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Da Infolampo: TTIP – Welfare

ttipTTIP – WelfareFermiamo il TTIP: il lavoro non è una merce

“Per tutelare i diritti, il lavoro e i beni comuni. Per costruire un modello sociale ed economico

sostenibile e rafforzare la democrazia”. Appuntamento, sabato 7 maggio in Piazza della Repubblica alle

ore 14.00 Partecipa il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso

– Dalle carte rese pubbliche da Greenpeace emerge un accordo sul TTIP che non può essere accettato

#StopTTIP è lo slogan della manifestazione nazionale, promossa nell’ambito dell’omonima campagna,

per sabato 7 maggio a Roma. L’appuntamento è alle ore 14 in

Piazza della Repubblica, il corteo percorrerà via Terme di

Diocleziano, Via Amendola, Via Cavour, Piazza Esquilino,

Via Liberiana, Piazza S. M. Maggiore, Via Merulana, Viale

Manzoni, Via Emanuele Filiberto per giungere in Piazza san

Giovanni alle ore 15.30. Per maggiori informazioni clicca qui

Una mobilitazione alla quale ha aderito la Cgil per denunciare

i rischi per i diritti del lavoro, per l’occupazione, per la salute e

sicurezza sui luoghi di lavoro, per i servizi pubblici e lo stato

sociale, insiti nell’accordo di Partenariato Transatlantico sul

Commercio e gli Investimenti (TTIP) che da quasi tre anni si

sta negoziando tra Unione Europea e Stati Uniti.

La posta in gioco va ben al di là della riduzione dei già esigui

dazi doganali e riguarda soprattutto l’obiettivo di ridefinire le

regole del gioco del commercio e dell’economia mondiale,

anche intervenendo su regolamenti, norme e procedure relative a beni e servizi prodotti e scambiati nelle

due aree. In questo modo con il TTIP si tenta di perpetuare e consolidare un modello economico liberista,

definito tra i paesi più sviluppati e successivamente imposto al resto del mondo, mentre a rimanere esclusi

sono i cosiddetti paesi emergenti, a partire da Cina, Russia, India e Brasile.

La Cgil, insieme ad altre organizzazioni sindacali, a partire dalla CES e dalla confederazione statunitense

AFL-CIO, ha denunciato da tempo la mancanza di trasparenza di negoziati tanto importanti, le limitazioni

che il trattato potrebbe creare nel diritto dei governi nazionali e locali e dell’UE di stabilire regole e

norme per la protezione dei diritti sociali e del lavoro, della salute e dell’ambiente, che potrebbero essere

sottoposte su richiesta degli investitori USA al giudizio di un arbitrato privato con la richiesta di

risarcimento per i mancati profitti dovuti alla loro esistenza.

Analogamente sarebbero a rischio importanti servizi pubblici. Il TTIP nel nome della liberalizzazione dei

commerci squilibrerebbe ancor di più il rapporto di forza a favore della grandi imprese multinazionali a

scapito dei piccoli e medi produttori nazionali senza che si possano prevedere significativi impatti positivi

sulla crescita economica: la previsioni oscillano tra un più 0,5% da qui al 2027 e la perdita di almeno

600.000 posti di lavoro in Europa.

Il TTIP non è per niente una questione ‘tecnica’, ma riguarda aspetti della vita quotidiana di tutti:

Leggi tutto: http://www.cgil.it/fermiamo-ttip-lavoro-non-merce/

Pensioni: Spi, basta annunci,

il 19 saremo in piazza

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Come cambia il welfare italiano

In che modo si sta trasformando oggi il welfare italiano? E soprattutto, che ruolo giocano in questo

processo lo Stato, il Terzo Settore e il sistema finanziario?

di Franco Abidah

Trasformazione, cambiamento, crisi, sfida, opportunità. È difficile trovare un discorso sul welfare italiano

ed europeo che non si apra con una combinazione di queste parole. Nella loro genericità e astrattezza

queste parole sono pericolose e tendono a nascondere processi sociali e culturali molto profondi e per

nulla generici e astratti. È dunque necessario chiedersi: trasformazione verso quale direzione?

Opportunità per chi? Qual è la posta in gioco della sfida? Chi rischia che cosa?

