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Infolampo: Migrazioni – Salario

Migrazioni. Un vademecum dei pensionati toscani contro
i luoghi comuni
Il dibattito politico quotidiano si caratterizza sempre di più per una costante demonizzazione dei
fenomeni migratori basata su luoghi comuni, semplificazioni e inesattezze.
L’attuale ministro degli interni Salvini utilizza i barconi che attraversano il Mar Mediterraneo come una
clava per imporre politiche securitarie e xenofobe. Dall’altra parte, tanti cittadini fanno fronte comune per
ribadire i valori della tolleranza e della solidarietà e per
ricordare a tutte le forze politiche che le migrazioni possono
essere gestite in un modo differente. Accade così che in
Toscana il sindacato dei pensionati della Cgil si faccia
promotore di un vademecum contro i luoghi comuni sulle
migrazioni, per ricordare ai propri iscritti e non, che quando
si parla di stranieri in Italia, di rifugiati politici, di migranti
economici, si fanno spesso delle semplificazioni che
finiscono per alterare completamente la realtà.
Il vademecum per difendersi dai luoghi comuni sulle
migrazioni in Italia fa seguito al libro edito da LiberEtà
“Tutto il mondo è paese” che, con il supporto di dati e analisi
rigorose, veniva pubblicato proprio pochi mesi fa con lo
scopo di smontare pezzo per pezzo tutte le falsità che ruotano
attorno al fenomeno migratorio, alimentando false credenze e
paure.
Il vademecum dello Spi Toscana propone in modo semplice
e divulgativo i principali luoghi comuni smontandoli uno a uno, con il sostegno di informazioni precise.
Si va dal luogo comune “sono ospitati in alberghi di lusso” a “meglio aiutarli a casa propria, dal “ci
invadono” a “ci rubano il lavoro”, da “l’immigrazione uguale terrorismo” a “ci contagiano con le loro
malattie”. Ma l’elenco è molto più lungo. Lo Spi Toscana li ha rimessi in fila uno ad uno. 25 punti per
smontare pezzo per pezzo la propaganda xenofoba e razzista alimentata quotidianamente dal governo.
Facciamo un esempio. Un luogo comune molto diffuso vorrebbe che si debbano aumentare i rimpatri per i
migranti irregolari presenti in Italia. Ma la difficoltà più grande è costituita dalla necessità di stringere
accordi di riammissione con i paesi di origine del Nord Africa. In assenza di questi accordi il migrante
non ha la possibilità di rientrare nel proprio paese.
C’è poi il problema concreto dei costi per una simile soluzione. “Secondo i dati Frontex – si legge nel
vademecum – gestire una singola pratica di rimpatrio ha un costo medio di 5.800 euro. Un rimpatrio di
massa arriverebbe quindi a costare quasi 3 miliardi di euro”.
Un altro luogo comune diffusissimo è quello secondo cui tutti i migranti verrebbero ospitati in alberghi di
Leggi tutto: https://www.libereta.it/migrazioni-luoghi-comuni-toscana/

