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Infolampo: Sciopero – Voucher

scioperocommissionegaranziaSciopero: Cgil, invece di attaccare diritto Costituzionale

si approvi legge su rappresentatività

Roma, 21 giugno – “Non si approfitti ogni volta che ci sono disservizi causati da scioperi da noi non

condivisi né proclamati, per assestare un vero colpo di mannaia sulla libertà sindacale e sul diritto di

sciopero sancito nella nostra Costituzione”. Così il segretario confederale della Cgil Vincenzo Colla.

“Utilizzando le polemiche scaturite dallo stop dei

trasporti urbani di venerdì scorso da parte delle sigle

sindacali minori – sostiene Colla – il senatore Pietro

Ichino è tornato ad invocare l’approvazione del suo

ddl, dove tra le altre limitazioni è espressamente

previsto lo svolgimento del referendum tra tutti gli

addetti, con l’obbligo del 51% di consenso per

dichiarare sciopero”.

“Per rafforzare la sua tesi il senatore si spinge

addirittura a fare esempi con le leggi in merito

tedesca, britannica e spagnola, che prevedono forme

di consultazione, dimenticandosi però di dire –

sottolinea il dirigente sindacale – che in quei paesi

non vi sono, come invece nel nostro, leggi restrittive

e di garanzia per il contemperamento dei due diritti

costituzionali, lo sciopero e il diritto

dell’utente/cittadino. Mai in Italia sarebbe possibile

bloccare le metro per cinque giorni consecutivi

come è successo a Londra, o fermare per sei giorni tutto il trasporto ferroviario, come accaduto in

Germania”.

“Ci sembra evidente – prosegue Colla – quale sia il sistema migliore per garantire entrambi i diritti.

Invece di sfruttare spunti e polemiche per tentare di colpire la libertà sindacale e il diritto di sciopero, il

senatore Ichino potrebbe impegnarsi per far riprendere in una legge l’accordo interconfederale del 2014

sulla certificazione obbligatoria della rappresentanza”. “Questo – spiega il segretario confederale della

Cgil – permetterebbe di avere finalmente una norma in grado di misurare la reale, e non millantata,

rappresentatività delle varie sigle”. “Altra cosa – conclude – è invece valutare la necessità di aggiornare

semplicemente le tecniche che le parti sociali e istituzionali, nel libero confronto, possono individuare per

rendere più omogenea e lineare l’azione procedurale dello sciopero”.

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rappresentativita/

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Da Pomigliano ai voucher

Non è stato finora osservato che la lesione subita dalla Cgil coi suoi milioni di rappresentati (oltreché

dalla democrazia tout court) è qualitativamente identica a quella subita nel 2010, a Pomigliano D’Arco,

dalla Fiom con le sue migliaia di iscritti (oltreché dalla garanzia costituzionale della libertà sindacale). La

differenza è solo di quantità: riguarda l’entità della sbrego che è stato prodotto.

di Umberto Romagnoli

Allora, la Fiom venne estromessa dalla Fiat per non aver sottoscritto un contratto sostanzialmente

imposto e l’espulsione era apparentemente legittimata dalla formulazione letterale dell’art. 19 st. lav.

nella versione modificata dall’esito di un (improvvido) referendum del 1995. Nella riformulazione uscita

dalla urne, infatti, la norma-pivot della nostra legislazione di sostegno sindacale subordinava la titolarità

dei diritti di attività sindacale nei luoghi di lavoro alla sottoscrizione del contratto collettivo applicato

nell’unità produttiva. Per ristabilire la legalità la Fiom ha dovuto rivolgersi alla Corte costituzionale, la

quale ne ha ordinato la riammissione nei luoghi di lavoro emanando una sentenza appartenente alla

tipologia delle sentenze c.d. additive, che sono assai infrequenti nella sua giurisprudenza. Nel 2013, ha

riscritto la norma; e ciò per evitare che il dissenso di un sindacato sia punito sacrificando la libertà dei

lavoratori di scegliersi la rappresentanza sindacale che vogliono.

Orbene, quel che accade oggi ripropone in misura esponenziale, fino ad ingigantirlo, il problema di come

si possa reagire all’alterazione delle regole del gioco democratico quando la slealtà dell’interprete lo

spinge a sfruttarne cinicamente veri o presunti difetti.

Frode costituzionale. Schiaffo alla democrazia. Scippo di referendum. Strategia dell’inganno.

I commenti non potevano essere meno indignati. Però, è da poco meno di 50 anni che in Italia si fanno

referendum – quello istituzionale del 1946 è un altro film – e non era mai successo che il vascello allestito

dai referendari naufragasse proprio quando aveva raggiunto il porto. Anzi, paradossalmente sembrava che

il governo non aspettasse altro che la spinta referendaria per abrogare le disposizioni di legge relative al

voucher. Infatti, era già cominciato il conto alla rovescia in attesa del giorno fissato per il responso

popolare e il governo lo ha bruscamente interrotto nel modo più frettoloso possibile: ha abrogato l’intera

normativa e con l’abrogazione ha reso superflua la celebrazione del referendum; lo ha fatto addirittura

ricorrendo alla decretazione d’urgenza, poi regolarmente approvata dal Parlamento.

Questo è accaduto la scorsa primavera. E’ alle soglie dell’estate che si è registrato il dietro-front

governativo. L’istituto del voucher è stato reintrodotto. Con alcune modifiche. Che ci vuol poco per

capire come non vadano nella direzione voluta dai referendari: basta confrontare la nuova disciplina con

la normativa del lavoro occasionale contenuta nella “Carta dei diritti universali del lavoro” elaborata un

anno fa dalla Cgil.

Questo modo di procedere – in due tempi e con propositi nettamente contrastanti (anzi, platealmente

opposti) – non si era mai visto. E nemmeno ipotizzato. Per questo, non è vietato né dalla costituzione né

dalla legge del 1970 che regola l’istituto del referendum. Essa prevede che il governo possa evitarne lo

svolgimento modificando la norma contestata dai referendari in modo da andare incontro alle loro istanze,

ma stabilisce che spetta alla Corte di Cassazione valutare, sulla base di un giudizio che è più di natura

tecnica che di merito, se le modifiche sono incisive nella misura sufficiente a soddisfare la richiesta dei

referendari. Pertanto, se la Cgil adirà (come è stato anticipato) la Corte costituzionale, non è da escludere

che quest’ultima finisca per censurare l’incostituzionalità dell’assetto regolativo dell’istituto referendario,

pronunciando una sentenza additiva. Anche stavolta. Dovrebbe cioè aggiustare la legge vigente che ha il

torto di non vietare esplicitamente (o, il che è lo stesso, consentire) manovre come quelle praticate dal

governo in occasione della vicenda di cui si sono occupate le cronache di questi giorni, sanzionando in

maniera appropriata il comportamento fraudolento. In ogni caso, però, a prescindere dai tempi lunghi per

arrivare ad un esito del genere, è pacifico che nemmeno l’eventuale sentenza dell’Alta Corte potrà

cancellare il voucher che, intanto, è tornato nell’ordinamento.

Per questo, non resta che riempire le piazze di Roma il 17 giugno; e contarsi per poter contare.

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voucher/