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DIPENDENTI COMUNALI NELLE MARCHE, Diminuiscono, Invecchiano e Perdono potere d’acquisto

dipendenticomunaliNelle Marche i dipendenti comunali al netto dei dirigenti e dei segretari comunali, sono

10.316 distribuiti in 236 comuni marchigiani.

A fronte di una media nazionale di 7,12 ogni 1.000 abitanti il numero dei dipendenti

comunali per 1.000 abitanti nelle Marche è pari al 6,68 contro 11,58 della Valle d’Aosta,

10,61 della Sicilia, 9,57 del Trentino Alto Adige e 4,49 della Puglia, 5,74 del Veneto.

Con riferimento alla “taglia demografica” sono 5,72 ogni 1.000 cittadini i dipendenti

comunali nelle amministrazioni con popolazione compresa tra 5.000 e 10.000 abitanti.

Nelle Marche l’incidenza del rapporto di lavoro flessibile (personale comunale che non ha

un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) è pari al 6,1% (625 dipendenti comunali di

questi 353 sono uomini e 272 sono donne).

Se si indaga la natura contrattuale del rapporto di lavoro flessibile si scopre che la

flessibilità interessa soprattutto le dipendenti donne. Tra i tempi determinati quasi 2/3 sono

di genere femminile.

Negli ultimi 6 anni il personale comunale ha subito una progressiva e sensibile riduzione.

Rispetto al 2007 la variazione percentuale si attesta a meno 9,7%.

Diminuisce significativamente il numero dei dipendenti e cresce l’età media.

L’età media dei dipendenti comunali a tempo indeterminato è di 50 anni.

La classe in cui ricade il maggior numero di dipendenti nella precedente rilevazione era

quella dei 50 – 54 enni ora è quella dei 55 – 59 enni.

Infatti, poco meno di un dipendente a tempo indeterminato su quattro, il 23,6%, ha un’età

che ricade in tale intervallo (55-59 anni).

I dipendenti con meno di 35 anni si riducono rispetto al 2011 passando dal 6,0% al 5,0%

del totale. All’opposto i 60-64 enni aumentano dal 6,7% all’8,5%.

Dal rapporto tra dotazione organica e personale in servizio si ottiene la percentuale di

copertura che se a livello nazionale è pari al 77,6% nelle Marche ( 236 Comuni ) è del

77,9%.

L’ingiusto blocco del contratto nazionale di lavoro che dura ormai dal 2010 deve essere

superato per difendere il potere di acquisto delle retribuzioni. Il salario accessorio in

godimento dei lavoratori non può essere toccato: i dipendenti degli enti locali non devono

pagare per la cattiva gestione dei bilanci.

Blocco del turn-over, tagli alle risorse e vincoli rigidi dei piani di stabilità interni hanno

portato ad una riduzione del personale in servizio nelle autonomie locali con due evidenti

risvolti negativi sul welfare locale: il mancato investimento nelle nuove professionalità

necessarie, l’invecchiamento del personale, il ricorso, spesso improprio, alle forme di

lavoro flessibile.

Serve un reale turn-over generazionale con l’ingresso di tanti giovani per portare

innovazione, velocità, cambiamento organizzativo in un welfare locale disegnato sui

bisogni e finalizzato allo sviluppo. Allo stesso tempo occorrono percorsi reali per dare

certezza ai lavoratori precari, compresi i lavoratori delle provincie.

La rigidità dei vincoli imposti agli enti locali (a partire dai patti di stabilità) ha portato a

trasferire all’esterno l’erogazione anche di servizi cosiddetti “core”.

Se un ente pubblico non è in grado di assumere personale per una funzione specifica,

nonostante abbia i bilanci in regola, è costretto ad appaltare all’esterno l’esercizio della

stessa funzione. La stessa rigidità si riscontra nell’organizzazione interna degli enti

territoriali, dove il permanere di un modello gerarchico, la presenza di una dirigenza troppo

spesso scelta e influenzata dalla politica e l’assenza di indicatori di misurazione della

performance e del merito ha rallentato l’innovazione e ingessato i servizi.

E in questo quadro persino la Legge Delrio fatica a trovare applicazione. É infatti già

scaduto il termine per l’approvazione del Dpcm di riordino degli Enti Locali.