To be social or not to be social
La morte di Tiziana Cantone ha scatenato la solita querelle di polemiche e dato la stura ad una schiera di
tuttologi e moralisti dell’ultima ora, genìa che se esistesse la legge del “scagli la prima pietra”, affollerebbe
la messe dei lapidati. Dare la colpa ai social o ad internet, evocare tagliole e leggi, serve solo come foglia di
fico a mascherare le miserie umane. Social e talent sono la materia del giorno tutti i giorni, chi li ama e chi li
odia, chi ne parla troppo e chi ne parla senza conoscerli.
I vari social sono semplici strumenti, stupidi ed utili come un qualunque attrezzo da cucina, ne puoi fare
buon uso o cattivo a seconda del soggetto, con un coltello da cucina puoi preparare un ottimo spezzatino e
mozzarti un dito, la colpa non è certo della lama. Come qualunque altro strumento internet ed i vari canali
social possono essere preziosi, fare nascere connessioni, creare opportunità, permettere di ritrovare
amicizie perse nel tempo.
Dietro una tastiera ci si sente tutti leoni, come nella curva sud di un qualunque stadio di calcio, se incontri
l’arbitro per strada a malapena ti permetti di salutarlo, se lo vedi quando sei in mezzo al branco lo insulti
fino alla quinta generazione. Riuscire a dare il peggio di sé è una cosa che all’uomo è sempre riuscita molto
bene, in questo la virtualità ha dato la possibilità ad ogni persona problematica e repressa di esprimere la
sua rabbia e protervia verso elementi più deboli.
Tiziana, come tanti altri, era una donna che viveva la propria sessualità come legittimamente preferiva,
Youporn in Italia è uno dei mercati più floridi per la multinazionale del sesso, gli italiani fanno la fila per
recarsi in chiesa e per vedere sesso online nella stessa misura. Non è stata tradita dai social, ma da persone
che conosceva e di cui si fidava, uomini sbagliati che ne hanno approfittato, assieme a tanti altri che si sono
sentiti in diritto di giudicarla ed offenderla.
Un social è sempre bene ricordare che è come una piazza, un bar, la parola condividere per la sua stessa
semantica significa mettere in comune le proprie conoscenze, sicuramente è prudente non diffondere
notizie personali riservate. Ma tutto quanto attiene alla privacy è giustamente patrimonio del titolare delle
informazioni. Ci sarebbe piuttosto da discutere sul trattamento dei dati che, come il caso Safe Harbor ha
dimostrato, fanno i social medesimi. Ed ancora sul timing della giustizia italiana, con un mondo reale che
viaggia in tempo reale, c’è voluto un anno e mezzo per dare ragione a Tiziana nelle aule di tribunale.
I social sono uno strumento potentissimo potenzialmente, se usati nella maniera giusta permettono
interazioni ed ampliamento della conoscenza, se adoperati bovinamente o per dare semplice sfogo alle
proprie frustrazioni possono diventare l’ennesima occasione persa.
MAURIZIO DONINI