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Infolampo: Città – Violenza

violenzaTutti in città

Spopolamento dei centri minori, abbandono della collina e della montagna con tutte le conseguenze

ambientali e sociali che sappiamo, consumo di suolo e peggioramento delle condizioni di vita nelle

periferie. Siamo proprio sicuri sia la strada giusta?

di Nuccio Iovene

Pochi giorni prima della presentazione del suo rapporto annuale sulla situazione del Paese, di cui si sta

molto discutendo negli ultimi, l’Istat ha presentato un altro rapporto molto importante sulle “forme, livelli

e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia”. Nel dossier,

molto ampio (350 pagine, 15 capitoli, un gruppo di

lavoro di oltre 40 persone), si prendono in esame le 21

principali realtà urbane, 11 al nord, 2 al centro e 8 nel

mezzogiorno. In queste realtà si concentra ormai il

36,3% della popolazione complessiva del Paese (22

milioni di abitanti) e la densità abitativa è 4 volte

superiore alla media italiana, i 21 sistemi coprono

complessivamente solo l’8% della superficie totale

nazionale – circa 27 mila Km2 – ma raccolgono oltre il

25% degli insediamenti abitativi.

Se si prendono in considerazione poi le 4 aree urbane

che superano il milione di abitanti (Torino, Milano,

Roma e Napoli) esse da sole rappresentano circa il 20%

della popolazione totale. L’urbanizzazione è prevalente

lungo le coste dove l’incidenza delle superfici edificate raggiunge l’11,5%, contro il solo 5,9% dei

comuni non costieri, nelle aree di pianura e nei centri oltre i centomila abitanti. In particolare nel rapporto

viene segnalato che l’incremento delle aree edificate nel mezzogiorno e in molte altre parti del Paese

risulta addirittura divergente rispetto all’andamento demografico, mentre viene avanti una modalità

insediativa (urban sprawl) “poco governata e concentrata che deborda in forma dispersa all’esterno dei

centri abitati”.

Non mancano i confronti con il resto dell’Europa: ad esempio il suolo con copertura artificiale, che è uno

degli indicatori più significativi, in Italia è del 7% mentre nella media dell’Unione Europea a 27 è del

4,1%. L’aumento del consumo di suolo appunto (una proposta di legge sull’argomento è al momento

all’esame del Senato) ha avuto un andamento crescente: le aree a edificato consolidato erano il 4,8% del

territorio nel 1991, il 6,2% nel 2001 e diventano il 6,7% nel 2011. Queste percentuali crescono

significativamente nelle 21 principali aree urbane prese più direttamente in esame passando dal 15,3% del

1991 al 19,3% del 2011. Dal rapporto emerge come dal 2001 tutti e 21 i sistemi urbani si sono estesi di

oltre il 10%. In particolare le aree che sono cresciute di più sono Bologna (17,1%), Taranto (13,3%) e

Leggi tutto: http://www.radioarticolo1.it/articoli/2017/05/22/8047/tutti-in-citta

Cgil ricorda Falcone, per

combattere mafie partire da lavoro

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Violenza sulle donne, come funziona la rieducazione

degli uomini

Responsabili di maltrattamenti, chiedono aiuto ai centri di ascolto. Il primo contatto, il lavoro in gruppo,

l’accettazione: lo psicoterapeuta Bernetti illustra il percorso che riduce del 50% il rischio di recidiva.

di Alessia Laudati

A fermare la violenza sulle donne non sono tanto le urla, le ferite inflitte, molto spesso nemmeno la

durezza delle condanne definitive o dell’esperienza detentiva. Piuttosto può essere efficace un processo di

rieducazione e di riabilitazione dell’uomo violento che ne cambi convinzioni, schemi relazionali e

mentalità. Un abuser può a un certo punto non esserlo più? I professionisti dei Cam (i centri di ascolto per

uomini maltrattanti) credono di sì. E un uomo violento, se recuperato, non è in qualche modo un uomo

giustificato. È piuttosto una donna in meno a sentirsi in pericolo di vita insieme ai suoi figli: sono circa 7

milioni in Italia quelle che hanno subito violenze almeno una volta nella vita. Quello degli abuser è buio,

ma va esplorato. Perché il rischio di recidiva senza un adeguato trattamento è alto. Circa del 33%,

secondo uno studio della Provincia di Trento.

