Da Infolampo: Camusso – Referendum
Camusso, provano a scappare ma prima o poi si andrà
alle urne
Intervista del segretario generale Cgil a ‘La Stampa’15/12/2016
Carta dei diritti: 11 gennaio Corte costituzionale esaminerà referendum Cgil
I tre referendum della Cgil, su cui molti hanno ironizzato, sono diventati un fattore chiave della politica
italiana.
Susanna Camusso, segretario generale del sindacato di Corso d’Italia, se la ride di cuore: «Certamente
non lo avevamo pianificato – spiega, uscendo da un
dibattito sul futuro del sindacato all’università La Sapienza
– pensiamo che si siano clamorosamente fatti male da soli,
e certo non potevamo prevederlo. Abbiamo sempre pensato,
e i fatti ci danno ragione, che il tema della qualità del lavoro
sarebbe tornato centrale e che per parlare di qualità del
lavoro bisogna parlare dei diritti dei lavoratori. Abbiamo
presentato una proposta di legge con quattro milioni di
firme e tre quesiti referendari esattamente per questo. Così
come pensiamo che non si possa “scappare” facendo il
giochino delle date».
A quanto pare, nel Pd (ma non solo) si sta cercando il modo
di far saltare il referendum: il sistema più ovvio è andare al
voto anticipato. Una eventualità che non sconvolge più di
tanto il leader della Cgil. «Se l’11 gennaio la Corte Costituzionale autorizza i tre quesiti – replica
Camusso – su una cosa sono tranquilla: prima o poi bisognerà votarli». Anche se, chiarisce, «forse
bisogna confrontarsi con i problemi, invece di pensare di rinviarli».
Tuttavia, ricordiamo alla sindacalista, tutti i partiti – nessuno escluso – hanno affermato che la formazione
del governo Gentiloni aveva come scopo pressoché unico aggiustare la legge elettorale per poi andare
subito alle elezioni. «L’avranno detto tutti; ma l’unico che certamente non l’ha detto è il Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella», è la risposta.
Apparentemente, Renzi e i suoi sembrano essersi convinti che, se si votasse in primavera, i referendum
sul lavoro e i diritti della Cgil conseguirebbero il quorum e si chiuderebbero con una vittoria dei «sì» che
farebbe risorgere l’articolo 18. «Sicuramente una politica che a lungo ha scommesso sul non voto ai
referendum e sulla diminuzione dei votanti ha avuto una brutta sorpresa il 4 dicembre», afferma la
sindacalista, che comunque sa bene che la partita del quorum è tutt’altro che scontata, e che servirà una
difficile campagna di informazione. «Ma il punto centrale non è questo – prosegue – bisognerebbe
discutere della sostanza. Si vuole oppure no restituire ai lavoratori italiani alcuni significativi diritti?». In
altre parole, dice Susanna Camusso, «siamo assolutamente coscienti che serva un riordino compiuto di
Leggi tutto: http://www.cgil.it/camusso-provano-scappare-si-andra-alle-urne/
I sindacati pensionati di Cgil e
Cgt firmano appello al confine
tra Italia e Francia
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Dal no al referendum alla politica dal basso
Il No del 4 dicembre è anche una richiesta chiarissima di un rapido e netto cambiamento. Che può
avvenire solo se la sorprendente partecipazione al voto si espande in un protagonismo sociale, diffuso e
organizzato
di Grazia Naletto
65: sono secondo Openpolis le questioni di fiducia richieste al Parlamento dal Governo Renzi nel corso
del suo mandato, in media 2 al mese. Alcuni esempi non proprio secondari: a colpi di fiducia sono stati
approvati il Jobs Act, lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, l’Italicum e il decreto fiscale 2016. L’ultima è
quella richiesta e ottenuta sulla Legge di Bilancio 2017, licenziata in aula al Senato in 24 ore con 166 voti
contro 70 no e un’astensione il 7 dicembre.
