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Da Infolampo: Lavoro – Pubblica Amministrazione

lavoro0017Il lavoro diminuisce e la vita si allunga. Sistema

sostenibile?

Il maggior driver di crescita dei costi è l’incremento progressivo della quota (più che raddoppiata) di

anziani sul totale della popolazione. In particolare, la percentuale di persone non più produttive che

risultano a carico della previdenza e del Ssn

di Nicola Giannelli, Rps (la Rivista delle politiche sociali)

Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.2 2016 de La Rivista delle

Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in

versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che

Rassegna dedica alla stessa Rivista

I sistemi di protezione sanitaria nascono in Europa su base

corporativa: fu la carneficina della seconda guerra mondiale a

spingere la Gran Bretagna verso l’universalismo. I tre

principi a cui si ispira sono la gratuità e l’uniformità

territoriale e la risposta a tutti i bisogni di cura dei cittadini.

L’Italia ha introdotto il sistema sanitario nazionale nel 1975,

ma ancora oggi non risponde pienamente a nessuno dei tre

criteri, non coprendo tutti i bisogni dei cittadini, lasciando al

pagamento in proprio o al pagamento parziale del cittadino

una parte del suo bisogno e non avendo una copertura

uniforme sul territorio italiano.

Eppure l’universalità ha un grande valore democratico, perché trasforma un servizio in un diritto.

Secondo l’Oms solo il 20% della popolazione mondiale è servita da sistemi universali, mentre ogni anno

150 milioni di persone subiscono catastrofi economiche o serio impoverimento per pagare spese sanitarie

impreviste. La riforma sanitaria dell’amministrazione Obama è stata concepita per ridurre questa

aleatorietà pur non abbracciando il principio universalistico.

Secondo l’Oms questo universalismo è molto minacciato quando la spesa out of poket, cioè quella privata

non assicurativa, supera il 20% del totale. L’Italia ha una spesa privata fatturata del 22% e all’interno di

questa la spesa out pocket è dell’87%, la percentuale maggiore tra i Paesi europei simili. Se poi si

considerasse anche il pagamento a nero la soglia del 20% verrebbe probabilmente superata.

Dal dopoguerra le due colonne dell’universalismo di Beveridge, il sistema sanitario e quello

previdenziale, hanno manifestato una crescita dei costi superiore alla crescita del reddito nazione e perciò

si ipotizza che in futuro l’universalità del servizio non potrà essere sostenuta. Questa crescita è dovuta a

diversi fattori. Per cominciare, nell’ambito di tutti i servizi di cura l’offerta di un buon servizio tende a

generare la richiesta da parte dei cittadini-elettori di un servizio migliore in un tempo successivo. R.

Levaggi e G. Turatti la chiamano “sindrome di Sisifo”. Altri fattori sono più specifici. “I determinanti

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Sisma: aggiornamenti

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Pubblica Amministrazione. L’Italia in zona retrocessione

La nostra Pubblica amministrazione arranca nei bassi fondi della classifica collocandosi al 17° posto su

23 paesi europei analizzati. Solo Grecia, Croazia, Turchia e alcuni paesi dell’ex blocco sovietico

presentano un indice di qualità inferiore al nostro. A guidare la classifica, invece, sono le

amministrazioni statali dei paesi del nord Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, etc.) (vedi

Tab. 1)

Scritto da Redazione

Questa graduatoria, segnala l’Ufficio studi della CGIA, ha come elemento di confronto un indice di

qualità che è il risultato di un mix di quesiti posti ai cittadini che riguardano la qualità dei servizi pubblici

ricevuti, l’imparzialità con la quale vengono assegnati e la corruzione. Oltre ai dati medi nazionali,

questa indagine consente di verificare anche le performance di ben 206 realtà territoriali. Il risultato finale

è un indicatore che varia dal +2,781 ottenuto dalla regione finlandese Åland (1° posto in Ue) al -2,658

della turca Bati Anadolu (maglia nera al 206° posto). Il dato medio Ue è pari a zero (vedi Tab. 2).

Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non rileviamo nessuna amministrazione pubblica del nostro

Paese. La prima, ovvero la Provincia autonoma di Trento, si colloca al 36° posto della classifica generale.

Di seguito troviamo la Provincia autonoma di Bolzano al 39°, la Valle d’Aosta al 72° e il Friuli Venezia

Giulia al 98°. Appena al di sotto della media Ue si posiziona al 129° posto il Veneto, al 132° l’Emilia

Romagna e di seguito tutte le altre regioni italiane.

Pesantissima la situazione che si verifica al Sud: ben 7 regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime

30 posizioni: la Sardegna al 178° posto, la Basilicata al 182°, la Sicilia al 185°, la Puglia al 188°, il

Molise al 191°, la Calabria al 193° e la Campania al 202° posto. Solo Ege (Turchia), Yugozapaden

(Bulgaria), Istanbul (Turchia) e Bati Anadolu (Turchia), presentano uno score peggiore della Pa campana.

Tra le realtà meno virtuose troviamo anche una regione del Centro, vale a dire il Lazio, che si piazza al

184° posto della graduatoria generale.

“Con una Pa di questo livello – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – gli effetti negativi

si fanno sentire anche nel settore privato. Quando ci rapportiamo con il pubblico i ritardi, le informazioni

inesatte, le procedure inutilmente complicate o addirittura vessatorie sono all’ordine del giorno. Tutto ciò

si traduce in perdite di tempo e di denaro, magari per pagare consulenti in grado di aiutarci ad evadere

tutta una serie di pratiche burocratiche spesso ridondanti. Ne risentono sia i comuni cittadini sia le

imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, con danni che si ripercuotono sul sistema-Paese”.

Ovviamente, segnalano dalla CGIA, la responsabilità di tutto ciò non va “scaricata” su chi lavora nel

pubblico. Anzi. I dipendenti pubblici spesso sono le vittime di questa situazione che non gli consente di

lavorare con mezzi e risorse sufficienti per svolgere il proprio compito.

Conclude il Segretario della CGIA Renato Mason:

“La sanità al Nord, le forze dell’ordine, molti centri di ricerca e istituti universitari italiani presentano

delle performance che non temono confronti in tutta l’Ue. Tuttavia è necessario rendere più efficienti i

servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, affinché siano sempre più centrali per il sostegno della

crescita, perché migliorare i servizi vuol dire elevare il prodotto delle prestazioni pubbliche e quindi il

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zona-retrocessione.html