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Da infolampo, novità su pensioni e agenda di Doha

11838-commercio-al-via-10a-conferenza-ministeriale-omc_702718808548525Legge di stabilità: welfare, dalle pensioni alla casa, ecco cosa cambia

Il disegno di legge di stabilità 2016 approvato ieri al Senato. Vediamo in sintesi quali sono i provvedimenti in tema di previdenza, fisco, sanità, assistenza, casa. (Fonte: www.dirittinchiaro.com )

Lavoratori vicini alla pensione

Opzione donna. Le donne che entro il 31 dicembre 2015 raggiungono i requisiti previsti, potranno andare in pensione di anzianità anche se la decorrenza della pensione stessa è successiva a tale data. Cosa significa? Che al 31 dicembre di quest’anno le lavoratrici dipendenti dovranno avere 35 anni di contributi e 57 anni e tre mesi di età anagrafica, che diventano 58 e tre mesi nel caso delle lavoratrici autonome. Se si decide di andare in pensione anticipata il calcolo della pensione avverrà interamente con il sistema contributivo.

Lavoro part-time prima della pensione di vecchiaia. I lavoratori dipendenti del settore privato che matureranno i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 potranno lavorare con orario part-time gli ultimi tre anni prima del pensionamento. La riduzione di orario dovrà essere compresa tra il 40 e il 60 per cento del totale. Il datore di lavoro verserà al lavoratore una somma equivalente a quella non pagata per i contributi. Per le ore non lavorate sarà comunque riconosciuta la contribuzione figurativa. Per usufruire del part-time bisognerà avere: minimo venti anni di contribuzione e, considerato l’adeguamento all’aspettativa di vita che da qui al 2018 prevede un incremento di quattro mesi, un’età anagrafica di 66 anni e sette mesi per gli uomini, e per le donne un’età di 65 anni e sette mesi nel biennio 2016-2017, e di 66 anni e sette mesi nel 2018 quando questa sarà equiparata a quella degli uomini.

Esodati. Arriva la settima salvaguardia per i lavoratori esodati. Il provvedimento interesserà 26.300 persone, in particolare:

1) lavoratori autorizzati alla contribuzione volontaria (10.000 posti);

2) esodati entro il 30 giugno 2012 e tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2012 e ai licenziati tra il 2007 e il 2012 (6.000 posti);

3) lavoratori in congedo per assistere figli disabili gravi (2.000 posti);

4) lavoratori che dopo un contratto a termine tra il 2007 e il 2012 non hanno più trovato un lavoro a tempo indeterminato (3.000 posti);

5) lavoratori in mobilità o con trattamento speciale edile in base ad accordi stipulati entro il 2011 o senza

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www.rassegna.it

Agenda di Doha, il fallimento di Nairobi

Delusione per la X Conferenza ministeriale del Wto. Restano in piedi le controversie sui sussidi all’agricoltura, le diverse concezioni sulla sicurezza alimentare, l’accesso al mercato dei paesi in via di sviluppo e la liberalizzazione dei servizi

di Leopoldo Tartaglia

Le speranze di un successo per la X Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio, nell’anno del suo ventesimo compleanno del Wto, erano soprattutto legate ai recenti risultati di un altro negoziato multilaterale. Si veniva dal non facile accordo raggiunto a Parigi sulle questioni climatiche e si era scelto, non a caso e per la prima volta, uno Stato africano, il Kenya, per ospitare i lavori di rilancio dell’Agenda di Doha, promossa nel novembre del 2001, subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle, come risposta al terrorismo mondiale e promessa di mettere le politiche commerciali al servizio dello sviluppo, a partire da quello dei paesi più poveri.

Eppure nonostante le premesse, dopo quattro giorni di incontri fittissimi e un prolungamento del negoziato di oltre 24 ore, le distanze tra Nord e Sud del mondo restano tutte, con i nodi da sciogliere sempre uguali: da una parte Unione Europea e Stati Uniti sono per maggiori aperture e l’introduzione di nuove tematiche come investimenti, appalti pubblici e servizi, dall’altra i Paesi in via di sviluppo e quelli più poveri a fare blocco contro liberalizzazioni che rischierebbero di mettere in ginocchio le loro economie.

