “uno strumento di
partecipazione dei lavoratori alle decisioni ed alle politiche dei sindacati”. L’esito delle consultazioni e la
bocciatura da parte dei dipendenti Alitalia del pre-accordo stipulato dalle rappresentanze sindacali
maggioritarie con l’azienda (che prevedeva un piano quinquennale di ricapitalizzazione anche attraverso
riduzioni occupazionali e retributive) sembra aver messo sotto accusa l’istituto stesso del referendum, in
qualche modo “declassato” a mero esercizio di dissenso e protesta piuttosto che di partecipazione.
di Francesca Fontanarosa
Senza entrare nel merito della vicenda, si può notare come già da queste prime considerazioni emerga in
maniera evidente una stretta connessione tra l’istituto del referendum e la capacità delle associazioni
sindacali di rappresentare gli interessi dei lavoratori. L’intreccio tra rappresentanza sindacale (principio
associativo) e referendum (principio elettivo) sembra invero caratterizzare la storia delle relazioni
industriali italiane che – lo si ricorda – informate al principio della libertà e del pluralismo sindacale ex
art. 39 co. 1 Cost., non dispongono di un impianto legale tale da rendere vincolanti erga omnes i contenuti
degli accordi stipulati dalle rappresentanze sindacali (così come previsto dall’art. 39, co. 2, 3 e 4 Cost.). In
un regime di autonomia privata collettiva, l’esigibilità degli accordi contrattuali è, di fatto, ancorata alla
capacità delle organizzazioni sindacali di rappresentare gli interessi plurali dei propri rappresentati,
ponendosi nei confronti della controparte datoriale come un agente contrattuale unico. In questo senso, il
raggiungimento di un pieno pluralismo nel panorama sindacale italiano, dove le differenze tra le diverse
organizzazioni sindacali sono profonde e persistenti ha reso necessaria nel tempo la posizione di regole e
“strumenti” di natura contrattuale, atti a governare le criticità della rappresentanza sindacale, l’efficacia
degli accordi ed il dissenso, con esiti spesso incerti.
In questa breve scheda si cercherà di ricostruire la “storia” del referendum sindacale partendo proprio
dall’art. 21 dello St. lav. ed arrivando all’istituto della consultazione dei lavoratori mediante il c.d. “voto
certificato”, previsto dal Testo unico sulla rappresentanza del 10.1.2014.
L’art. 21 dello Statuto dei lavoratori colloca il referendum sindacale tra le cosiddette “norme
promozionali” e di sostegno dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro (Titolo III dello Statuto dei
lavoratori). Nello specifico, il diritto all’indizione del referendum è affidato alle rappresentanze sindacali
aziendali (o alle r.s.u. laddove siano subentrate nella titolarità dei poteri assegnati alle r.s.a., come
previsto dall’Accordo Interconfederale del 20.12.1993, poi modificato dal Testo unico del 10.01.2014)
che possono esercitarlo solo congiuntamente. Al referendum, che deve avere ad oggetto materie inerenti
l’attività sindacale, possono partecipare “tutti i lavoratori appartenenti all’unità produttiva e alla categoria
particolarmente interessata”, compresi i lavoratori a qualsiasi titolo sospesi (cassa integrati, sottoposti a
procedimento disciplinare, scioperanti). Il datore di lavoro è tenuto a prestare la propria collaborazione,
rendendo disponibili i locali per il referendum che deve tuttavia svolgersi al di fuori dell’orario di lavoro.
La normativa promozionale e in particolare, l’art. 21 St. lav., tentavano di rispondere in questo modo
all’esigenza di legittimare dal basso le organizzazioni sindacali, oggetto in quegli anni di una forte
contestazione a seguito dell’esplosione dei movimenti spontanei sindacali dell’autunno del 1969.
Tuttavia, se da un lato l’istituto del referendum poteva apparire uno strumento particolarmente adatto a
garantire una comunicazione diretta tra la struttura sindacale e la base, tale da assicurare una effettiva
rappresentanza degli interessi dei lavoratori, dall’altro lato, lo stesso strumento poteva ragionevolmente
esporre le associazioni sindacali concorrenti a rivalità o contestazioni, compromettendo la capacità delle
organizzazioni sindacali di negoziare con la controparte norme contrattuali efficaci ed esigibili per tutti i
lavoratori. Per questo motivo, il ricorso al referendum ex art. 21 St. lav. pur contenendo una serie di limiti
(la titolarità congiunta delle r.s.a. e il vincolo della materia sindacale), non è stato assai frequente nella
storia delle relazioni industriali italiane, eccezion fatta per le consultazioni volte a verificare l’“adesione”
dei lavoratori ai contenuti delle piattaforme contrattuali. Va rilevato, inoltre, che il giudizio espresso dalla
maggioranza dei lavoratori produce esclusivamente effetti di natura “politica” nei rapporti interni tra
rappresentanza sindacale e lavoratori e non di natura giuridica sulla validità dell’accordo, ma (Cass. 28
novembre 1994, n. 10119).
La situazione sembra modificarsi sensibilmente con la crisi del “sistema sindacale di fatto”, risultato di
decenni di unità di azione, e la produzione di accordi separati nel 2009, culminata con la nota vicenda
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