Dal jobs Act al Control Act
Lo Statuto dei lavoratori (legge 300/1970, articolo 4) vieta ai datori di lavoro l’uso di impianti audiovisivi e di
altre apparecchiature per controllare a distanza l’attività dei lavoratori. Gli apparecchi richiesti da esigenze
organizzative e produttive o di sicurezza, dai quali deriva la possibilità di controllare a distanza i lavoratori,
possono essere installati se è stato raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali. Il tema
del controllo a distanza dei lavoratori è tornato d’attualità in seguito ad alcuni casi di licenziamento,
motivati dall’uso distorto che – secondo l’azienda – il lavoratore aveva fatto di internet, ad esempio
attraverso i social network, durante l’orario di lavoro.
Questo era il dettato dello Statuto dei Lavoratori che regolamentava in maniera chiara e netta il controllo a
distanza dei lavoratori limitando a casi di rilevanza criminale l’uso di sistemi tecnologici per la sorveglianza
dei lavoratori. Poi capitò che un ragazzo che fa politica da quando aveva 16 anni e che non ha mai lavorato
un solo giorno (non definendo lavoro l’attività di scalata politica ovviamente) si sia trovato catapultato in
maniera totalmente inattesa al ruolo di premier italiano, una sorta di sogno americano alla rovescia che si
trasforma in incubo italiano. Dopo avere imparato a memori il noto 1984 di Orwell ed avere acquistato su
eBay il costume da Grande Fratello, arruola come Ministro del Lavoro il buon Poletti, che dalla guida delle
Coop. Rosse diventa, per meriti finora sconosciuti, addirittura ministro del Lavoro della Repubblica Italiana.
I due guardano ammirati tutta la trilogia degli Hunger Games innamorandosi perdutamente dell’ordinato
sistema tecnocratico vigente a Panem, ed ecco nascere il Jobs Act o Control Act che si voglia chiamare.
Capita così che al primo comma poco si vada ad incidere o normare in maniera diversa, si sa, gli italiani
leggono poco e difficilmente arrivano al secondo comma. Ecco, qui sta la novità, viene introdotta una
modifica per cui gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti
di registrazione degli accessi e delle presenze sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro
(dunque, anche per le contestazioni disciplinari e i licenziamenti). Per gli strumenti fissi si deve trovare
accordo con il sindacato, il che non ne impedisce né l’installazione né l’uso, per quelli mobili nemmeno
quello e tanto meno una qualche autorizzazione ministeriale (che non sarebbe comunque negata), l’unico
limite è informare il lavoratore del possibile uso degli strumenti ai fini del controllo. Ora pensate se un
qualunque dipendente possa rifiutare di usare un cellulare, un tablet o un auto aziendali per non essere
localizzato dal GPS o simili amenità.
Il ministero del Lavoro si è affrettato a definire infondate ed eccessivi gli allarmi riportati dai più attenti
osservatori del sistema, affrettandosi a dire che non è questo il fine della riforma, peccato che le memorie
del ministero abbiano valenza zero nelle aule dei Tribunali.
I commenti variegati vanno da “La totale libertà di licenziamento via italiana alla crescita” a “Il governo
sposa la linea dura , sulla sorveglianza dei lavoratori nessun compromesso”. Per tirare le somme siamo di
fronte ad un atteggiamento che fa apparire il reazionario nazionalista ungherese Orban un vegano pacifista
socio sostenitore di una Onlus dedita all’accoglienza degli immigrati. La lotta alla disoccupazione passa per i
licenziamenti senza freni, una ipotesi che fa diventare credibile perfino il fatto che la Boschi possa diventare
ministro, come? Già successo?
MAURIZIO DONINI