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Da Infolampo: Marche regione povera – Aborto

sddMarche regione più povera del Centro-Nord

Il reddito medio Irpef 2014 nelle Marche ammonta a 18.333 euro, quasi 1.400 euro in meno rispetto alla

media nazionale. Ancona la città più ricca. Ghiselli (Cgil): “Dopo 8 anni di crisi si conferma la

debolezza del sistema economico regionale”

Il ministero dell’Economia e delle finanze ha reso note a fine marzo le statistiche relative ai redditi Irpef

2014 presenti nelle dichiarazioni dei redditi 2015. Il

reddito medio Irpef 2014 nelle Marche ammonta a 18.333

euro, quasi mille quattrocento euro in meno rispetto alla

media nazionale (19.719 euro). Una somma che fa della

nostra regione la più povera del centro-nord.

“Per i cittadini marchigiani sono inferiori alla media

italiana tutte le tipologie di reddito – dichiara Novella

Lodolini, Ires Marche: da fabbricati (1.267 euro contro

1.602 euro), da lavoro dipendente (18.795 euro contro

20.516 euro), da pensione (15.355 euro contro 16.704

euro), da lavoro autonomo (33.326 euro contro 35.579). Il

reddito d’impresa, invece, nelle Marche risulta

mediamente superiore a quello nazionale: 18.573 euro

contro 18.251 euro”.

La maggior parte dei redditi si concentra nelle classi di

reddito medio- basse, cioè fino a 10.000 euro (29,4%) e da

15 a 26mila euro (33,1%) al pari di quanto riscontrato a

livello nazionale. I redditi che superano i 75mila euro

nelle Marche rappresentano l’ 1,6% del totale contro il

2,1% di tutta l’Italia. Tra le province, Ancona è quella con

il reddito medio più elevato (19.669 euro) mentre la meno

abbiente risulta essere Fermo (17.009 euro).

In provincia di Ancona si registrano i valori più elevati per tutte le tipologie di reddito fatta eccezione per

i redditi da fabbricati che risultano i più alti della regione, in media, in provincia di Macerata. Ad Ascoli

Piceno si hanno i più bassi redditi d’impresa tra le varie province e a Fermo per il lavoro dipendente ed

autonomo. Infine, in provincia di Pesaro e Urbino, sono sopra la media i valori del reddito da lavoro

dipendente ed autonomo e per questa ultima tipologia si ha il livello massimo regionale.

Osserva Roberto Ghiselli, segretario generale Cgil Marche: “Questi dati confermano la debolezza del

sistema economico regionale, in particolare dopo la crisi che dura ormai da 8 anni, con la conseguente

crescita della disoccupazione e degli ammortizzatori sociali. Anche nelle Marche, dopo tanti decenni, ci

troviamo a misurarci sempre più con il fenomeno del disagio economico e della povertà. I redditi da

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Pensionati in piazza il 19 maggio:

le ragioni della manifestazione

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www.cgil.it

Consiglio Europa, aborto troppo difficile in Italia.

Camusso, sentenza importante

Violati diritti donne a salute, non obiettori discriminati. A tre anni di distanza dal Reclamo collettivo (n.

91 del 2013) da parte della Cgil, oggi è stata finalmente resa pubblica, dopo il lungo periodo di

embargo, la decisione di merito con cui il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa

ha nuovamente riconosciuto che l’Italia viola i diritti delle donne che – alle condizioni prescritte dalla

legge 194/1978 – intendono interrompere la gravidanza.

È stata anche accertata la violazione dei diritti dei medici non obiettori di coscienza, a causa dell’elevato e

crescente numero di medici obiettori di coscienza e della disorganizzazione degli ospedali e delle

Regioni, che dunque affrontano un insieme di svantaggi sul posto di lavoro sia diretti sia indiretti, in

termini di carico di lavoro e prospettive di carriera.

La sentenza risale al 12 ottobre 2015, ma è stato possibile renderla nota soltanto oggi alla scadenza

dell’embargo che poteva essere interrotto soltanto dal governo italiano, cosa che purtroppo non è

avvenuta.

“Una sentenza importante – commenta il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso – perché

ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta. Il

sistema sanitario nazionale, deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio

nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata. Questa decisione del

Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all’interruzione di gravidanza

libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza

discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna”.

La legge 194/1978, infatti, prevede che, indipendentemente dalla dichiarazione di obiezione di coscienza

dei medici, ogni singolo ospedale e le Regioni debbano sempre garantire il diritto di accesso

all’interruzione di gravidanza delle donne. Oggi purtroppo, a causa dell’elevato e crescente numero, come

dimostrano i dati forniti dalla Cgil nell’ambito del giudizio davanti al Comitato Europeo, di medici

obiettori, molte strutture si trovano a non avere all’interno del proprio organico un numero adeguato di

medici che possono garantire l’effettiva e corretta applicazione della legge.

Il riconoscimento di queste violazioni, a distanza di ormai due anni dalla prima condanna del Comitato

Europeo nei confronti dell’Italia (decisione dell’8 marzo 2014 sul Reclamo collettivo n. 87 del 2012

presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood

Federation European Network), è una vittoria per le donne e per i medici, ma anche per l’Italia: essa

costituisce un’importante occasione affinché si prenda finalmente coscienza dei problemi concreti di

applicazione della disciplina (definita dalla Corte costituzionale quale regolamentazione irrinunciabile),

finora del tutto disconosciuti dal ministero della Salute.

La Cgil è stata assistita dall’Avv. Prof. Marilisa D’Amico – Ordinario di Diritto costituzionale, Università

degli Studi di Milano – e dall’Avv. Benedetta Liberali, e ha avuto il sostegno della Confederazione

Europea dei Sindacati.

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