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Infolampo: Pensioni quota 100 – Paura

Il governo è al lavoro su un’ipotesi di riforma delle pensioni con quota 100 e un minimo di 62 anni di età e 36-37 anni di contributi. La nuova ipotesi di uscita a quota 100 e il numero dei beneficiari (88mm x 110mm)

Pensioni, il bluff di quota 100
A due giorni dalla discussione della legge di bilancio confusione totale. Ghiselli (Cgil) a RadioArticolo1:
cercheranno un escamotage per risparmiare intervenendo sulla platea ma “facendo finta di non farlo”.
Poche certezze anche sul futuro dell’Ape social
La riforma delle pensioni, con la cancellazione della riforma Fornero, è – insieme al reddito di
cittadinanza – uno dei capitoli chiave del contratto di
governo giallo-verde. Tuttavia – a due giorni dall’andata in
aula della legge di bilancio – nel dettaglio si sa ancora molto
poco e gli emendamenti presentati dal governo e dai relatori
alla manovra non prevedono modifiche alla Fornero.
“Effettivamente c’è una grande confusione – commenta
Roberto Ghiselli intervenuto su RadioArticolo1 – che in
parte dipende dallo scarto tra le promesse fatte in campagna
elettorale e ciò che si è poi in condizione di fare. Un aspetto
tanto più importante proprio perché si deve interloquire con
l’Europa. È probabile che in questi giorni si stia tentando di
lavorare sulle platee per ridurre i costi al fine di tagliare il
deficit previsto al 2,4 per cento”.
Non è facile, viste tutte le promesse lanciate in campagna
elettorale. “Sicuramente – osserva il sindacalista – lo faranno
facendo finta di non averlo fatto, provando a dare a intendere
che quota 100 rimane e gli impegni vengano rispettati. Ad
oggi, quello che concretamente si farà non è però dato di
saperlo”.
Ciò che trapela non convince i sindacati: “Il sottosegretario Durigon, ad esempio, fa riferimento a un
intervento temporaneo, limitato a qualche anno, fra l’altro con delle decorrenze posticipate rispetto ad ora;
quindi è probabile che nel 2019 saranno molto pochi i lavoratori che potranno andare a riposo con quota
100”.
In ogni caso, quella di cui parla il governo è non solo una quota 100 che rischia di essere temporanea (si
ipotizzano tre anni), ma che, a differenza di quella proposta nella piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil,
“non parla alle donne, alle piccole imprese, al Sud, a chi ha lavori discontinui, e deboli, ai giovani e a chi
svolge lavori gravosi e usuranti”. Obiezioni, spiega il sindacalista, “che valgono ancor di più se
parlassimo solo di quota 41, cioè dei 41 anni di contributi necessari per poter andare in pensione”.
Il riferimento è a un’altra ipotesi circolata in questi giorni, e cioè che dopo tre anni di quota 100
temporanea si potrebbe andare in pensione avendo maturato 41 anni di contribuzione a prescindere
dall’età anagrafica. Chi invece non raggiungesse i 41 anni di contribuzione, dovrebbe aspettare l’età della
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Premi LiberEtà. Il 12 dicembre la
premiazione con Neri Marcorè

