Da Infolampo: Riprendiamoci i diritti
“Ci riprenderemo i diritti del lavoro ferito”
Intervista del segretario generale Cgil al ‘Manifesto’
Segretaria Camusso, il bilancio 2015 secondo la Cgil è positivo o negativo?
Se consideriamo che ci sono alcuni milioni di lavoratori senza contratto e che, come milioni di pensionati e altre famiglie, non partecipano della cosiddetta “ripresa”, se guardiamo i dati della disoccupazione in particolare di quella giovanile, il bilancio non può essere positivo. Ma è anche vero che ci sono buone premesse per il 2016: nonostante i tentativi di blocco abbiamo rinnovato alcuni contratti e con Cisl e Uil abbiamo aperto una vertenza sulle pensioni.
Sperate in qualche risposta dal governo?
Credo che al presidente del consiglio non basterà celebrarsi sulla sua e-news per aver tolto l’articolo 18. Sulle pensioni abbiamo aperto una vertenza e cercheremo in tutti i modi di ottenere dei risultati.
La vostra e-news è diversa da quella di Renzi?
La Cgil ritiene che le priorità siano altre. Se vogliamo la fine dell’austerity in Europa, refrain più volte ripetuto dallo stesso Renzi, dobbiamo mettere al centro il lavoro, la redistribuzione dei redditi e la riduzione delle disuguaglianze. Non il profitto, l’impresa e la finanza. Il governo non ha compiuto scelte di questo genere. Si pensi a quanta riduzione fiscale è andata al lavoro e quanta all’impresa senza peraltro vincolarla a creazione di occupazione o investimenti.
Quale è stato, personalmente, il momento più difficile dell’anno?
Purtroppo ce ne sono stati molti. La mancata soluzione per Alcoa è una ferita aperta. Penso alla complicata situazione dell’Ilva di Taranto. Emotivamente mi hanno colpito molto tutte quelle persone che hanno raccontato di aver dovuto ritirare i figli da scuola, o di non averli potuti iscrivere all’università, perché hanno perso il lavoro o non guadagnano abbastanza. È un anno che discutiamo di scuola ma nessuno ha saputo raccontare come l’istruzione sia diventata selettiva per reddito.
E un momento gratificante?
Almeno due. Il contratto dei chimici, il primo in una stagione molto difficile. L’aver lanciato la campagna e la consultazione straordinaria sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”.
Ma il governo Renzi ha portato almeno un provvedimento positivo?
Se penso al lavoro citerei le norme sul caporalato, che speriamo siano presto completate: danno ragione di una battaglia che abbiamo condotto con tenacia in tutti questi anni. Poi ci sono questioni su cui abbiamo espresso apprezzamento: sui rifugiati, sul nodo pace/guerra. Anche l’idea un miliardo per la sicurezza e
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Donne, lavoro e pensioni, continua il gender gap
Le pensionate italiane prendono 6 mila euro in meno rispetto ai maschi. Colpa della disparità sul lavoro. Che si riflette in politica. Nell’indifferenza generale.
Anno nuovo, problemi vecchi. I dati pubblicati dall’Istat il 4 gennaio sulle differenze tra i pensionati uomo e donna non stupiscono più nessuno.
Nel 2014 su 16,3 milioni di italiani che percepiscono l’assegno, il 52,9% sono donne e ricevono circa 6 mila euro in meno rispetto ai maschi. L’importo medio annuo per gli uomini, in termini lordi, è infatti di 20 mila 135 euro, mentre per le pensionate si ferma a 14 mila 283 euro.
L’ennesimo esempio di gender gap nel nostro Paese, ma che al massimo provoca qualche temporaneo silenzio in segno di imbarazzo, qualche momentanea indignazione per solidarietà, e in genere molte ‘spallucce’.
