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Da Infolampo: Anziani – Dopo il referendum

come-prendersi-cura-degli-anziani-parte-un-corso-formativo-p-451027_660x368Anziani, prendersi cura di nipotini e figli allunga la vita.

L’importante è non strafare

Essere altruisti, non solo a Natale, e prendersi cura dei nipotini, dei figli e persino di persone con cui non

si ha un legame di parentela, può essere gratificante per gli anziani e allunga la vita. Coloro che hanno

la possibilità di farlo, senza esagerare, vivono più a lungo. Il dato emerge da uno studio dell’Università

di Basilea, in Svizzera, in collaborazione tra gli altri con il Max Planck Institute for Human Development

di Berlino, pubblicata su Evolution and Human Behavior.

Pubblicato il 27 dic 2016 da ansa.it

Sono stati presi in esame 500 adulti, tra 70 e 103 anni,

nell’ambito di uno studio sull’invecchiamento denominato

Berlin Aging Study, condotto tra il 1990 e il 2009, in

particolare sulla sopravvivenza.

Dai risultati è emerso che la metà dei nonni che si

prendevano cura dei nipoti erano ancora vivi dopo circa 10

anni dal primo contatto, e così anche gli anziani che non li

avevano, ma aiutavano ad esempio i figli nelle incombenze

domestiche. Al contrario, coloro che non offrivano

supporto, risultavano in media deceduti nel giro di cinque

anni.

I ricercatori sono stati in grado di dimostrare anche che

l’effetto positivo del prendersi cura degli altri sulla

mortalità non era limitato all’ambito familiare. Anche gli

anziani senza figli che fornivano supporto emotivo ad altre

persone mostravano dei benefici.

La metà di coloro che aiutavano altre persone risultavano

aver vissuto per almeno altri 7 anni, mentre chi non lo

aveva fatto solo per altri 4.

“Fornire aiuto non deve essere inteso come la panacea per una vita più lunga”, avverte però Ralph

Hertwig, uno degli autori dello studio. “Un moderato livello di coinvolgimento sembra avere effetti

positivi – aggiunge – ma studi precedenti hanno dimostrato che se il coinvolgimento è più intenso, può

essere causa di stress”. (ANSA).

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non-strafare.html#more-7635

La tempesta perfetta

del nostro tempo

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Dopo il referendum

La chiusura di una fase, senza una soluzione. Il referendum costituzionale svoltosi il 4 dicembre 2016 ha

una genesi complessa: in parte da riportare ai molteplici tentativi di riforma della seconda parte della

Costituzione, in parte da ricondurre alla crisi economico-finanziaria scoppiata negli Stati Uniti nel corso

del 2007.

dii Raffaele Bifulco

È un fatto che la proposta referendaria si inserisce, a pieno titolo, nella lunga fase di progetti e proposte di

revisione costituzionale risalenti almeno al 1994. In quell’anno il c.d. Comitato Speroni formalizza una

prima proposta di revisione del bicameralismo. Non che non si possano identificare in precedenza altre

idee che andavano in questo senso; tuttavia è questa la prima formalizzazione di un processo che,

passando poi per la Commissione D’Alema del 1997, le revisioni costituzionali del 1999 e del 2001, la

‘controriforma’ del Governo Berlusconi del 2005-6, la c.d. bozza Violante del 2009 (per non citare

‘bozze’, ‘lodi’ e altri avvii di revisioni poi abortiti), arriva fino ad oggi.

E se questa serie di tentativi può essere guardata in una chiave tutta nazionale, si sbaglierebbe a valutare

le elaborazioni più recenti nella stessa prospettiva. Nel corso del 2013, il Gruppo di lavoro sulle riforme

istituzionali, nominato dal Presidente della Repubblica Napolitano, e la Commissione per le riforme

costituzionali, istituita dal Presidente del Consiglio Letta, esprimono esigenze che non sono solo

strettamente nazionali bensì rispondono a input provenienti da un contesto europeo, se non globale. La

famosa e, a dir poco, irrituale lettera dei due governatori della BCE dell’agosto 2011, l’intero processo

europeo di riforma della governance del bilancio, la conseguente riforma costituzionale del 2012 sono

momenti di un processo di riforma istituzionale e costituzionale che non può essere più pensato -e qui si

inserisce un aspetto dilemmatico, difficilmente componibile, se non all’interno di un processo costituente

europeo- in termini esclusivamente nazionali. Anche le riforme costituzionali, in altri termini, vanno

pensate in una chiave post-nazionale.

Rimanendo convinto che un nuovo equilibrio del Parlamento e un ripensamento dei rapporti Stato-
Regioni siano quanto mai opportuni, mi pare di poter dire che il referendum chiude questa fase di riforme,

senza che però si sia trovato un nuovo assetto.

I contenuti della riforma costituzionale e le tendenze riformatrici pregresse. La riforma provava a

chiudere questa lunga stagione di tentativi di riforma, che mai erano riusciti a toccare il cuore dell’assetto

organizzativo dello Stato. E lo faceva -mi sentirei di dire- in continuità con questi progetti.

Ad uno sguardo attento, non può infatti sfuggire che tutti i progetti di revisione che ho menzionato, con

riguardo al profilo della modifica del bicameralismo perfetto, svolgevano un medesimo filo rosso che, in

estrema sintesi, può così sintetizzarsi. Il primo dato comune è che tutti i progetti in parola si orientavano

verso l’elezione indiretta dei senatori in due differenti versioni: o quella di un Senato composto

integralmente da membri eletti in via indiretta ovvero quella di un’integrazione dell’attuale Senato, per

speciali sessioni, attraverso rappresentanti delle istituzioni territoriali. Faceva eccezione solo il progetto

del Governo Berlusconi nel 2005-6, che proponeva l’elezione diretta dei senatori; coerentemente il

progetto manteneva l’espressione della fiducia in capo ad entrambe le Camere. Il secondo dato comune è

che tutti i progetti menzionati prevedevano la presenza, nel Senato, di rappresentanti delle Regioni ma

anche, in forme differenti, degli enti locali.

Il progetto bocciato il 4 dicembre era in linea di continuità con questi dati. Elezione indiretta e presenza

dei Sindaci, oltre che dei consiglieri regionali, erano anche i suoi punti caratterizzanti. E quanto al

vituperato procedimento legislativo che, a dire dei critici, il progetto in parola avrebbe enormemente

complicato, voglio aggiungere che anche nei precedenti progetti la differenziazione delle due camere

comportava necessariamente una differenziazione dei procedimenti. L’eccessiva complessità del

procedimento legislativo è stato uno degli spauracchi più maldestramente utilizzati -o per ignoranza

effettiva o per consapevole alterazione della realtà- da una parte degli oppositori. Per convincersene,

basterebbe dare uno sguardo attento al modo in cui è ripartita la potestà legislativa in alcune materie –

come l’ambiente- nella costituzione tedesca a seguito della riforma del 2006.

Diversa -e, a mio avviso, più complessa- è la valutazione del progetto di riforma in relazione ai rapporti

Stato-Regioni. La riforma era in linea con il sostanziale riaccentramento di competenze, che il legislatore

ha operato negli ultimi dieci con il sostegno della Corte costituzionale. Indubbiamente lo spostamento

delle competenze legislative verso lo Stato era sostanzioso. Non per questo ciò avrebbe rappresentato,

come pure si è spesso sentito dire nel corso della campagna referendaria, una diminuzione dell’autonomia

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