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La paura che arma l’Italia
“Questa è una Smith & Wesson 38 special uguale a quella che aveva Agostino. Quando la comprò negli
anni settanta lo fece perché credeva che avrebbe così reso più sicura la sua famiglia”. È il 28 giugno
2018 quando Luca Di Bartolomei pubblica su Twitter questa frase, seguita dalla foto di una pistola.
Agostino è il calciatore Agostino Di Bartolomei, padre di Luca e capitano della Roma che vinse lo
scudetto nel 1983: si è suicidato con un colpo di pistola il 30 maggio 1994.
di Giorgio Ghiglione, giornalista
Il tweet scatena un dibattito tra chi auspica più controlli sulle armi e chi invece vuole essere libero di
tenerle a casa per legittima difesa. Ad attirare l’attenzione di Di Bartolomei, che gestisce una società di
comunicazione, è una domanda in particolare: “Un’insegnante di liceo di Cecina mi ha chiesto se mi sarei
sentito più sicuro con una pistola in casa, per difendere la mia famiglia nel caso venisse qualcuno a
rubarmi quello che ho guadagnato”, racconta al telefono.
È la dimostrazione che le armi sono “sempre più tollerate nella nostra società,” dice, “mi impressiona che
la priorità sia diventata la difesa del patrimonio”. Di Bartolomei non è contrario alle armi in senso
assoluto: “La famiglia di mia nonna era una famiglia di cacciatori, mio nonno era un poliziotto. Ho
ereditato delle armi e riconosco il fatto che l’Italia ha una lunga tradizione nella produzione di armi”,
spiega. Tuttavia, la storia di suo padre l’ha convinto che servono più regole per evitare altre tragedie. Le
armi “non sono strumenti neutri”, dice.
Le statistiche confermano che l’opinione pubblica sta cambiando, ed è sempre più favorevole al possesso
di pistole e fucili per difendere famiglia e abitazione. Nello stesso giorno in cui Di Bartolomei pubblicava
il suo tweet un rapporto del Censis e di Federsicurezza (l’organizzazione federale imprenditoriale che
raccorda le associazioni della vigilanza privata) indicava che il 39 per cento degli italiani è favorevole a
norme meno rigide sulla legittima difesa. Tre anni fa era il 26 per cento. Dati che hanno spinto il ministro
dell’interno Matteo Salvini ad annunciare prima e a proporre poi una legge sulla legittima difesa in
discussione al parlamento. E che lo spingono a dichiarare, il 28 novembre, poche ore dopo che un
commerciante ha ucciso un ladro entrato nella sua azienda in provincia di Arezzo: “Sto con lui”.
Percezioni e realtà
Eppure i dati dello stesso ministro dell’interno dicono che l’Italia è un paese sempre più sicuro. Il numero
di crimini è in calo da anni, rivela il Censis. I reati denunciati nel 2017 sono stati 2.232.552, il 10,2 per
cento in meno rispetto al 2016. Da due anni gli omicidi sono scesi sotto i 400 all’anno: nel 2016 sono stati
397, 343 nel 2017, mentre nel 1991 furono 1.916. Inoltre, tra il 2016 e il 2017 le rapine sono passate da
45.857 a 28.612, mentre i furti sono scesi da circa 1,4 milioni a poco meno di 1,2 milioni.
Se però guardiamo alle statistiche sulla percezione dell’insicurezza, il quadro cambia radicalmente. Il
Censis dice che il 31,9 per cento degli intervistati percepisce un rischio criminalità nella zona in cui vive.
Nonostante i reati siano in calo, si legge nel dossier, il 78 per cento degli italiani è convinto che “si debba
avere paura degli altri”: tra chi ha più di 65 anni questa percentuale raggiunge l’83 per cento, mentre tra
chi ha meno di 17 anni scende al 73.
A un’alta percezione di insicurezza, corrisponde un aumento delle licenze di porto d’armi in Italia.
Secondo i dati del ministero dell’interno, citati dal Censis, nel 2017 si contavano nel nostro paese
1.398.920 licenze di porto d’armi, da quelle per la caccia a quelle per la difesa personale: sono aumentate
del 20,5 per cento rispetto al 2014 e del 13,8 per cento rispetto al 2016.
“Devo difendermi”
A volersi armare sono persone comuni. È il caso di un consulente del lavoro che vive e lavora in una
cittadina in provincia di Milano. Lo incontro nel suo ufficio e mi chiede subito di poter rimanere
nell’anonimato, anche se racconta volentieri perché ha deciso di tenere a casa sua una Beretta calibro 22 e
un fucile Winchester a pompa: “Di fronte a un estraneo in casa ci possono essere due possibilità: o
subisco o cerco di difendermi, io ho scelto la seconda possibilità”.
Alle armi ci è arrivato attraverso la passione per il tiro a volo, che praticava in un campo vicino a casa.
Quando la struttura ha chiuso, qualche anno fa, ha smesso, ma non ha rinunciato alla Beretta e al
Winchester. “Ovviamente spero di non doverle usare mai. Non vado in giro a fare il pistolero, se vedo un
ladro da un vicino non mi metto sparare e il mio fucile è caricato con proiettili in gomma, non letali”,
mette le mani avanti.
L’idea di trovarsi un ladro in casa lo preoccupa tanto: “Ho anche preso alcune precauzioni, per esempio
tengo un martello sotto il letto e ho messo le grate a porte e finestre, tanto che ora casa mia sembra una
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