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Infolampo: Pensioni – Split Payment

Pensioni: Cgil, basta spot improvvisati
Ghiselli a RadioArticolo1: “Il governo è passato dall’idea di cancellare la Fornero, che presupponeva
una modifica radicale del sistema, a semplici annunci. Non sembra ci siano le condizioni per una
discussione vera”
“Il governo è passato da un’idea di cancellazione della legge Fornero, proposta in campagna elettorale,
che in qualche nodo presupponeva una modifica radicale del
sistema previdenziale, a semplici spot e annunci improvvisati.
Dunque, non sembra ci siano le condizioni per fare una
discussione su una vera riforma delle pensioni”. Così Roberto
Ghiselli, segretario confederale Cgil, oggi ai microfoni di
Italia parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1. “Il
ministro del Lavoro e dello sviluppo, Luigi Di Maio, parla di
quota 100 e quota 41: il problema è che per funzionare quei
numeri devono essere accompagnati da una serie di condizioni
che attualmente non ci sono. Al contrario, esiste il paletto dei
64 anni d’età e dei 36 anni di contributi, che di fatto penalizza
tantissime persone, perché presuppone il ricalcolo
contributivo di tutto il montante e una carriera lavorativa
molto costante, introducendo livelli che pochissimi lavoratori
possono raggiungere. Penso a disoccupati, cassaintegrati,
invalidi, a chi fa lavori gravosi, a chi assiste persone non
autosufficienti, tutte categorie che addirittura andranno peggio di prima, perché l’Ape sociale – strumento
di cui non siamo particolarmente entusiasti -, comunque garantiva a una certa platea l’uscita a 63 anni”,
prosegue il dirigente sindacale.
“La proposta governativa ha uno sguardo strabico, perché penalizza donne e giovani del Sud, a vantaggio
dei maschi del Nord, che hanno una carriera previdenziale costante e requisiti di un certo tipo. Penso che
un lavoratore, così come una lavoratrice, dopo 41 anni di contributi debba avere la possibilità, senza altri
vincoli, di andare in pensione. Però il sistema contributivo va corretto, tenendo conto di altri elementi,
altre esigenze di carattere sociale, come ad esempio chi ha carriere discontinue, che poi sono la
maggioranza dei giovani. Costoro devono avere un riconoscimento previdenziale che gli consenta di
arrivare a una pensione dignitosa. In tale contesto, anche la specificità del lavoro di cura delle donne va
premiata. Ad ogni modo, noi crediamo che il cardine di una riforma previdenziale debba essere la
flessibilità in uscita, riprendendo lo spirito della riforma Dini, secondo la quale da una certa età in poi è il
lavoratore che, dopo i 62 anni, sceglie come uscire in base alle sue condizioni lavorative, familiari, di
salute”, continua l’esponente Cgil.
“Si parla di reddito e di pensione di cittadinanza per aiutare soprattutto i giovani, determinando un livello
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Di qua pace e solidarietà, di là
egoismo e razzismo

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Perché è un errore abolire lo split payment
Le pubbliche amministrazioni versano direttamente al fisco l’Iva per l’acquisto di beni e servizi da
privati. È lo split payment e ha garantito un buon recupero dell’evasione, senza troppi costi per i
contribuenti onesti. Ora il governo vuole eliminarlo.
di Alessandro Santoro
A cosa serve la scissione dei pagamenti
Stando ai ripetuti annunci, tra i primi provvedimenti del governo oltre all’abolizione del redditometro e
dello spesometro ci sarà anche quella dello split payment.
È davvero difficile capire che cosa tenga insieme le tre abolizioni al di là dell’idea che si tratterebbe di
misure che “creano dei problemi ai contribuenti onesti”. Il problema, beninteso, esiste: in un paese
caratterizzato da evasione di massa, come il nostro, tutte le misure normative – e quindi applicate a tutti i
contribuenti – finalizzate a ridurre l’evasione hanno un costo perché finiscono per danneggiare in una
certa misura anche i contribuenti onesti. La razionalità imporrebbe di introdurle e mantenerle se e solo se
i) i costi subiti dai contribuenti onesti possono essere ridotti in misura tale da essere nulli o almeno
sopportabili e ii) se questi costi sono largamente inferiori ai benefici collettivi – cioè al recupero di gettito
– ottenuto a spese dei contribuenti disonesti.
