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Infolampo: Amazon – Reddito

Amazon, verso un fronte comune internazionale
I sindacati varano un Comitato aziendale europeo. E iniziano a parlare di sciopero globale. Il punto sulle
proteste in Italia, Spagna, Germania. Occupazione, contratti precari, turni stressanti, controlli e privacy
dei lavoratori: i temi principali
I sindacati europei e statunitensi Amazon bruciano le tappe verso la creazione di un fronte comune e non
escludono iniziative internazionali, ad esempio uno sciopero generale globale, per migliorare le
condizioni di lavoro negli stabilimenti della multinazionale guidata da Jeff Bezos. A fine aprile la Cgil ha
ospitato a Roma una riunione internazionale Amazon organizzata da Uni Global Union in collaborazione
con la Fondazione Ebert. Alla riunione hanno partecipato
rappresentanze dei lavoratori, sindacati del commercio e
dei trasporti europei e americani. Come riferisce il sito
spagnolo Boletín, durante l’appuntamento è stato
ufficialmente comunicato l’accordo raggiunto tra i
principali sindacati europei per l’istituzione di un Comitato
aziendale europeo Amazon, e la comunicazione di questa
iniziativa alla sede di Amazon in Lussemburgo. “Se dopo
sei mesi la multinazionale non risponde, il comitato si potrà
considerare costituito”, scrive Boletín, e i lavoratori del
colosso di vendite online avranno un nuovo strumento di
lotta globale.
Nel corso dell’appuntamento romano i delegati delle
Comisiones Obreras (Ccoo, il sindacato spagnolo) hanno
anche proposto uno sciopero globale europeo, coordinato in
tutti i siti e paesi dove opera Amazon. La mobilitazione si
potrebbe tenere nel Prime Day Amazon o durante il Black Friday, ma non è stata presa nessuna decisione
al riguardo, anche se “secondo le Ccoo la proposta è stata accolta molto bene nel forum internazionale”,
riporta sempre Boletín.
I sindacati si sono confrontati “sulle iniziative di sciopero realizzate in Italia, Spagna, Germania per
contrastare una intensità della prestazione lavorativa ed una pressione sulle condizioni di lavoro che
rappresenta un tratto comune in tutti i siti di Amazon”, si legge in una nota di riepilogo a cura dell’Area
contrattazione e mercato del lavoro della Cgil. “Altri temi usciti con molta evidenza sono stati quelli
dell’occupazione, dei riconoscimenti professionali, del trattamento dei dati – prosegue il documento –. È
emersa la necessità di dotarsi di una comunicazione omogenea a livello internazionale, che rappresenti in
modo efficace e comunicativo i problemi che uniscono tutti i lavoratori di Amazon a livello mondiale.
Questa dovrebbe essere una vera e propria fase preparatoria di una iniziativa di lotta comune a livello
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Bilancio Ue: Cgil, Cisl, Uil, tagli
ai fondi coesione minano
sviluppo e riduzione divari