La partecipazione popolare sorprendente al voto del 4 dicembre e lo scarto di ben 18 punti tra il sì e il no,
probabilmente raccontano anche questo: la prassi consolidata (ben prima dell’ultimo esecutivo) di
approvare a colpi di fiducia norme e riforme che incidono pesantemente sulla vita quotidiana di tutti noi è
divenuta insopportabile. Esprime infatti molto bene, così come l’altrettanto frequente ricorso ai decreti
legge, il progressivo svuotamento del ruolo del Parlamento a favore di quello dell’esecutivo effettuato nel
corso degli ultimi anni. E tra gli elementi distintivi sostanziali della riforma Costituzionale voluta e
imposta al Parlamento dal Governo, per fortuna rinviata al mittente, vi era proprio quello di sancire in
modo definitivo la subordinazione dei rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti al potere
dell’esecutivo.
È naturalmente difficile fornire un’interpretazione univoca del significato di quel 70% di partecipazione
al voto e di quel 60% di elettori che hanno rigettato la riforma. Tuttavia alcuni segnali sembrano emergere
chiaramente.
La protezione della Costituzione
Gli elettori hanno rifiutato in modo netto il tentativo di stravolgere la Costituzione ben comprendendo la
portata antidemocratica della riforma che, con la riduzione del numero di Senatori, trasformati in
nominati, una confusa ripartizione della funzione legislativa tra le due Camere e una profonda lesione
dell’autonomia delle regioni, avrebbe ridotto ulteriormente la possibilità dei cittadini di condizionare e
controllare l’operato di chi li governa. Il No del 4 dicembre è anche, sicuramente, un no all’arroganza del
potere di uno solo o di una minoranza potente.
La decostruzione della retorica renziana
Il voto è un no al renzismo. Il cerchio magico che ha miscelato i rapporti con i grandi poteri economici e
finanziari con la retorica della rottamazione, della velocità e del nuovismo, l’ostentazione di una
ribellione all’austerità dell’Europa e con riforme pesantissime a danno dei lavoratori, della tutela dei beni
comuni, della garanzia pubblica dei diritti sociali e a favore dei privilegi, si è quanto meno infranto.
Un no squisitamente politico
Ad essere bocciate sono infatti soprattutto le politiche neoliberiste operate in questi anni. Le condizioni
materiali di gran parte dei protagonisti del no, giovani, disoccupati e persone con redditi bassi, lo
esplicitano molto bene. Le analisi del voto sembrano indicare che le favolose aspettative create con
l’introduzione degli 80 euro in busta paga, l’approvazione del Jobs Act, del Salvaitalia e della Buona
scuola si sono liquefatte di fronte ai più di 4,5 milioni di persone che si trovano in condizione di povertà
assoluta, all’11,6 % di disoccupati, al 34,6% di disoccupati giovani e (un po’ meno) ai pensionati beffati
con l’Ape “volontaria”. Si vedano in tal senso l’articolo di Roberta Carlini qui: www.internazionale.it e i
dati proposti da Ilvo Diamanti qui: www.repubblica.it
La macchina della propaganda non ha funzionato
Il voto del 4 dicembre ci racconta anche un’altra cosa. Nonostante l’incredibile dispiegamento di mezzi e
risorse, l’onnipresenza del Presidente del Consiglio sui grandi media, l’utilizzo spregiudicato, anche a
pagamento, dei social network, di Youtube, del mass-mailing e via dicendo, la maggioranza degli elettori
ha dimostrato di sapere pensare con la propria testa.
Una delegittimazione della politica
Sarebbe un errore non scorgere nel No anche una dirompente protesta nei confronti dell’inefficacia e
dell’impotenza della politica. Una protesta che è stato possibile far convergere nel no anche grazie alla
pluralità delle forze politiche contrarie alla riforma, ma che è molto più difficile tenere insieme su un
progetto di cambiamento comune, condiviso e di sinistra. La vittoria del 4 dicembre è stata sicuramente
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