Ebbene, nel caso dello split payment sembrano verificarsi entrambe le condizioni, o comunque si può
conseguirle attraverso ulteriori affinamenti dello strumento. L’abolizione della misura è quindi del tutto
illogica.
Introdotto con la legge di stabilità per il 2015, lo split payment è il meccanismo che prevede che l’Iva
originata dalla vendita di un bene o di un servizio da un operatore privato a una pubblica amministrazione
anziché venire inclusa nella fattura di vendita emessa dal primo soggetto, pagata dalla Pa e poi versata dal
fornitore – secondo il normale funzionamento dell’imposta – venga direttamente versata dalla Pa al fisco
e scorporata dalla fattura. La scissione dei pagamenti è stata introdotta per la necessità di recuperare l’Iva
che i fornitori trattenevano illegalmente. I contribuenti onesti subiscono, d’altra parte, la riduzione
dell’Iva a debito (quella che avrebbero ricevuto dalla Pa e che devono versare al fisco) e quindi si trovano
ad avere maggiori crediti Iva netti, con conseguenti possibili problemi di liquidità.
La tutela dei contribuenti onesti
Il nostro sistema ha tuttavia due meccanismi che consentono di ridurre tali costi. Il primo è la possibilità,
unica in Europa, di compensare i crediti Iva anche in modo “orizzontale” ovvero non solo con l’Iva a
debito, ma anche con altre imposte o contributi dovuti.
Il secondo è la possibilità, in alternativa alla compensazione, di richiedere il rimborso anticipato rispetto
ai tempi ordinari. L’attivarsi dei due meccanismi di tutela dei contribuenti onesti – per i contribuenti
disonesti il problema non si pone perché, non dichiarando l’Iva a debito in precedenza, la loro posizione
creditoria netta non cambia – è testimoniata dal fatto che, come riportato nello studio europeo sui diversi
meccanismi di split payment, nel caso italiano vi è stato un forte incremento di rimborsi e di
compensazioni nel biennio 2015-2016, per circa 1,8 e per circa 1,2 miliardi, rispettivamente, attribuibile
proprio allo split payment. Ciò nonostante, l’incremento di gettito Iva, stimato attraverso l’analisi di un
controfattuale, sempre nel biennio 2015-2016, si è comunque attestato a circa 3,5 miliardi. Ciò testimonia
il fatto che l’Iva che prima dello split payment non veniva versata dai contribuenti disonesti supera
ampiamente la maggiore Iva chiesta in restituzione, a seguito dello split payment, dai contribuenti onesti.
Inoltre questa stima, ormai ufficiale, segnala l’esigenza di trovare opportune coperture per l’abolizione
dello split payment a saldi invariati di finanza pubblica.
Ovviamente, per arrivare a questi risultati sia il settore privato sia quello pubblico hanno dovuto sostenere
ingenti “costi di adattamento” dei software e delle procedure amministrative. Tuttavia, è da ritenere che
siano già stati assorbiti e quindi non possano giustificare, ora, l’abolizione dello split payment.
Sebbene sia evidente che i benefici collettivi dello split payment siano stati superiori ai costi variabili, è
ovviamente del tutto legittimo pensare che sia necessario ridurre ulteriormente questi ultimi perché
rimborsi accelerati e compensazioni non riescono ad alleviare i problemi di liquidità di tutte le imprese.
Ma la risposta razionale è nel miglioramento ulteriore delle procedure di rimborso ed eventualmente
nell’allentamento dei vincoli alle compensazioni orizzontali per i soggetti – facilmente tracciabili peraltro
– che subiscono l’applicazione dello split payment.
Alla risposta razionale si potrebbe obiettare che, comunque, non è realistico pensare che i costi a carico
dei contribuenti onesti siano del tutto azzerati, come dovrebbe accadere nel mondo ideale dove si attua
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