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Reddito di cittadinanza. È la risposta giusta alla prossima
rivoluzione industriale?
Tra le idee oggi al centro del dibattito politico, non solo in Italia, vi sono varie ipotesi di redistribuzione
del reddito che, talvolta impropriamente, vengono indicate come reddito di cittadinanza (di quella
avanzata dal M5S si sono occupati in modo approfondito FraGRa in questa rivista).
Scritto da: Giuseppe Croce
La proposta di un intervento di questo tipo, che per comodità indichiamo come reddito di cittadinanza,
viene spesso evocata, con particolare urgenza, come rimedio per fronteggiare gli effetti di una probabile
imminente fase di cambiamento tecnologico con conseguente rischio di disoccupazione di massa. In
questa nota si vogliono mettere in evidenza alcuni gravi limiti che un’ipotesi di intervento di questo tipo
assume entro lo scenario indicato.
Secondo diversi economisti e osservatori sarebbe ormai prossima una nuova “rivoluzione industriale”,
caratterizzata da forti aumenti di produttività e ampi effetti diretti di distruzione di occupazione, con la
conseguente minaccia di una nuova ondata di disoccupazione tecnologica che non riguarderebbe più
soltanto i lavoratori meno istruiti e qualificati ma, in misura crescente, anche quelli con elevati livelli di
istruzione (ad esempio, Brynjolfsson e McAfee, The Second Machine Age; Frey e Osborne, The future of
employment: How susceptible are jobs to computerisation?). Oltre alla distruzione di posti di lavoro le
nuove tecnologie potrebbero implicare anche accentuate polarizzazioni nella distribuzione di potere e
opportunità. Si tratta di uno scenario non facilmente prevedibile né rispetto ai tempi in cui dovrebbe
manifestarsi né rispetto alle sue effettive caratteristiche, ma che va certamente preso sul serio. Uno
scenario ipotetico, quindi, ma tutt’altro che irrealistico. In tale scenario di “rivoluzione industriale”,
secondo alcuni il reddito di cittadinanza rappresenta non solo una politica necessaria ma anche quella
preferibile.
In tale contesto la proposta di un intervento potenzialmente esteso a una quota di popolazione molto
ampia dovrebbe costituire non solo il modo per fronteggiare gli effetti della disoccupazione ma anche il
pilastro per mantenere la coesione sociale. Si tratta di un’opzione che, anche in base ai risultati delle
ultime elezioni politiche, sembra incontrare un favore crescente. Anzi, secondo alcuni sarebbe lo
strumento attraverso cui, a fronte di una nuova “rivoluzione industriale”, diventerebbe finalmente
possibile passare a una situazione in cui una larga parte della popolazione sarebbe liberata dall’obbligo
del lavoro. Non solo rivoluzione tecnologica, quindi, ma anche, grazie al reddito di cittadinanza,
“rivoluzione sociale”.
Certamente il favore oggi riscosso dalla proposta di reddito di cittadinanza deriva solo in parte dai timori
per gli effetti della tecnologia. Esso è visto come un rimedio al disagio creato da lunghi anni di crisi e non
ancora riassorbito e, soprattutto al sud, dalla cronica mancanza di lavoro.
Come detto, qui si vogliono evidenziare alcuni aspetti che fanno fortemente dubitare che un intervento del
tipo del reddito di cittadinanza possa essere davvero quello preferibile.
Non ci si riferisce alla principale obiezione che di solito viene avanzata, quella relativa al suo
finanziamento. Nell’ipotetico scenario di “rivoluzione industriale” si potrebbe anche assumere che
l’aumento di produttività sia sufficiente ad assicurare le risorse necessarie. Anche questa è solo
un’assunzione, non necessariamente realistica, ma utile comunque a sgombrare il campo dai problemi di
vincolo di finanza pubblica, non per disconoscerne l’importanza ma allo scopo di approfondire gli altri
aspetti su cui si vuole portare l’attenzione.
In particolare, ci chiediamo: il reddito di cittadinanza sarebbe un buon sostituto dell’occupazione (e delle
politiche per l’occupazione)? E sarebbe una scelta obbligata o vi sarebbero alternative? La risposta a
queste domande fa emergere due principali perplessità.
La prima riguarda gli effetti sul benessere delle persone che hanno perso o non trovano lavoro. La
maggiore disponibilità di reddito consentirebbe il sostegno dei consumi e, per questa via, una riduzione
del disagio economico. Tuttavia, non è affatto certo che essa possa davvero compensare la mancanza di
lavoro.
Ovviamente ciò dipende dal significato che si attribuisce al lavoro: se si ritiene che esso rappresenta
un’attività meramente strumentale al consumo, e di per sé sgradevole (così come assunto nella teoria
standard dell’offerta di lavoro), allora il sostegno dei consumi è un buon sostituto del lavoro. Se invece si

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rivoluzione-industriale/