Da Infolampo: Inps – Voucher
Inps: Cgil, pretendiamo chiarezza e trasparenza nei conti
dell’Istituto
Roma, 6 luglio – “Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps – fa sapere la Cgil in un
comunicato – ha approvato ieri con 8 voti favorevoli, 5 contrari e 3 astenuti (che
equivalgono a voti contrari), la nota di variazione al bilancio dell’Istituto, già bocciata
all’unanimità il 28 aprile scorso”.
“La Cgil – prosegue il comunicato – ha votato contro
la delibera, non ritenendo risolti i punti di sofferenza
che la delibera stessa presentava. Le motivazioni sono
rappresentate dalle forti criticità che la gestione del
bilancio Inps evidenzia. In primo luogo
l’impossibilità, dopo innumerevoli richieste senza
risposta, di conoscere il valore ed il rendimento di
ciascun immobile, impedendo al Consiglio di
verificare l’esatta consistenza del patrimonio
immobiliare. In secondo luogo la mancata conoscenza
dello stato effettivo dei crediti contributivi
dell’Istituto, pari a 104 miliardi, assolutamente
incoerenti con le comunicazioni di Equitalia al
Parlamento circa il loro recupero. La gestione della cassa Enti Locali (Cipdel) presenta un
fortissimo sbilancio destinato, senza correttivi, a diventare nei prossimi 20 anni una
voragine, e l’Inps non svolge alcuna attività ispettiva per controllare la correttezza delle
dichiarazioni e dei versamenti. In terzo luogo, il fatto che si sia deciso di spostare,
contrariamente alle indicazioni del Consiglio, 35 miliardi di oneri per l’assistenza sui conti
della previdenza, con ciò falsando profondamente i conti delle pensioni, e fornendo dati
non reali sul costo effettivo del sistema pensionistico. E in quarto luogo, per la scelta del
Governo di continuare ad attingere senza limiti dalla liquidità dell’Istituto, con ciò
erodendo ogni anno di più la situazione patrimoniale e la stabilità dell’Inps”.
“La Cgil – conclude il comunicato – continuerà ad esigere chiarezza e trasparenza e a
pretendere un confronto basato su dati certi e riscontrabili, per difendere il ruolo
dell’Istituto e i diritti dei cittadini”.
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Cgil: basta odio e razzismo
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Voucher, come sfuma il confine tra lavoro formale e
informale
Il buono, anche se usato secondo la norma, permette un’emersione solo contabile, lasciando sul piano
dell’informalità questioni cruciali come la definizione del contenuto del rapporto. Il 7 luglio a Bologna
presentazione di una ricerca dell’Ires regionale
di Gianluca De Angelis e Marco Marrone
Chiunque abbia seguito almeno una partita di calcio avrà di certo avuto modo di apprezzare l’abilità dei
commentatori nel vivacizzare, con parole, momenti di gioco che magari vivaci non sono. Ecco, per
commentare l’aggiornamento dell’Osservatorio sul precariato reso disponibile dall’Inps qualche giorno
fa, ci piacerebbe avere un po’ di quell’abilità. Anche i dati diffusi nell’aggiornamento al primo
quadrimestre 2016, infatti, confermano le tendenze già evidenziate nei primi mesi dell’anno.
In primo luogo, si legge nella sintesi dell’Inps, si conferma che con la fine degli incentivi alle assunzioni
a tempo indeterminato è terminata anche la crescita delle forme più stabili di occupazione che aveva
caratterizzato il 2015. Si tratta di un dato da non sottovalutare, visto che è in nome di quella crescita che,
con il Jobs Act del governo Renzi, il contratto a tempo indeterminato ha perso una parte significativa
delle sue caratteristiche tradizionali. Il secondo elemento riguarda invece il lavoro accessorio, che nel
primo quadrimestre del 2016 continua la sua corsa con incrementi a due cifre sull’anno precedente (più
43,1%).
I dati dell’Inps consolidano, insomma, l’impressione che se è vero che in Italia è il lavoro a mancare, lo è
anche la possibilità di trarre dal lavoro un riconoscimento dignitoso. E se questo vale per l’Italia nel suo
complesso, ciò è tanto più vero per le regioni meridionali, dove – sempre con riferimento al mese di aprile
– il lavoro accessorio cresce con variazioni che vanno dalle massime di Puglia e Sicilia, rispettivamente
più 14,5% e più 13,8%, alle minime di Abruzzo e Molise, più 1,3% e più 1,5%.
Le variazioni sono negative nella gran parte delle regioni settentrionali, Valle d’Aosta e Liguria in testa, o
minimamente positive nelle altre. Come è stato più volte rilevato negli scorsi aggiornamenti, per quanto
riguarda le regioni più significative per il ricorso al lavoro accessorio, le variazioni sono minime. Si tratta
di Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Tra queste, solo il Piemonte varia negativamente
(meno 1,6%), mentre è l’Emilia Romagna a crescere di più. Il dato è reso ancor più significativo dal fatto
che grazie a quel più 4,4%, la regione guadagna il secondo posto per numero di voucher venduti su scala
nazionale.
Si tratta di qualche migliaio di buoni, certo, niente più di qualche blocchetto (virtuale), ma abbastanza per
accrescere l’interesse nei confronti del primo tentativo di approfondimento voluto dall’Ires regionale, una
ricerca (“Voucher, il lavoro accessorio in Italia e in Emilia Romagna”) i cui risultati saranno presentati a
Bologna il 7 luglio assieme ai rappresentati delle categorie maggiormente interessate dal fenomeno.
Svolto tra i mesi di gennaio e maggio 2016, lo studio ha un duplice intento. Da un lato, mira alla
sistematizzazione del quadro frammentato delle informazioni statistiche che hanno acceso il dibattito
pubblico sulla questione dei voucher e, dall’altro, esplora l’impatto dello strumento sulla vita lavorativa
dei voucherizzati, così come si è definita una delle ragazze che hanno partecipato alla ricerca. Le
interviste sono state raccolte quasi esclusivamente nella provincia di Bologna: nonostante ciò, gli
elementi che emergono e che costituiscono i punti di maggiore interesse, ci paiono offrire spunti rilevanti
ben oltre la limitazione territoriale del nostro intervento.
L’INIZIATIVA DEL 7 LUGLIO
Mentre i mezzi di informazione e il governo si concentrano sull’utilizzo illecito dello strumento che ne
tradirebbe l’intento originario, quello che va configurandosi è un processo ben più ampio, di ridefinizione
del confine tra lavoro formale e informale. Intendendo con ciò, in prima approssimazione, tra il lavoro
normato nell’ambito della legislazione e della contrattazione nazionale e tutto ciò al di fuori di esso. E se
il contratto di lavoro formalizza una relazione di subordinazione definendo allo stesso tempo i limiti di
azione del potere direttivo, il suo superamento ne svela le prerogative in fatto di diseguaglianza.
Per questo, nonostante l’accessorietà produca una parificazione semantica tra le parti del rapporto di
lavoro, la traduzione empirica ci restituisce, al contrario, l’esasperazione della distanza tra chi vende il
proprio lavoro e chi, acquistandolo, ne dispone il riconoscimento. Ma non si tratta solo dell’estensione del
potere direttivo che la subordinazione nuda comporta. Il contratto di lavoro, per come lo abbiamo
conosciuto fino a oggi, oltre a informare i contenuti della relazione lavorativa, produce significati di più
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