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Infolampo: welfare – cannabis

vignetta_tagli_al_welfare_smallRipensare il welfare: la sfida del cambiamento tra

innovazione sociale e tecnologica

Alla Fondazione Feltrinelli di Milano il dibattito sul l’innovazione con Vincenzo Colla, Ivan Pedretti,

Cristina Tajani, Cristina Martellosio, Bertram Niessen. Ha condotto Alessia Maccaferri del Sole 24 Ore.

Il saluto alla festa di Stefano Landini.

Che c’entra il welfare con le nuove tecnologie? Due mondi per definizione distanti, quello delle persone e

quello delle cose, fino a ieri pensavamo viaggiassero su binari paralleli. È così sono stati considerati dalla

politica, dal sindacato, dalla scienza. Il dibattito che abbiamo

ascoltato a Milano alla festa di Libereta dal titolo

emblematico: Ripensare il welfare, tra innovazione sociale e

tecnologica, ha dimostrato come l’incontro tra questi due

mondi sia la strada possibile per trovare soluzioni ai grandi

problemi della società e dell’umanità in genere.

Le problematiche messe a fuoco nel corso del convegno

svolto presso la Fondazione Feltrinelli di Milano hanno

toccato aspetti cruciali del futuro possibile in cui

l’innovazione non è il problema, ma parte della soluzione, se

è ben governata, come ha spiegato Vincenzo Colla, segretario

confederale della Cgil.

Ma come provare a governare questo futuro possibile?

Un’esperienza interessante è quella che in questi ultimi anni

ha cercato di sperimentare il Comune di Milano ed è stata

raccontata dall’assessore alle politiche per il lavoro Cristina

Tajani: “Abbiamo voluto scommettere sui processi di trasformazione in corso assecondando nuove forme

produttive ed esperienze associative tra i cittadini”.

Alcuni esempi di come la tecnologia e l’innovazione sociale possano sperimentare soluzioni utili per il

welfare sono state presentate da Cristina Martellosio di WeMake e Bertram Niessen di CheFare, due

realtà produttive e professionali che sono riuscite attraverso nuove forme di organizzazione del lavoro e di

utilizzazione delle nuove tecnologie a trovare nuove soluzioni al servizio di un nuovo welfare non calato

dall’alto ma collaborativo. Nascono così i Fab Lab, i luoghi dove la dichiarazione dei bisogni si incontra

con la dichiarazione delle soluzioni, per esempio nella ricerca di soluzioni di accessibilità ai centri

commerciali e ai servizi per persone con handicap. È nato così “Open care”, un progetto che WeMake sta

portando avanti con il Comune di Milano.

Sono applicabili queste esperienze innovative per produrre benessere? La risposta in positivo l’ha data il

segretario generale dello Spi Ivan Pedretti. “Sì l’innovazione può aiutare il welfare che oggi è in crisi e

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tecnologica.html

“Senza famiglia, magra, 11 ore

al giorno”

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Perché la cannabis terapeutica di stato rischia di non

funzionare

Lucia Spiri ha 36 anni e vive a Racale, un piccolo paese in provincia di Lecce. A 18 anni, poco prima

dell’esame di maturità, le viene diagnosticata la sclerosi multipla. Per anni si è sottoposta a cure lunghe

e pesanti a base di antidepressivi, antiepilettici e chemioterapici. Nel 2011, stanca di non avere alcun

beneficio, ne ha cominciata una a base di cannabis.

Oggi ne assume tra i sette e i dieci grammi al giorno tramite olio, capsule, estratti e vaporizzazione, e la

sua vita è decisamente migliorata: quando riesce a mantenere la continuità terapeutica ha appetito, è di

buon umore, non ha rigidità alle gambe, ha meno tremori e riesce anche ad alzarsi dalla sedia a rotelle e a

fare una serie di cose che prima non riusciva a fare. “La cosa che più mi fa piacere è sentirmi dire ‘Lucia,

ti vedo bene’, invece del solito ‘come stai’ che il più delle volte viene detto con il timore di avere di

fronte una persona che sta vivendo una situazione di difficoltà”, dice.

