Da Infolampo: Economia – Anziani
Non ce la fa a ripartire l’economia italiana
“Manca lo slancio necessario per uscire definitivamente dalla crisi”. Con queste parole il segretario
Cgil Susanna Camusso commenta i risultati dell’indagine sulla fiducia di famiglie e imprese, realizzata
dalla Fondazione Di Vittorio e da Tecnè
“L’economia italiana non riparte, manca lo slancio necessario per uscire definitivamente dalla crisi”. È
questo, secondo il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, il quadro che emerge dalla ricerca
sulla fiducia economica delle famiglie e delle imprese
realizzata dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil e
dall’Istituto di ricerche Tecnè (leggi il testo integrale),
relativa al primo trimestre 2016. “Per il mondo del lavoro e
i pensionati, le famiglie e anche le imprese – prosegue la
leader di corso d’Italia – la situazione non è positiva e
peggiora il clima di fiducia, dati che, sostanzialmente,
coincidono con l’andamento di alcuni dei principali
indicatori, come Pil, povertà e occupazione”.
Chi subisce con maggiore evidenza le conseguenze di
questa situazione sono i lavoratori dipendenti, i precari, i
disoccupati e i pensionati, che – partendo dalle loro
condizioni sociali e di reddito – esprimono i giudizi più
negativi sia sulla situazione attuale che sulla prospettiva.
“Anche in merito alle attese sul futuro andamento
dell’occupazione – sottolinea Camusso – la ricerca mette in
evidenza un’opinione diffusa che considera finita la
dinamica legata agli sgravi contributivi. Calano dunque le
attese positive sia di famiglie che di imprese, mentre ben un
40% di lavoratori e pensionati pensa a un futuro
peggioramento dell’occupazione”.
“Una realtà – conclude Camusso – che deve essere
cambiata, adottando una vera strategia di politiche
economiche espansive, fatta non di annunci, ma di
interventi concreti e immediati, a partire da quelli fiscali a favore di lavoratori e pensionati, da un
cambiamento delle norme sulle pensioni, come richiesto da Cgil, Cisl e Uil, da un forte rilancio di
investimenti pubblici, facilitato da tassi di interesse molto bassi, la cui forte riduzione in questi anni è
sicuramente stata uno degli elementi principali che ha determinato la caduta del Pil e la perdita di posti di
lavoro”.
Il testo integrale
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/non-ce-la-fa-a-ripartire-leconomia-italiana-2
www.libereta.it
Pubblicato il 26 apr 2016 da Elvira Naselli (www.repubblica.it)
Più anziani, ma vivremo di meno. Ecco il check-up degli
italiani
I dati del Rapporto Osserva Salute 2015 sul benessere e sulla qualità dell’assistenza medica nelle diverse
Regioni. E si scopre che siamo agli ultimi posti negli investimenti per la prevenzione. E che l’aspettativa
di vita per la prima volta diminuisce.
CINQUECENTONOVANTA pagine, frutto del lavoro di 180 ricercatori. Alla sua tredicesima edizione, il
rapportoOsservasalute 2015 è certamente la più grande raccolta e analisi di dati sullo stato di salute degli
italiani e sulla qualità dell’assistenza nelle nostre regioni. Dove la devoluzione ha di fatto delineato sanità
diverse, se non per regione almeno per macro-aree del paese. Che Italia viene fuori dal maxi-rapporto
dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane? Un ritratto di un paese sempre più vecchio,
oltre un italiano su 5 ha più di 65 anni, con anziani e grandi vecchi in crescita, e un boom di
ultracentenari, triplicati dai 5650 casi del 2002 ai diciannovemila del 2015.