Le recenti vicende politiche nazionali sono ricche di riferimenti a questi processi: la perdurante fedeltà del

Governo alle politiche europee di austerità fiscale che impediscono non solo lo sviluppo ma perfino la

tenuta delle politiche sociali nazionali e locali; la proposta di introduzione di nuove misure parziali e

settoriali per il sostegno ai cittadini che vivono in condizioni di povertà assoluta; il cosiddetto Civil Act

che propone un’ulteriore svolta imprenditorial-finanziaria del Terzo Settore. A ciascuna di queste

tendenze e iniziative del governo si contrappongono opinioni e proposte alternative: la campagna

(Im)patto Sociale, che chiede di escludere le spese sociali dai vincoli del Patto di Stabilità; diverse

proposte di forme di sostegno economico universale per le persone in stato di povertà; diverse (per quanto

minoritarie) voci critiche del Terzo Settore che chiedono la garanzia di diritti universali piuttosto che

l’apertura di mercati sociali.

Ma in che modo si sta trasformando oggi il welfare italiano? Che ruolo giocano in questo processo lo

Stato, il Terzo Settore e il sistema finanziario? Per capire la trasformazione in corso occorre tenere

presente le caratteristiche del sistema alla vigilia della crisi globale, coerenti con il cosiddetto modello del

welfare mix, consolidatosi a partire dagli anni ’80. In quella fase lo Stato, nelle sue diverse articolazioni,

affidava in modo crescente al Terzo Settore sociale (cioè a quel 30% circa del mondo Non-Profit che

opera nel campo dei servizi alla persona) l’implementazione delle politiche sociali, mentre il sistema

bancario (privatizzato agli inizi degli anni ‘90) offriva credito e sosteneva, attraverso le Fondazioni di

Origine Bancaria (FOB), interventi di carattere filantropico. Si trattava di un sistema largamente

imperfetto, fratello minore del modello di welfare integrato e “attivante” predicato dall’Unione Europea,

rispetto al quale rimaneva dotato di risorse largamente insufficienti e spesso male utilizzate.

Due dati illustrano l’effetto che su questo modello hanno avuto la crisi e le politiche che ne sono seguite:

tra il 2008 e il 2014, in Italia il numero di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta è più che

raddoppiato (da 1,8 a 4,1 milioni), mentre il valore dei fondi trasferiti dallo Stato agli Enti Locali per i

servizi sociali è diminuito del 70%, mandando in frantumi i fragili equilibri del nostro sistema di

protezione sociale. Occorre tuttavia non limitare l’attenzione ai tagli, per interrogarsi su cosa essi abbiano

prodotto e stiano producendo sia in termini di risultati che in termini di strategie dei principali attori del

settore. Come cambiano i ruoli di Stato, Terzo Settore e mondo finanziario? Come cambia la loro

relazione?

Per quanto riguarda lo Stato si verifica una forte riduzione di budget e di personale con conseguente

impossibilità di rispondere alla pressante domanda sociale e si assiste a una ridefinizione dei suoi compiti:

non più attore che definisce e tutela i diritti sociali dei cittadini e nemmeno attore che governa l’insieme

dei servizi, ma piuttosto soggetto facilitatore che crea le condizioni perché i diversi attori sociali (profit e

non-profit) agiscano per il bene comune, facendo assieme il proprio interesse e quello della collettività,

lasciando agire quello che un recente report del G8 chiama il cuore invisibile del mercato1. Dunque lo

Stato non solo de-regolamenta, ma soprattutto ri-regolamenta: a livello locale ridefinisce i criteri di

accreditamento degli Enti del Terzo Settore premiando i soggetti economicamente più forti e capaci di co-
finanziare gli interventi e contemporaneamente apre e struttura mercati privati del welfare: soprattutto nel

campo dei servizi alla persona con l’incentivazione del welfare aziendale e nel campo abitativo con

l’abbandono dell’ediilzia popolare e il sostegno all’housing sociale. A livello nazionale e internazionale,

opera invece con leggi che tendono ad appiattire l’intero Terzo Settore sul modello dell’impresa sociale

low profit e a trasformare il welfare in un nuovo campo di investimento finanziario. A questo proposito

sono esemplari l’attivismo dell’Unione Europea con la combinazione di politiche di austerità e di

incentivazione dell’impresa sociale e del G8 con il lavoro della Task Force sull’investimento finanziario a

impatto sociale e le sue raccomandazioni.

Per quel che riguarda il Terzo Settore sociale, questo paga il prezzo della diminuzione dei finanziamenti

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