Il caso di Lucia è analogo a quello di migliaia di persone che in Italia oggi hanno visto la propria vita

migliorare grazie alla cannabis terapeutica. Malati di sclerosi multipla o che hanno subìto lesioni al

midollo spinale che la usano come analgesico; pazienti in chemioterapia o radioterapia che la prendono

contro nausea e vomito; malati di aids o anoressia nervosa che la usano per stimolare l’appetito; persone

con la sindrome di Tourette che la utilizzano per ridurre i movimenti involontari del corpo. Anche se non

esiste un dato preciso su quante siano, si può dire che il loro numero è in costante aumento. Basti pensare

che tra il 2014 e il 2016 il consumo di cannabis medica è passato da 20 chilogrammi a oltre cento

all’anno.

Due obiettivi

In Italia la possibilità di ricorrere legalmente a farmaci cannabinoidi esiste dall’aprile del 2007. In questi

dieci anni i pazienti hanno potuto usare solo i prodotti della Bedrocan, e in alcuni casi c’è chi ha dovuto

pagare fino a 70 euro al grammo per la cannabis olandese, un prezzo proibitivo per la maggior parte dei

malati.

Per la prima volta, dal gennaio 2017 è possibile comprare anche la Fm2, la cannabis prodotta nello

stabilimento militare di Firenze, l’unico autorizzato dal governo a coltivarla.

Un’iniziativa ambiziosa che ha suscitato attenzione anche all’estero. L’Italia è infatti il primo paese in

Europa a tentare un approccio industriale in questo settore. L’intera filiera è sotto il controllo dell’agenzia

italiana del farmaco (Aifa), che registra e regolamenta le attività in collaborazione con i ministeri della

difesa e della salute.

L’operazione ha due obiettivi. Da un lato, allinearsi agli studi scientifici sui benefici terapeutici della

sostanza. Dall’altro, costruire un apparato produttivo capace di evitare i costi dell’importazione (la

cannabis medica italiana costa circa 15 euro al grammo, quella olandese tra i 18 e i 22) e garantire che la

materia prima sia sempre disponibile.

Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale, il progetto si è scontrato con una realtà particolarmente

complessa e, a conti fatti, stenta a decollare. Le zavorre che non gli hanno permesso di farlo sono

essenzialmente tre.

Le reazioni dei pazienti

Per prima cosa, l’accoglienza riservata all’Fm2 da parte di chi l’ha usata è stata quantomeno discordante.

Lucia, ad esempio, pur riconoscendo che si tratta un prodotto con un buon potenziale, lamenta il fatto che

per ottenere gli stessi effetti dell’olandese Bediol ha dovuto aumentare le dosi e che l’Fm2 le è stato

imposto senza lasciarle libertà di scelta.

Critico è anche Carlo Monaco, fondatore di Canapa caffè, locale a Roma dove si può consumare la

cannabis terapeutica in una therapy room e comprare prodotti a base di canapa. “La genetica è buona”,

spiega Monaco, “ma la cannabis ci arriva troppo macinata e questo comporta dei problemi a chi come me

la assume tramite vaporizzazione. Inoltre, dopo qualche utilizzo mi fa venire la nausea”. Possono

sembrare banali problemi di praticità di utilizzo del prodotto e di gusto, ma in molti casi questi non sono

aspetti secondari.

Che il gradimento dell’Fm2 sia soggetto a interpretazioni opposte lo sa bene anche il colonnello Antonio

Medica, direttore dello stabilimento di Firenze. La struttura occupa un’area di circa 55mila metri quadrati

nel quartiere di Rifredi ed è protetta da alte mura bianche.

In un ampio ufficio, il colonnello mi spiega che “la cannabis è una sostanza dalle potenzialità terapeutiche

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