LE PAROLE DI MATTARELLA. Perché in fondo che la discriminazione di genere esista e sia perpetrata a tutti i livelli sociali, economici e politici è costume nazionale. Tanto che è entrata a pieno titolo nel discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Un messaggio di riconoscenza a tutte le donne italiane, che devono fare i conti con una parità di diritti enunciata e non sempre attuata», ha ammesso il capo dello Stato.
Così poco attuata che lo stesso Mattarella per fare degli esempi di eccellenza femminile è dovuto ricorrere a donne che hanno visto riconosciuti i loro diritti sì, ma all’estero.
Come Fabiola Gianotti, neo direttrice del Cern di Ginevra, Samantha Cristoforetti, prima donna nello spazio, e Nicole Orlando, l’atleta paralimpica che ha vinto quattro medaglie d’oro ai mondiali in Sudafrica.
DUE MESI DI PAGA IN MENO. Donne che per ottenere riconoscimenti e meriti hanno dovuto espatriare. Cristoforetti è persino andata nello spazio, verrebbe da ironizzare, visto che la discriminazione tra maschio e femmina non è esclusiva dell’Italia ma interessa tutti i Paesi Ue.
Solo per fare un esempio, dal 2 novembre le lavoratrici europee hanno smesso di essere pagate, mentre i loro colleghi uomini hanno continuato a ricevere stipendi fino al 31 dicembre: un gender gap denunciato dalla Commissione Ue, che ha deciso di indire l”Equal Pay Day’ proprio il 2 novembre. Una celebrazione che però è sembrata più una commemorazione ai defunti diritti di uguaglianza.
Le donne europee guadagnano 84 centesimi ogni euro incassato dai colleghi
In Europa lo stipendio medio delle donne europee è il 16,3% più basso di quello degli uomini. In pratica lavorano gratis 59 giorni all’anno e guadagnano 84 centesimi ogni euro incassato dai colleghi. E non perché fanno ricorso al part-time, visto che si parla di paga oraria, o perché sono più giovani e inesperte: in Finlandia il gap salariale passa per esempio dal 6,3% per le donne che hanno meno di 25 anni a oltre il 25% per le over 64.
SOLO QUATTRO DONNE GUIDANO QUOTIDIANI. Non è quindi una questione di età o esperienza, anche se sfondare il tetto di cristallo è ancora un’impresa ardua: tra gli amministratori delegati meno del 3% sono donne.
Un’eccezione è rappresentata nei gruppi editoriali italiani dove a capo di Rcs Mediagroup, Gruppo L’Espresso e Gruppo 24 Ore ci sono tre donne: Laura Cioli, Monica Mondardini e Donatella Treu.
Ma è l’eccezione che conferma la regola, a partire proprio dai giornali: in Italia sono solo quattro le donne alla guida di un quotidiano. Norma Rangeri delManifesto, Pierangela Fiorani per Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia e Mestre, La Tribuna di Treviso e Corriere delle Alpi, Lucia Serino per Il Quotidiano della Basilicata e Anna Mossuto del Corriere Umbria. Ma solo Rangeri è a capo di un giornale a tiratura nazionale.
D’altronde anche nel Paese della regina Elisabetta e della iron lady Margaret Thatcher la prima direttrice donna del quotidiano britannicoo The Guardian, Kath Viner è stata nominata nel 2015, a distanza di 194 anni dalla fondazione.
LA POLITICA SI CAMUFFA DI ROSA. Migliore sembra essere in Italia la posizione delle politiche, ma è così solo alla Camera e al Senato, dove nel 2013 le signore sono passate al 31% dal 22% della precedente legislatura. Il governo di Matteo Renzi conta il maggior numero di donne ministro (50%).
Un risultato che ha permesso all’Italia di guadagnare nove posizioni nella classifica che misura la disparità di genere, il Global Gender Gap Report a cura del World Economic Forum di Ginevra.
Eppure se si guarda davvero nelle stanza dei bottoni, dentro Quirinale, Province, Regioni, giunte e consigli comunali, si vede che il 79,27% degli incarichi istituzionali, soprattutto quelli più prestigiosi, è
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