Da Infolampo: Salute – Europa
Salute, una nuova idea di sostenibilità economica
È necessario ricomporre una strategia per mezzo della quale fare contemporaneamente prevenzione
(rimozione delle nocività), previsione (intervento sulle probabilità di rischio) e predicibilità
(progettazione di ambienti dove prevalga il rischio zero)
di Ivan Cavicchi
Mentre la sinistra si divide senza mai mettere in discussione il suo pensiero debole di fondo, la Cgil
recupera e rimette al centro la questione probabilmente
più di sinistra di tutte, che non tollera divisioni e per la
quale al contrario serve un pensiero forte: la salute.
Perché la salute è di sinistra e necessita di un pensiero
forte? Perché la sua affermazione implica un
cambiamento della realtà, sapendo che per cambiare la
realtà ci vogliono tre cose: un soggetto riformatore, un
pensiero riformatore, un movimento riformatore.
Che sia la Cgil oggi a riproporci la questione della
salute (lo ha fatto da ultimo proprio nei giorni scorsi,
con il convegno di Perugia “La crisi ci rende matti”),
quindi una questione riformatrice di prima grandezza,
non meraviglia. Come non meraviglia che dalla Cgil la
salute sia da sempre abbinata strettamente al lavoro,
l’oggetto politico principale dell’azione sindacale, sia quando c’è, sia quando non c’è. Perché tanto il
lavoro che il non lavoro producono malattie. Il che ci autorizza a pensare che non è utopia ragionare di
alleanza tra l’ambiente in cui si lavora e l’ambiente in cui si vive.
Rammento che i problemi della salute mentale, oggi, vanno inquadrati dentro un peggioramento generale
delle condizioni di salute della popolazione: cala l’attesa di vita, cresce la morbilità e la mortalità
ovunque. Questo sindacato, in particolare negli anni settanta, è stato l’autore principale di una scuola di
pensiero dove il concetto di salute era assunto come un imperativo categorico: la salute non è negoziabile,
essa è un “a priori” morale, per cui è il lavoro che a esso si deve adattare, non il contrario.
Dopo quegli anni straordinari (gruppi omogenei, mappe di rischio, delegato alla salute ecc.), inizia una
fase definita “reflusso”, a partire dalla quale tutto si ribalta: la salute diventa sempre più negoziabile e
monetizzabile, ma soprattutto cessa di essere un imperativo categorico. Oggi la Cgil sa benissimo che non
ha senso tentare di tornare banalmente agli anni settanta, non esiste una macchina del tempo. Ha senso
però riattualizzare la questione salute nel terzo millennio e contestualizzare il problema del suo negoziato.
Cosa vuol dire negoziare oggi la salute? Per rispondere dobbiamo partire da una distinzione: un conto è la
ricchezza di un Paese e un conto è il suo Pil. Il Pil è solo la misura della ricchezza economica, ma la
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8 marzo. Diamo voce a chi non ce l’ha
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Evoluzione ed efficacia degli strumenti dell’Unione
Europea per la tutela dello stato di diritto negli Stati membri
Le turbolenze che hanno agitato la frontiera orientale dell’Europa e che hanno condotto
all’instaurazione di governi sempre più orientati su posizioni autoritarie e nazionaliste, hanno posto con
forza il dubbio in merito alla necessità di un intervento delle istituzioni europee a tutela dei principi
fondanti dello Stato di diritto, e degli strumenti giuridici più efficaci attraverso cui realizzarlo.
di Luigi Salvia
A tale scopo, la Commissione e il Parlamento europeo hanno di recente elaborato alcuni documenti
(Commissione Ue, COM(2014) 158, «Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di Diritto» e
Parlamento europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2016 recante raccomandazioni
alla Commissione sull’istituzione di un meccanismo dell’UE in materia di democrazia, Stato di diritto e
diritti fondamentali 2015/2254 INL) aventi, per ora, solo valore di indirizzo e quindi, per loro stessa
natura, in grado soltanto di arginare debolmente i fenomeni sempre più gravi di superamento o di rottura
dei principi dello Stato costituzionale democratico, che fino a qualche tempo fa apparivano del tutto
invalicabili.
