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Infolampo: seviziocivile – problemi

Servizio civile: la politica disdegna la buona
partecipazione
Servono risposte chiare e rapide da parte delle istituzioni, governo in primis. Ritardi, silenzi, incertezze,
tagli vari mettono puntualmente a rischio un’esperienza tra le più interessanti tra quelle vissute dai
nostri ragazzi e ragazze negli ultimi anni
di Nuccio Iovene
Sono 41.000 le ragazze e i ragazzi attualmente impegnati quest’anno nel Servizio Civile Nazionale e altri
50.000 sono pronti a partire non appena saranno espletati i bandi che li riguardano. Una cifra consistente
ed incoraggiante, ma che ancora non è in grado di soddisfare per intero la domanda di partecipazione
presente tra i giovani del nostro Paese. Sono questi i
principali dati emersi nel corso della presentazione del XVII
rapporto annuale della Cnesc ( la Conferenza Nazionale
degli Enti per il Servizio Civile) sullo stato del Servizio
Civile in Italia. La Cnesc è la più antica e rappresentativa
rete di organizzazioni nazionali che gestiscono e
promuovono progetti di Servizio Civile e comprende tra le
altre la Caritas Italiana e l’Arci Servizio Civile, le Acli e
l’Anpass, l’Avis e l’Unicef, Federsolidarietà e LegaCoop, la
Focsiv e Telefono Azzurro, solo per ricordare alcune tra le
27 associazioni aderenti, e quest’anno ha gestito progetti in
cui erano impegnati oltre un quarto del totale dei giovani in
Servizio Civile, esattamente 12.505 in Italia e 518 all’estero.
Inoltre le sedi Cnesc costituiscono il 30% di quelle
accreditate in Italia ed il 64% di quelle all’estero.
I progetti di servizio Civile realizzati dalle organizzazioni
aderenti alla Cnesc sono stati 702 nel settore dell’Assistenza (agli anziani, ai disabili, ai pazienti affetti da
patologie, ai minori e adulti in condizioni di disagio, pari al 61% del totale. Quelli realizzati nel settore
dell’Educazione e Promozione Culturale sono stati 410, pari al 36% del totale (tra cui quelli relativi a
centri di aggregazione, animazione verso i minori e educazione ai diritti del cittadino). Nel settore del
Patrimonio la stragrande maggioranza dei progetti ha riguardato la valorizzazione delle storie e delle
culture locali. Nel settore dell’Ambiente e della Protezione Civile sono stati realizzati 32 progetti, pari al
3% del total, e in particolare indirizzati alla salvaguardia e tutela di parchi, seguiti da quelli di
prevenzione e di interventi su emergenze. I progetti realizzati, infine, all’estero sono stati in totale 58
suddivisi nei campi della cooperazione internazionale, dell’assistenza, dell’educazione e promozione

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buona-partecipazione

Giuseppe Santarelli Cgil Marche:
voucher, non torniamo al passato.

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Perché inventiamo sempre nuovi problemi
In questo mondo è tutto così terribile o le cose stanno migliorando? È un tema di cui si discute molto
perché entrambe le cose sembrano vere. Da una parte, sarebbe sciocco non tener conto delle statistiche
(povertà, violenza e malattie stanno veramente diminuendo); dall’altra, non possiamo ignorare le orribili
notizie che sentiamo ogni giorno. Perciò sono grato a un affascinante studio, pubblicato di recente dalla
rivista Science, che getta nuova luce sulla questione. Anche se parte da una domanda apparentemente
assurda che sembra non avere niente a che fare con l’argomento: come definireste un “puntino blu”?
di Oliver Burkeman, The Guardian, Regno Unito
Ai partecipanti all’esperimento sono state mostrate centinaia di puntini di colori che andavano dal viola
intenso al blu scuro, e per ciascuno dovevano dire se era blu o no. Ovviamente, più il puntino era scuro,
più le persone tendevano a dire che lo era. Ma la cosa interessante è successa quando i ricercatori hanno
cominciato a ridurre la percentuale dei puntini blu.
Espansione strisciante del concetto
Più quelli che lo erano oggettivamente diminuivano, più la definizione di blu dei soggetti si allargava e
cominciavano a classificare come blu anche quelli violacei. La loro idea di blu era diventata più estesa, un
fenomeno che gli autori dello studio hanno chiamato “cambiamento di concetto indotto dalla prevalenza”.
Questo chiaramente non ha niente a che vedere con problemi sociali come la povertà e il razzismo, o forse
sì.
Qualcuno sostiene che viviamo in un’epoca in cui concetti come quelli di “trauma” o di “violenza” sono
stati estesi fino a includere cose di cui quali nessuna generazione precedente si sarebbe preoccupata (il
termine usato in inglese per questo fenomeno è concept creep, l’estensione strisciante del concetto).
Da qui nasce l’idea che un certo modo di parlare equivale a una violenza. O che lasciar andare da solo a
scuola un bambino di otto anni significa abbandono di minore. O, per prendere un esempio dall’attuale
dibattito sull’identità di genere, che mettere in discussione il modo in cui una persona preferisce spiegare
la propria esperienza di genere significa negare il suo diritto all’esistenza.
Dalle fasi successive dello studio sui puntini blu è emerso che “il cambiamento di concetto indotto dalla
prevalenza” influisce anche su questo. Per esempio, se chiediamo a un gruppo di persone di classificare
una serie di facce come “minacciose” o “non minacciose” e poi riduciamo il numero delle prime,
definiranno minacciose anche facce dall’espressione più neutrale.
Quando i problemi diventano meno numerosi, cominciamo a considerare più cose come un problema
Se chiediamo di classificare una serie di proposte come morali o immorali, e riduciamo il numero di
quelle immorali, i soggetti allargheranno il loro concetto di “immorale” anche a quelle morali. Per dirla
con Dan Gilbert, uno degli autori dello studio, “quando i problemi diventano meno numerosi,
cominciamo a considerare più cose come un problema”.
Questo ha enormi implicazioni per le persone con una mentalità progressista, perché fa pensare che,
anche se le cose stanno migliorando, abbiamo difficoltà a percepirlo, perché tendiamo a vedere nuovi
problemi. Il che non significa che non siano reali. Questo atteggiamento non è sempre sbagliato. Per usare
l’analogia di Gilbert, è giusto che un medico del pronto soccorso consideri più urgente una ferita da arma
da fuoco rispetto a un braccio fratturato, mentre se non c’è nessuna ferita da arma da fuoco da curare, fa
benissimo ad allargare il suo concetto di “urgenza” a un braccio fratturato. Ma è anche vero che un
neurologo non dovrebbe allargare la sua definizione di “tumore al cervello” solo perché non ne ha
riscontrato nessuno.
Per quanto riguarda i problemi sociali – o i nostri personali – la questione sta nel chiederci se la cosa che
ci preoccupa è più del primo o del secondo tipo: un problema veramente serio, o uno che abbiamo
praticamente inventato? Sembra che niente stia migliorando, ma forse abbiamo questa sensazione perché
continuiamo a spostare i paletti.
Da ascoltare
Dato che secondo le statistiche il mondo sta migliorando, non dovremmo smettere di preoccuparci? I
sostenitori delle due tesi ne discutono in The new optimism, una puntata del podcast Intelligence squared.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Leggi tutto: https://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2018/07/24/nuovi-problemi