Aspettativa di vita. Il dato in controtendenza – però – è quello dell’aspettativa di vita, che non aumenta
più. Nel 2015 la speranza di vita alla nascita era di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 per le donne (dati
Istat più recenti). Nel 2014 però era più alta: 80,3 per gli uomini e 85 per le donne. Diminuzione non
rilevante, certo, ma è un’inversione di tendenza, ed è la prima volta. Oltre a questo dato, che non fa ben
sperare, c’è poi la questione delle campagne di prevenzione e degli screening, che non si riescono a fare
per mancanza di soldi e che alla salute della popolazione sono ovviamente correlati. L’Italia destina alla
prevenzione il 4,1 per cento della spesa sanitaria totale, percentuale che ci piazza tra gli ultimi posti
d’Europa. E anche i Lea, i livelli essenziali di assistenza, con le prestazioni che dovrebbero essere
garantite a tutti i cittadini, non sono applicabili dovunque, a maggior ragione nelle regioni ancora alle
prese con i piani di rientro dal deficit.
Ultimi della classe. “Siamo la Cenerentola del mondo – ammette scorato Walter Ricciardi, direttore
dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane nonché presidente dell’Istituto superiore di
sanità – l’ultimo paese a investire in prevenzione, a cominciare dalle vaccinazioni. E poi ci sono gli
screening oncologici, mai partiti o che funzionano a macchia di leopardo, soprattutto per le donne. Ed è
preoccupante che per la prima volta l’aspettativa di vita stia diminuendo. Oggi i cittadini di Campania e
Sicilia hanno un’aspettativa di quattro anni in meno di vita rispetto a chi vive nelle Marche o in Trentino.
Abbiamo perso in 15 anni i vantaggi acquisiti in quaranta. E se è vero che l’Italia ha uno dei migliori
sistemi sanitari al mondo, questo vale però solo per una minoranza di italiani”.
I tumori. Che di vantaggi ne abbiamo perso tanti lo dimostra anche il dato sui tumori. “Abbiamo un
aumento di incidenza dei tumori prevenibili – commenta Alessandro Solipaca, segretario scientifico
dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane – soprattutto mammella e polmone per le
donne e colon retto per gli uomini. Ma quello che più colpisce del rapporto è il consolidamento delle
diseguaglianze: abbiamo divari territoriali sempre più consistenti e le regioni del Sud, che hanno i
finanziamenti pro capite più bassi per la spesa sanitaria, sono quelle che invece stanno peggio, in termini
di mortalità e di speranza di vita, e dovrebbero avere più stanziamenti”.
I dati. Esaminiamo alcuni elementi analizzati dallo studio, che è estremamente complesso e dettagliato, e
che si potrà consultare sul sito di Osserva Salute, cominciando dalla spesa sanitaria pubblica pro capite,
che resta stabile ma molto più bassa che in altri paesi. Nel 2014 l’Italia ha speso 1817 euro a testa, in linea
con l’anno prima. Il fatto che non continui a scendere è positivo, anche perché questo valore ci piazza già
tra i Paesi che spendono meno, quelli dell’Europa dell’est: il Canada ha infatti speso il 100 per cento in
più, la Germania il 68 e la Finlandia il 35.
Le Regioni. La spesa pro capite più alta è in Molise (2226 euro), la più bassa in Campania (1689).
Diminuisce anche il disavanzo sanitario nazionale, passando da 1,744 miliardo di euro del 2013 agli 864
milioni del 2014. Ottima notizia per le casse dello Stato ma – segnala il rapporto – l’equilibrio è ancora
fragile perché questo risultato è stato raggiunto bloccando o riducendo volumi e prezzi dei fattori
produttivi e contenendo i consumi sanitari, contenimento che difficilmente potrà essere mantenuto. Già
così, una buona fetta di cittadini è costretta a ricorrere alle proprie tasche per assicurarsi visite ed esami.
Ma veniamo al dettaglio dello studio, cominciando dal capitolo vaccini, uno dei più delicati.
Vaccini. Altro capitolo critico è quello delle vaccinazioni, in particolare l’antinfluenzale per gli over 65,
scesa dal 2003 al 2015 dal 63,4 al 49 per cento. “Un meno 22,7 per cento che preoccupa – continua
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