La locuzione «Stato di Diritto» non possiede di per sé un significato univoco, anche se in estrema sintesi
appare riconducibile a due sostanziali letture. La prima formalista, che è il risultato di un’elaborazione
posta come caposaldo dello Stato liberale ottocentesco, che presuppone la sottrazione delle scelte
pubbliche all’arbitrio proprio dell’antico regime e postula la limitazione del potere attraverso la legge, il
controllo degli organi rappresentativi sugli esecutivi e la garanzia di una giurisdizione imparziale; la
seconda sostanzialista, emersa in seguito all’affermazione dello stato sociale e alla fine degli stati
totalitari, è volta invece alla garanzia sostanziale dei diritti fondamentali dell’individuo, visti come valori
universali da tutelare anche nei confronti della legge stessa, a prescindere dalla legittimazione
democratica.
Nella continua tensione tra le due diverse nozioni, si è affermata, anche alla luce dell’ampliamento degli
strumenti di tutela sovranazionale dei diritti fondamentali, un’ulteriore idea di “Stato di diritto
internazionale” (R. Bin, Stato di diritto, in Enc. Dir., Ann. IV, Milano, 2011), teso a far prevalere il
rispetto di determinati canoni anche al di là dei confini degli Stati, e dunque necessariamente al di fuori
del circuito immediatamente rappresentativo-democratico, a garanzia dei valori ritenuti indisponibili ed
irrinunciabili.
In questo contesto, l’Unione Europea ha progressivamente ambito ad acquisire i connotati di una
comunità non solo economica, ma anche sociale, nel più ampio senso del termine, come solennemente
affermato nell’art. 2 TUE, anche alla luce delle sue matrici culturali ed “ideologiche”, se solo si pensa ai
principi accennati nel Manifesto di Ventotene o nella Dichiarazione Schumann del 1950. Ciò ha implicato
che strumenti per la garanzia dei diritti fondamentali si siano affermati in modo sempre più incisivo, basti
pensare alla parabola della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, redatta con valore
meramente dichiarativo nel 2000, ed in seguito recepita con lo “stesso valore giuridico dei Trattati” nel
Trattato di Lisbona del 2007 (art. 6 TUE).
Tuttavia le affermazioni di principio non sono valse da sole a rendere effettiva la protezione dei diritti
fondamentali. La viva preoccupazione delle istituzioni europee, emersa negli ultimi anni in relazione ad
alcuni comportamenti dei governi dei paesi dell’est Europa, è stata espressa, per l’appunto, attraverso
l’adozione di atti volti a istituire un meccanismo di enforcement efficace per le norme europee a tutela di
principi e diritti fondamentali.
In primo luogo si segnala il meccanismo di cooperazione e verifica che si è attivato nell’ambito della
procedura di adesione di cui all’art.49 TUE – da ultimo nei casi di Romania e Bulgaria (Decisione C
2006/6570) – attraverso cui la Commissione europea interagisce e negozia determinate pratiche con gli
Stati candidati, con l’obiettivo di assicurare il rispetto dei valori enunciati all’art. 2 TUE – tra cui è
indicato lo Stato di Diritto.
Non è tuttavia previsto nei trattati un simile meccanismo nei confronti degli Stati Membri. Una violazione
talmente grave da attentare ai principi di democrazia e Stato di diritto fu valutata come una eventualità
remota, in relazione alla quale fu ideata una procedura basata essenzialmente sul metodo
intergovernativo. L’art. 7 TUE prevede, infatti, che il Consiglio possa approvare, in caso di «violazione
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per-la-tutela-dello-stato-di-diritto-negli-stati-membri/