IL NODO DELLA REITERAZIONE. I dati in circolazione, nonostante la difficoltà di equiparare contesti

diversi, parlano della violenza sulle donne come di un problema persistente dove i centri per uomini

danno il loro prezioso contributo. Lo studio Gondolf di provenienza americana rileva come l’80% non

commetta più violenza nei successivi quattro anni dalla fine del trattamento e come la riduzione dei tassi

di recidiva rispetto a chi non ha effettuato il percorso sia maggiore del 50%. Nell’evidenziare il problema

della reiterazione dell’abuso conta anche molto lo stato emotivo delle vittime, il loro sentirsi in fine pena

mai che le costringe a numerosi appelli pubblici, come per il caso di Lidia Vivoli (la ex hostess quasi

ammazzata dal marito che ne temeva la scarcerazione), pur di scongiurare il rischio dettato dalla rimessa

in libertà dell’ex o dal pericolo che esso possa ancora fare del male.

Il Cam di Roma è attivo dal 2016 e oggi segue persone d’età variabile, dai 40 ai 60, quasi tutti padri,

alcuni anche nonni

I Cam lavorano su tutto il territorio nazionale per il recupero e la rieducazione degli uomini autori di

violenza. Sono circa 25, e da Nord a Sud hanno forme e formazioni diverse. Andrea Bernetti, psicologo e

psicoterapeuta, dirige quello di Roma di via Ernesto Lepido, che oggi si occupa di 15 casi: «Se il percorso

funziona», racconta a Lettera43.it, «c’è la sicurezza dell’interruzione della violenza». Il Cam di Roma è

attivo dal 2016 e oggi segue persone d’età variabile, dai 40 ai 60, quasi tutti padri, alcuni anche nonni.

«Prima di venire qui non parlavano di nulla se non di cose esterne e avevano difficoltà a mostrare le

proprie emozioni. Li faceva sentire nudi», dice Bernetti.

FOCUS SULLE RESPONSABILITÀ. Quando un abuser contatta il centro, «arriva di solito convinto che

il problema sia l’istigazione della violenza da parte dei figli o delle compagne. Oppure pensa già solo

contattandoci di avere capito il problema, eliminandolo. Il primo step è quindi non tanto quello di

superare tale negazione, l’attribuzione agli altri della propria colpa, ma cominciare a far esplorare

all’uomo l’idea che lui sia in qualche modo responsabile di questa situazione». Si lavora prevalentemente

in gruppo, perché il gruppo «ha una funzione di controllo sull’interruzione della violenza. Significa

lavorare sul legame con gli altri. Una nostra regola è quella di non agire più violenza e, se avviene, di

raccontarla».

QUEI GESTI DA NON SOTTOVALUTARE. Un uomo che modifica il proprio comportamento

aggressivo non fa rumore, ma non per questo il gesto non è significativo. «In uno dei casi che abbiamo

seguito, la persona ha smesso di essere violenta non appena cominciato il percorso. Lo ha fatto perché

aveva come “obiettivo” quello di riconquistare la moglie. Abbiamo notato che questo modo di pensare

non produce un vero cambiamento nella persona. Solamente quando quest’uomo è stato lasciato dalla

partner e ha cominciato a elaborare il significato del cambiamento per sé e non per gli altri si è visto il

successo vero e proprio».

“Il carcere è una soluzione necessaria per certi aspetti, ma non aiuta molto queste situazioni. C’è una

recidiva altissima”

Il Cam di Roma, tiene a precisare Bernetti, non riceve finanziamenti stabili da Stato o Regione. Si regge

grazie al lavoro dei volontari e al fatto che per l’erogazione dei servizi venga chiesta una quota sociale di

100 euro al mese per ogni caso preso in carico. «In questi giorni sono stati aperti dei tavoli per la

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la-rieducazione-degli-uomini/210831/