Da Infolampo: L’Aquila la grande lentezza – Legalizzazione della cannabis, “Parliamone”
La città è oggi il più grande cantiere d’Europa. Ma i tempi sono lunghi e manca la ricostruzione sociale.
A Paganica invece è quasi tutto fermo: qui lo Spi Cgil ha portato la street art per smuovere le acque.
“Riaccendiamo i riflettori con la cultura”
di Maurizio Minnucci
L’AQUILA – La zona rossa di Paganica è deserta. Un cumulo di macerie. A ridosso del prezioso borgo –
fino a qualche anno fa meta delle gite scolastiche di tutto il
circondario – sorge la scuola media chiusa dopo il terremoto.
La parte sinistra della facciata a prima vista sembra in buono
stato. L’altro lato no, è pericolante. E allora i progettisti hanno
deciso di buttare giù tutto: saranno le ruspe a completare
l’opera demolitoria iniziata sette anni fa dal sisma. Pesa, però,
l’incognita dei tempi per la ricostruzione. La burocrazia, si sa,
ha le sue lungaggini; i fondi ci sarebbero, ma la coperta è
sempre troppo corta e prima del 2020 – dicono da queste parti
– non si tirerà su nemmeno un nuovo mattone.
Proprio qui, sulla facciata dell’ex scuola abbandonata, spicca
la grande opera di StencilNoire, gigantografia dei volti di due
anziani che paiono innamorati, rugosi eppure sorridenti. Non
fai in tempo a girare l’angolo sulla provinciale ed ecco
spuntare l’altro imponente murales che quasi si fonde col
primo tra gli spigoli del palazzo. L’ha disegnato Solo, un
giovane artista romano – poco conosciuto dai noi, negli Stati
Uniti è praticamente una star – , il quale ha voluto dipingere
sulla parte di muro a lui assegnata una giovane donna in
lacrime, perfetto contraltare dell’altro disegno con i due vecchi. Il colpo d’occhio è da brividi. Sono sette
in totale i murales che impreziosiscono le case diroccate di Paganica, periferia dimenticata tra le macerie
del 6 aprile 2009. L’idea di farne una mostra a cielo aperto è stata dello Spi Cgil insieme ai ragazzi del
Re_Acto Fest (qui gli artisti che hanno aderito).
Il sindacato dei pensionati abbraccia così una nuova forma artistica e comunicativa – riprendendo l’antica
usanza della Cgil di collaborare con l’arte contemporanea – e sperimenta il linguaggio forte e incisivo
della cultura urbana. Il nome scelto è “Effimera Edition” per rimarcare il carattere momentaneo delle
opere realizzate su muri da abbattere o da restaurare. Il fine ultimo è ricordare che a Paganica il processo
di ricostruzione è allo stato embrionale e migliaia di persone (per la maggior parte anziani) sono costrette
ancora nelle new town. Un segnale, un monito, un invito a fare presto. “La street art ha di per sé una
natura effimera, soggetta com’è alle intemperie o al vandalismo o ad essere ricoperta”, spiega l’ideatore
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/laquila-la-grande-lentezza
www.internazionale.it
È ora di parlare seriamente di legalizzazione della
cannabis in Italia
Ecco una frase di Leonardo Sciascia che mi porto sempre dietro:
Ogni magistrato, una volta superate le prove d’esame e vinto il concorso, dovrebbe passare almeno tre
giorni di carcere fra i comuni detenuti, e preferibilmente in carceri famigerate come l’Ucciardone o
Poggioreale. Sarebbe indelebile esperienza, da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello ogni volta
che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza. Ma mi rendo conto che contro
un’utopia è utopia anche questa.
di Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale
Ecco chi in carcere ci finisce per davvero: novemila persone accusate di possesso e spaccio di cannabis,
su diciottomila giudicate colpevoli per crimini legati alla droga, su cinquantaquattromila detenuti nel
2014.
Chi è accusato di possesso o spaccio di cannabis in Italia può essere multato, nel migliore di casi; ma può
anche finire in galera, se la legge chiama in soccorso la ferocia.
Giusto per usare un’immagine: il disastro riguarda così tante persone che messe insieme formerebbero la
ventunesima regione italiana, la decima per numero di residenti. Un’intera regione di tossici e criminali,
per la legge italiana.
Dare un’occhiata ai dati può aiutare a capire meglio la situazione:
•i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno fumato cannabis almeno una volta nel 2014 sono 690mila (il
24,31 per cento, quasi il 2 per cento in più rispetto al 2013).
•Le persone tra i quindici e i sessantaquattro anni che lo hanno fatto sono 2,3 milioni.
•La direzione nazionale antimafia parla di “un mercato che vende, approssimativamente, fra 1,5 e 3
milioni di chilogrammi all’anno di cannabis (…) per un consumo di circa 25/50 grammi pro capite (pari a
circa 100/200 dosi)”.
•Se la cannabis fosse legalizzata, i guadagni per lo stato oscillerebbero tra i 5,5 miliardi e gli 8,5 miliardi.
Queste cifre dimostrano il fallimento della decennale lotta italiana contro le droghe leggere. Come tutti i
numeri, hanno il dono della chiarezza, ma anche il vizio di ignorare ciò che non è misurabile. E in questa
faccenda le cose difficili da misurare sono tante.
Per dire: quanto può pesare anche una sola notte passata in carcere sul resto delle notti della nostra vita?
Quanti giorni si passerà a discutere con genitori, amori, professori, capi per convincerli di non essere dei
tossicodipendenti? E quanto pesano le ore passate al Sert? Quanta colpa si deve provare se si pensa che in
fondo si stanno dando soldi alle mafie?
Ho conosciuto un ragazzo la cui storia può aiutare a rispondere a queste domande, perché c’è di mezzo il
suo corpo, e i corpi non mentono, hanno la straordinaria capacità di tradurre in materia anche le angosce
più impalpabili, i cavilli più astrusi di una legge, gli errori che tutti potremmo compiere.
Primo intermezzo: voi siete qui
Prima però bisogna capire qual è la situazione in cui ci si muove. Dopo l’abrogazione per
incostituzionalità nel 2014 della legge Fini-Giovanardi, la ministra della salute Beatrice Lorenzin ha
recuperato con un decreto la Iervolino-Vassalli del 1990. Tra le due leggi c’è un abisso.
Ecco cosa stabiliva dal 2006 al 2014 la legge Fini-Giovanardi:
•La differenza tra droghe leggere e pesanti era cancellata.
•Le quantità minime per uso personale potevano essere di cinquecento milligrammi di principio attivo,
cioè cinque grammi di cannabis, ovvero dieci-quindici canne.
•Se trovati con più di cinque grammi di cannabis si rischiava il carcere, da un mese a un anno.
•La pena per un piccolo spacciatore andava dai due ai sei anni.
•Le sanzioni amministrative prevedevano la sospensione della patente, del passaporto, del porto d’armi e
del permesso di soggiorno per motivi di turismo.
Oggi la situazione è questa:
•Viene fatta una differenza tra droghe leggere e pesanti, e l’uso personale delle prime non è più un reato,
ma è punito da sanzioni amministrative (sospensione di patente, passaporto, porto d’armi e permesso di
soggiorno dai due ai quattro mesi).
•Le quantità minime per uso personale sono di cinquecento milligrammi di principio attivo, cioè cinque
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cannabis