Autonomia: Cgil, contrasteremo
provvedimenti che aumentano
disuguaglianze

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Salario minimo, perché la proposta M5S non convince
Il pericolo è che i datori di lavoro possano non avere più alcun interesse a stipulare i contratti nazionali
e scegliere soglie legalizzate più basse. Non a caso non esiste in altri Paesi come Svezia, Danimarca,
Finlandia e Austria
di Salvo Leonardi
Prosegue l’offensiva propagandistica e mediatica del M5S contro i sindacati confederali. Dopo avere
aspramente reagito alle loro critiche sulla manovra economica – anche per ciò che attiene a misure
importanti ma assai mal congegnate, come il reddito di cittadinanza e quota 100 – si apre un nuovo fronte
intorno alla proposta di una legge per un salario minimo orario, contrastata – a loro dire colpevolmente –
dai sindacati, insieme in questo a Confindustria.
L’istituzione di un salario minimo legale riprende un loro ddl del 2013 e sta in testa al famoso contratto di
governo fra Lega e M5S, per ciò che attiene al capitolo lavoro. Essa è ora oggetto di un nuovo ddl
(658/2018), a prima firma Nunzia Catalfo, depositato in Commissione lavoro al Senato. L’obiettivo dei
suoi cinque articoli sarebbe quello di raggiungere con questo strumento tutte le categorie di working
poors in cui la retribuzione minima è inferiore alla soglia di povertà relativa (50% del salario mediano),
pur essendo regolarmente occupati. In questo progetto, “il trattamento economico complessivo” del
lavoratore non potrà essere inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore,
stipulato dalle associazioni più rappresentative sul piano nazionale, similmente alla vecchia delega,
disattesa, del Jobs Act (L. 183/2014, art. 1, co. 7). E comunque, e qui sta già una grossa novità “non
inferiore a 9 euro all’ora, al lordo degli oneri contributivi e previdenziali” (Art. 2).
A suffragio della sua petizione, il M5S ricorre al raffronto europeo (Eurofound, Statutory Minimum
Wages 2018), rilevando un dato piuttosto noto, e qui liquidato alla stregua di una inaccettabile anomalia
del sistema italiano. Quello per cui, su 27 Stati membri, ben 22 hanno il salario minimo per legge, e noi –
a causa di quella che viene ritenuta una pervicacia dei sindacati confederali – invece no. “Così sono liberi
di impoverire i lavoratori”, è il loro sobrio commento, sottoscrivendo magari “accordi da 3 euro lordi
l’ora”, per poi andare in piazza a protestare, è la chiosa, contro chi invece ha veramente a cuore la dignità
dei lavoratori (Il Blog delle Stelle).
Si tratta di considerazioni per lo più incomplete, strumentali o semplicemente false. Se è infatti vero che il
salario minimo legale rappresenta la soluzione più comune all’interno dell’Unione europea, occorre
aggiungere che i cinque Paesi che non vi ricorrono, optando per una definizione di origine contrattuale,
sono – per la qualità del lavoro e delle relazioni sindacali – di assoluto rispetto: Svezia, Danimarca,
Finlandia, Austria e, appunto, Italia. Per una volta potremmo dire di stare in un’ottima zona delle
graduatorie comunitarie. E la ragione è che questi Paesi sono fra i pochi rimasti in cui la forza associativa
delle parti sociali (la più alta sindacalizzazione dell’Ue), insieme a quella dei contratti nazionali da esse
stipulati, riesce a coniugare altissimi livelli di copertura (pressoché integrale), con soglie minime di
retribuzione, in rapporto a quelle mediane, uguali o maggiori che non nei Paesi più virtuosi dove vige il
minimo legale. Qui infatti tale rapporto (noto come “indice di Kaitz”) si staglia sempre al di sotto della
soglia del lavoro povero (66%), laddove in oltre la metà dei casi – fra cui Germania, Regno Unito, Spagna
– sfiora o non si raggiunge neppure quella di povertà (50%). Il rapporto evocato dal M5S contiene
oltretutto una tesi molto pericolosa. Che dev’esser loro sfuggita. E cioè che se il minimo legale supera la
soglia del 40% del salario mediano (dunque ben al di sotto della soglia della povertà assoluta), ciò
avrebbe conseguenze negative per l’occupazione. Cosa sulla quale non possiamo che dissentire
radicalmente, come peraltro le esperienze europee in gran parte testimoniano.
In Italia, dove pure i contratti nazionali non hanno un’efficacia legale diretta, i livelli di copertura sono
ovunque stimati oltre il 90%, laddove il rapporto fra salario minimo contrattuale e salario mediano, è il
più alto d’Europa (>80%). Un dato che rivela eventualmente, più che un problema coi livelli minimi, una
inadeguatezza dei livelli medi e mediani, per la cui crescita occorrerà indubbiamente moltiplicare gli
sforzi. Già oggi, i minimi contrattuali italiani si attestano in media sui livelli dei paesi più ricchi d’Europa
(9,41 euro; Garnero, 2015), dove a disporli è la legge, senza però l’inconveniente di appiattire i
trattamenti, riguardo alle varie specificità settoriali e professionali dei lavoratori.
Ovviamente, è del tutto falso insinuare che i sindacati confederali firmino contratti con salari minimi a 3
euro lordi, laddove è invece molto reale l’insidia del lavoro nero e grigio, e ora anche dei contratti
nazionali “pirata”, stipulati a centinaia da sigle sconosciute o prive di adeguata rappresentatività. E in
grado di esercitare un pericoloso dumping salariale, che dev’essere con ogni mezzo prevenuto ed
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