Da Infolampo: Relazioni sindacali – Lavoro
I mille giorni che hanno innovato le relazioni sindacali
Tre anni fa veniva siglato il Testo Unico sulla rappresentanza. Martini: “Chi ama citare Lama e Trentin
per richiamare la storia e la cultura della Cgil deve sapere che mai sintesi più efficace ne è stata
realizzata come nell’intesa del 10 gennaio 2014”
di Guido Iocca
Il Testo Unico sulla rappresentanza, siglato da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria il 10 gennaio 2014,
compie oggi tre anni di vita. Un risultato – scaturito dall’applicazione degli accordi del 28 giugno 2011 e
del 31 maggio 2013 – che fu definito all’indomani
della firma di “grande rilievo per tutto il movimento
sindacale confederale”, in quanto finalizzato ad
ampliare gli spazi di democrazia e di partecipazione
alle decisioni da parte dei lavoratori, in particolare per
mezzo dell’introduzione di alcuni importanti
strumenti: dalla misurazione certificata della
rappresentanza all’esigibilità degli accordi, al ruolo
negoziale delle stesse Rsu. “Appare difficile tentare
un bilancio di questi primi mille giorni – commenta
Franco Martini, segretario confederale della Cgil, tra i
principali protagonisti tre anni fa di quella sofferta
intesa – decontestualizzando la nostra riflessione
dalle polemiche di queste ore, scaturite dalla
sconcertante lettera del direttore de l’Unità e rivolta al
segretario generale della Cgil Susanna Camusso”.
Rassegna Polemiche apparse fin da subito
strumentali, in qualche modo funzionali allo scontro
politico in atto…
Martini Certamente. Per spiegare quanto basterebbe dire che quell’intesa, che ha avviato una pagina
nuova nella storia del sindacalismo italiano e, più in generale, della rappresentanza delle forze sociali del
nostro Paese, è riuscita a suggellare una battaglia avviata fin dagli anni settanta, che ha visto sempre la
Cgil di Lama, Pizzinato, Trentin, Cofferati ed Epifani in prima fila. Un traguardo raggiunto soprattutto
grazie alla determinazione con la quale la Cgil di Susanna Camusso si è battuta per realizzare un obiettivo
che parla del dna della nostra confederazione.
Rassegna Insomma, niente a che vedere con lezioni dimenticate, né – men che meno – con tradizioni
rimosse.
Martini È così. Chi ama citare Lama e Trentin per richiamare la storia e la cultura della Cgil deve sapere
che mai sintesi più efficace di quella storia e di quella cultura è stata realizzata come nell’intesa in
questione, perché lì vengono gettate le basi del necessario e profondo rinnovamento del sindacalismo
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Voucher, Spi-Cgil: usati per 600
pensionati in tutta Italia; basta fango
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Lavoro, mercato bloccato dopo le riforme pensionistiche
Da novembre 2010 a novembre 2016 gli occupati sono aumentati di 160 mila unità. Ma, nello stesso arco
di tempo, i disoccupati sono diventati un milione in più. Tra i 25 e i 34 anni 632 mila occupati in meno.
Solo la classe 15-24 anni ha fatto peggio.
Qualche posto di lavoro in più, tre milioni di disoccupati che premono per ottenerlo. È la sintesi degli
ultimi sei anni del mercato del lavoro che appare dalle serie storiche dell’Istat. Da novembre 2010 a
novembre 2016 gli occupati sono aumentati infatti di 160 mila unità. Ma, nello stesso arco di tempo, i
disoccupati sono diventati un milione in più, passando da 2 milioni e 26 mila persone a 3 milioni e 89
mila.
L’EREDITÀ DELLA CRISI (E DELLE RIFORME). L’eredità della crisi rimane, nonostante il recupero
dell’occupazione che è iniziato alla fine del 2014, dopo il picco di 3 milioni 351 mila disoccupati toccato
a novembre di quell’anno. Quello che è successo è che le riforme delle pensioni Sacconi e Fornero, a
partire dal 2010, hanno bloccato sul lavoro centinaia di migliaia di persone.
DA INATTIVI A DISOCCUPATI. L’innalzamento dell’età pensionabile, le finestre mobili,
l’equiparazione tra lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego e altre misure hanno allontanato la fine
della carriera per gli occupati più maturi. Al tempo stesso, la seconda ondata della recessione ha portato a
cercare un impiego persone che prima non lo facevano e risultavano quindi tra gli inattivi. È questo il
caso di molte donne che si sono messe alla ricerca di un posto a seguito del licenziamento del loro
compagno e, se i loro sforzi non hanno avuto successo, sono finite nelle fila dei disoccupati.
LAVORATORI SEMPRE PIÙ ANZIANI. L’insieme di questi aspetti ha portato ad un esercito di
lavoratori sempre più anziani e ad un ingresso nel mondo del lavoro difficile per i più giovani. Negli
ultimi sei anni gli occupati over 50 sono diventati quasi 2 milioni in più, un’esplosione che è stata
accentuata dalle dinamiche demografiche, con l’invecchiamento della generazione del baby boom degli
Anni 50.
TRA I 25 E I 34 ANNI 632 MILA OCCUPATI IN MENO. Tutte le altre classi di età hanno registrato dei
cali e, in particolare, i ragazzi tra i 25 e i 34 anni hanno perso 632 mila occupati. Il loro tasso di
disoccupazione è salito, nello stesso arco di tempo, dall’11,5% al 18,9%, un livello pari al triplo di quello
dei lavoratori più anziani (5,6%).
SOLO LA CLASSE 15-24 ANNI HA FATTO PEGGIO. La situazione è più critica solo per la fascia d’età
più giovane in assoluto, quella tra 15 e 24 anni, che ha visto il tasso di disoccupazione schizzare dal 28%
di novembre 2010 fino al 43,5% di agosto 2014, all’apice della crisi del lavoro. Poi il miglioramento della
situazione economica generale, gli sgravi per le assunzioni del 2015 e il Jobs act hanno consentito dei
passi avanti.
GENERAZIONI PERDUTE. Piccoli progressi sono continuati anche dopo la riduzione degli incentivi,
nel 2016, fino alla primavera dello scorso anno: a marzo la disoccupazione giovanile è scesa al 36,7%, ma
poi è tornata a salire fino al 39,4% di novembre, un livello più che doppio rispetto a quello medio
europeo.
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riforme-pensionistiche/207679/