Il documento finale della Conferenza di Nairobi – una dichiarazione ministeriale che la Commissario europea Cecilia Malmstrom saluta su Twitter come il risultato di un lavoro faticoso – è un testo fumoso e abbastanza privo di speranze: zeppo di riconoscimenti della crisi che permane, dell’importanza del tavolo multilaterale per risollevarsi insieme.  Ma la sostanza non c’è. Innanzitutto non c’è un impegno a continuare sull’Agenda di Doha in quanto tale: i suoi temi più sensibili sono stati assegnati a ulteriori negoziati che partiranno dalle decisioni ministeriali, finalizzate il 19 dicembre, oltre i tempi previsti inizialmente per la ministeriale (al punto che le Ong erano già state sfrattate, da molte ore, dal centro congressi).

Si tratta dei meccanismi speciali di salvaguardia per i paesi in via di sviluppo; dello stoccaggio pubblico di derrate alimentari per la sicurezza alimentare; dei sussidi all’export e al cotone; delle regole preferenziali di origine per i paesi meno sviluppati. Temi “storici” dell’Agenda di Doha, su alcuni dei quali – come lo stoccaggio alimentare per garantire la sopravvivenza alle popolazioni più povere – era stato raggiunto un difficile compromesso due anni fa a Bali.

Le decisioni ministeriali fanno la fotografia dello stadio di consenso raggiunto e rimandano l’ulteriore lavorazione degli accordi finali al negoziato tecnico che continuerà nelle paludate sedi di Ginevra.  A questa condizione i Paesi emergenti hanno accettato che l’appuntamento di Nairobi non finisse in un fallimento completo, senza alcun accordo finale, ma è chiaro che tutta la retorica che ha sempre circondato il cosiddetto Round dello sviluppo lanciato a Doha nel 2001 si mostra al mondo per quello che era, chiarendo senza ombra di dubbio l’assoluta mancanza di impegno dei paesi più forti, a partire dagli Usa e dalla stessa Unione Europea.

D’altra parte era stato lo stesso negoziatore americano, Michael Froman, in apertura dei lavori, a sentenziare che, “bisogna essere onesti: il Doha round è a fine corsa”. “Ci incontriamo un’altra volta a parlare di Doha Round che, a fronte di tutte le speranze iniziali che ha rappresentato, semplicemente non ha dato frutti. Se l’obiettivo del commercio globale è guidare lo sviluppo e la prosperità in questo secolo come ha fatto negli ultimi, abbiamo bisogno di scrivere un nuovo capitolo per l’Organizzazione mondiale del commercio che rifletta le realtà economiche di oggi. È tempo per il mondo di liberarsi delle restrizioni di Doha”. Si dice, infatti, nella dichiarazione ministeriale approvata a Nairobi, che molti membri della Wto riconoscono la validità dell’Agenda di Doha, altri no. E che dunque, su temi importanti come i tre pilastri dell’agricoltura cruciali per la vita dei paesi più poveri (sostegno interno, accesso al mercato e sussidi all’esportazione) si continuerà a lavorare, ma con il “forte impegno” che si metterà anche sugli altri capitoli in stallo, e che interessano ai paesi sviluppati, e cioè “accesso al mercato non agricolo, servizi, proprietà intellettuale, e regole”.

Le bozze di testo rimandate all’ulteriore negoziato ginevrino impegnano i Paesi sviluppati a eliminare le sovvenzioni all’esportazione entro il 2020, mentre la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo dovrebbero farlo tre anni dopo. Un’eccezione potrebbe essere fatta per i sussidi all’esportazione nel trasporto e la commercializzazione, che i Paesi in via di sviluppo potrebbero continuare fino alla fine del

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