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Il lato oscuro della rete

cyber-security-274x170L’estate è stata caratterizzata dall’esplosione del caso Hacking Team, la profanazione del santuario degli

“spioni” ha dimostrato, una volta di più se necessario, che nessuno è al sicuro. Un vecchio detto recita che:

“L’unico computer sicuro è quello disconnesso dalla rete, spento e rinchiuso in un bunker sotterraneo. Ed

anche sulla sicurezza di quel computer, non c’è troppo da stare allegri!”. Prism, Datagate, Wikileaks, tanti

nomi con un unico comune denominatore, il controllo dei cittadini. Un paio di considerazioni sono

necessarie per inquadrare lo scenario, la prima è che in realtà, anche se come sempre in questi casi mancano

le conferme ufficiali ed oggettive dei fatti, tutto quanto venuto alla luce era noto nell’ambiente e basa la sua

giustificazione politico-legale nelle pieghe delle leggi seguite all’11 settembre. Nel mondo in cui viviamo

l’unica isola di libertà più o meno reale, è proprio internet, quale governo nell’attuale scacchiere politico può

permettersi di tollerare la libertà di espressione senza che questa venga moderata dai classici mezzi di

informazione che in una maniera o nell’altra fanno comunque capo al sistema?

Ma se quello che appare alla luce del sole è inquietante, è quello che non si vede, che non affiora, che resta

nascosto sul fondo che deve soprattutto preoccuparci. In un documento della sussidiaria della CIA per gli

investimenti in società informatiche (fra le altre promuove Google Earth) In-Q-Tel, si legge che “La

sorveglianza dei social network acquista per i governi sempre più importanza quando si tratta di tenere

sott’occhio i movimenti politici nascenti”. Ricordiamoci che il database di dati personali di Facebook è il più

grande del mondo ed è appetito da tutti, finchè viene usato per finanziare il social network di Zuckerberg

tramite la pubblicità è un male inevitabile e tollerabile, ma gli usi illeciti che ne potrebbero derivare sono

molteplici. Paranoie direbbe qualcuno? Tuttaltro, la In-Q-Tel di cui sopra ha nel board Howard E. Cox che è

anche dentro la società che ha finanziato Facebook con la mirabolante cifra di 27 milioni di dollari…. E

dopo gli effetti della primavera araba e di Occupy sicuramente l’interesse dei potenti per i vari social

network collettori delle rimostranze del popolo non è diminuita.

Per chiarire come sia il sommerso la parte più oscura ed inquietante dell’universo di controllo della rete, al

centro della ragnatela dei media troviamo spesso un nome che è sicuramente sconosciuto ai più, ma basta

una semplice ricerca su Google per documentarsi. Peter Thiel, tedesco di nascita, è stato un “preveggente”

finanziatore della prima ora di Facebook di cui è ora uno dei maggiori azionisti, poi fra i fondatori di Paypal

ed ora di Spotify. Una delle singolari e preoccupanti affermazioni di questo filantropo è stata proprio “che

libertà e democrazia non vanno d’accordo”, in aggiunta ha avuto a dichiarare che lui “promuove con

incentivi l’abbandono da parte degli studenti dell’Università giudicando l’istruzione inutile”. Sufficiente?

No c’è di più, lo stesso è anche fondatore della Stanford Review, il cui motto è Fiat Lux (“Sia la luce”) ed è

membro di TheVanguard.org, un gruppo di pressione neoconservatore basato su internet. Il terzo membro

del CdA di Facebook è Jim Breyer della Accel Partners, lo stesso Breyer è membro della su-richiamata In-

Q-Tel, sussidiaria ufficiale appunto della CIA. I ragionamenti in merito li lasciamo a voi, il campo è

sconfinato.

 

Le proposte di riforma della governance di internet vanno poi tutte in senso di un maggior controllo da parte

dei governi, dal trasferimento delle competenze dall’ente no-profit ICANN a quello formato dai

rappresentanti statali dell’ITU, da limitazioni alla navigazione su base geografica a forme avanzate di

filtering dei contenuti (Russia, Cina e Siria tanto per fare un esempio).

L’Unione Europea ha anche avanzato una proposta per regolamentare la tracciatura degli utenti sul web, la

cosiddetta no cookies law, che però è, ovviamente, fortemente avversate dalle multinazionali a stelle e

strisce. Siamo in piena era Big Data, che tradotto vuol dire raccolta ed aggregazione dei dati provenienti

dalla rete, profilazione degli utenti, se compri un libro di cucina su Amazon ti arriverà d’ora in poi pubblicità

mirata sull’argomento, dicono che lo fanno per agevolarti, ma siamo sicuri che tutti questi dati vengano usati

solo per “facilitarci” la vita?

MAURIZIO DONINI