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Mostra: “METAFISICA DEL PAESAGGIO” MUSEI CIVICI

metafisicapaesaggioMACERATA – Continua con successo, a Macerata, la mostra “Metafisica del paesaggio”, inaugurata il 22

aprile presso i Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi in Via Don Minzoni 24 che proseguirà fino al prossimo 22

maggio (Info: tel. 0733.256361). Dalle incisioni di Giuseppe Mainini (scomparso nel 1981), alla pittura

metafisica e onirica di Carlo Iacomucci, quella crepuscolare di Ubaldo Bartolini, o surreale di Riccardo

Piccardoni, del “labronico” Arnoldo Ciarrocchi (scomparso nel 2004) con l’astrattismo di Paolo

Gubinelli; dalla fotografia sfumata  di Renato Gatta e quella più poetico-realista di Sandro Polzinetti, fino

alla scultura soggettuale-materialistica di Francesco Roviello

Questo evento, mi dà l’occasione di ulteriore commento (dopo l’intervento il giorno dell’inaugurazione) intorno il contesto

in cui si esplicano le opere di nove artisti e l’intento vero e proprio degli organizzatori. La Mostra è stata promossa e curata

dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Macerata.

Come dice il critico d’arte Roberto Crespi, a commento della Mostra, sia Bruno Zevi, come Adriano Olivetti, in un

passato non antico, anche se diametralmente equidistanti, hanno avuto l’esigenza di considerare le geometrie costruttive nei

luoghi naturali quali bellezze da identificare con l’ambiente che dovrebbero armoniosamente integrarsi alla morfologia del

luogo. Questioni praticamente in dibattito da un paio di secoli, soprattutto in quest’ultimo passato attraverso un contesto

più che altro conseguente a la moltiplicazione dell’investimento monetario, con un accanimento quanto mai deplorevole

della speculazione edilizia selvaggia, dequalificando l’ambiente secondo le esigenze del consumismo e del liberalismo più

sfrenato. Questa Mostra maceratese mi risulta oltremodo intelligente, in quanto, dato il suo contesto, coinvolge artisti di

varie discipline che testimoniano l’oggetto del discorso suggerito da Roberto Crespi. Discorso che in nessun modo intacca

quello spirito umano quando si protende a unire ideale, reale e naturale, escludendo il mero artificio proveniente dal

profitto che una pessima architettura ha proposto ed attua senza alcuna vergogna. In tal senso, considerando artisticamente

questa etica,  spicca quella che fu la “materia” elaborativa di Edoardo Persico (del quale ricorre proprio quest’anno

l’ottantesimo anniversario della morte) che promosse una certa identità prospettica come fusione di paesaggio-arte-

architettura.

Occorre rifarsi, dunque, alle infanzie come potenziali ricordi delle geometrie che “ingombrano” il paesaggio come un

ricordo al passato della socratica avversità nello stendere l’oggetto-dimora, o quell’altro contributivo alla società e

alla civis architettonica dove l’incontro tra gli esseri umani (con i loro mille intenti) sia diverso da un semplice oggetto

raccolto su una spiaggia, come se l’esito della mano che lo raccatta pregiudicasse il suo statuto di oggetto. E dunque, “se

questo oggetto spiaggiato dal mare non è possibile rinviarlo oltre modificandolo attraverso una negazione all’appartenenza

dell’oggetto stesso”, occorre saper collocarlo amabilmente in ciascun contesto spazio-temporale.

E’ intorno l’ambiente “malato” che Roberto Crespi preme coinvolgere quelli architetti “sani” della provincia di Macerata;

coloro che si situano nell’orientamento intorno la coscienza della conservazione del paesaggio; espressione metafisica che

prevalentemente viene recepita e tradotta dagli artisti “in Mostra”. Molteplici sono i linguaggi dell’arte impiegati dai

protagonisti visivi per situare e portare l’oggetto messaggero della Mostra: dalle incisioni di Giuseppe Mainini

(scomparso nel 1981), alla pittura metafisica e onirica di Carlo Iacomucci, quella crepuscolare di Ubaldo Bartolini, o

surreale di Riccardo Piccardoni, del “labronico” Arnoldo Ciarrocchi (scomparso nel 2004) con l’astrattismo di Paolo

Gubinelli; dalla fotografia sfumata  di Renato Gatta e quella più poetico-realista di Sandro Polzinetti, fino alla scultura

soggettuale-materialistica di Francesco Roviello che imprimono nel loro particolare linguaggio la “costruzione ideale”

contro le negazioni delle coscienze immorali articolate da questa modernità fin troppo meramente economico-politica.E’

necessario che interiorità ed esteriorità del pensiero (non esenti da ricordi infantili), debbano in questo tempo, proiettare

alla sostanza dell’oggetto non solo le stagionalità o i climi del paesaggio, ma anche un protendersi verso quella moralità

espressiva tipicamente verista e impressionista tipica di Van Gogh; pittore capace di andare oltre il colore e l’espressione

attraverso un linguaggio descrittivo in comunione al pensiero dell’oggetto armonico e “parlante” in lingua pentecostale

(una sorta di macchina telepatica). Per questo, “bastardamente” la psichiatria ha sempre definito questo suo desiderio un

meccanismo schizofrenico, non tenendo conto che la “follia” è una principesca metafora della verità, della realtà e della

pura espressione artistica ben oltre il “paesaggio”. Mi pare, intanto, che sia la peggior architettura a progettare vere e

proprie costruzioni schizofreniche: tra paesaggio naturale e bruttura artificiale. Si vuole anche sottintendere che

l’architettura ha ora il compito di “curare” tutto quello che versa nello sfacelo…progressivo.

Ci vogliono, con l’apporto delle istituzioni soprattutto politiche, e naturalmente anche quello degli industriali, nuovi

termini di coscienza morale con un atteggiamento che spinga la rinascita delle sensibilità e attività individuali, specie nel

campo delle arti. Si deve unire la funzionalità al piacere sensoriale; che ci si orienti verso il “costruire” con una importante

coscienza territoriale. A non “essere costruiti”, bensì “abitati”, suggerisce Roberto Crespi. E chissà che col tempo tale

apporto ci lasci alle spalle anche certe polemiche distruttive. Occorre anche l’intervento della poetica per evadere,

ricostruire ciò che andava e va preservato, a difesa di quei, seppur nascosti, “angoli di campo” del paesaggio.

Come quando, nel passato, una volta “si era”.

Saccolongo Padova – Maggio 2016 – TIBERIO CRIVELLARO