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Infolampo: Donne – Guerra

Cgil, da Roma l’orgoglio e la forza delle donne
Camusso: “Dobbiamo fare rete per difendere le conquiste e compiere passi avanti”. Si è chiusa
l’assemblea al Teatro Studio 10 di Cinecittà, organizzata dalle categorie a guida femminile: Filcams,
Flai, Fiom e Fp. Le voci di lavoratrici e delegate
“Settant’anni di impegno e di lotte. Diritti, contrattazione, rappresentanza”. Si è chiuso l’appuntamento di
oggi (13 aprile) presso il Teatro Studio 10 di Cinecittà, a Roma, per l’Assemblea nazionale delle donne
organizzata da quattro categorie della Cgil: Filcams, Flai, Fiom e
Fp. I sindacati hanno discusso dell’applicazione dell’articolo 37
della Costituzione che recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi
diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore”. L’iniziativa rientra nell’ambito delle celebrazioni per
l’anniversario della Carta. Non è tuttavia legata soltanto al
passato, ma – spiega la Cgil – è organizzata per guardare al
futuro, quindi alle conquiste da ottenere nei prossimi anni.
La giornata si è sviluppata attorno agli interventi di una dozzina
di delegate che saranno intervallati dalle quattro donne alla guida
di una categoria nazionale della Cgil: Maria Grazia Gabrielli
(Filcams), Francesca Re David (Fiom), Ivana Galli (Flai), Serena
Sorrentino (Fp).
È questa la seconda edizione dell’Assemblea delle donne Cgil.
La prima si svolse l’anno scorso e raccolse circa duemila
lavoratrici, delegate e funzionarie per far emergere la condizione e il vissuto delle donne nel loro
quotidiano impegno a sostegno dei diritti e del lavoro. Alle tre categorie della prima edizione (Fp, Flai e
Filcams) si aggiunge quest’anno la Fiom dopo il passaggio di consegne da Maurizio Landini a Francesca
Re David.
Camusso: qui c’è l’orgoglio e la forza delle donne
“In questa sala c’è grande orgoglio e forza, c’è una straordinaria volontà di reagire”. Così il segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso, ha concluso l’assemblea. “Siamo donne per la pace – ha detto -,
bisogna tornare ad avere una voce mentre intorno a noi, in Siria, soffiano venti di guerra incomprensibili.
Le donne siriano devono sopportare grandi sofferenze per tenere insieme le loro vite quando il Paese
viene sconvolto dal conflitto. Ricominciamo a dire che ripudiamo le guerre”. Sul ruolo delle donne, ha
proseguito, “sono molti i compiti che abbiamo. Tante donne della funzione pubblica e della scuola oggi
sono impegnate nella campagna elettorale Rsu, ma non ci sono solo loro, ognuna di noi conosce
lavoratrici e lavoratori pubblici. Ognuna deve dire loro che votare è un diritto e dovere, diritto di
contrattare e dovere di essere rappresentati e far sentire la propria voce. La rappresentanza è stata molto
complessa da conquistare, noi l’abbiamo fatto e ora facciamola vivere”. L’altro tema, per il segretario, è
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Lavori in casa. Ancora un
anno di maxi sconti

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Verso una prosperità armata? Riflessioni sull’economia
della guerra
Poche settimane fa centinaia di migliaia di dimostranti hanno marciato nelle strade di oltre 800 diverse
località negli Stati Uniti e in ben 37 paesi nel mondo per protestare contro la vendita libera di armi.
Scritto da: Elisabetta Magnani
Questi giovani, spesso loro stessi sopravvissuti a massacri perpetrati in scuole e luoghi pubblici negli
ultimi anni, propongono interventi di assoluto buon senso. Tra di essi vi sono: l’abolizione della vendita
di armi semi-automatiche (quelle per lo più usate per scopi militari) e degli accessori che trasformano
armi non semi-automatiche in armi in grado di sparare ad alta velocità; l’introduzione di una banca dati
sulle vendite e gli acquirenti di tali armi; l’innalzamento dell’età minima per l’acquisto di armi da 18 a 21
anni. L’interlocutore recalcitrante di queste proposte è il Presidente Trump, che dichiara di essere
schierato a favore della libertà ma che è anche un difensore accanito dell’industria che vende armi e
servizi militari. La marcia contro l’uso privato delle armi fornisce lo spunto per tracciare un quadro
generale dell’importanza e del ruolo di questa industria a livello mondiale nonché del contributo che alla
sua prosperità dà, appunto, l’uso civile delle armi.
Il nostro punto di partenza è la spesa militare che, però, non è facile da definire. La principale
complicazione è rappresentata proprio dal fatto che il confine tra uso militare e uso civile delle armi è da
tempo meno netto, come ben evidenzia la serie di massacri perpetrati da civili contro civili – e ciò avviene
per lo più negli Stati Uniti, dove appunto il diritto all’ autodifesa è sancito dalla Costituzione. Secondo la
definizione manualistica, la spesa militare è diversa a seconda che si adotti un criterio d’origine
istituzionale oppure un criterio funzionale. Importante è anche chiarire se la spesa includa i costi indiretti
e intangibili (ad esempio quelli inerenti alla conoscenza
scientifica collegata alla produzione di “beni” militari). A causa
di queste difficoltà, per confrontare le spese militari a livello
internazionale occorre prima standardizzare i dati nazionali; e lo
Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) fa
proprio questo. La sua banca dati sulla spesa militare è un
riferimento indispensabile per queste analisi.
Secondo il SIPRI, la vendita di armi e servizi militari da parte
delle imprese leader in questo settore a livello globale (il gruppo
delle top 100 nella classifica SIPRI) ha raggiunto i 375 miliardi di dollari nel 2016, con una crescita di
quasi il 2 percento rispetto all’anno precedente e del 38 percento rispetto al 2002. Le imprese americane –
tra le quali vi è la Lockheed Martin, nata nel 1995 dalla fusione di due giganti del settore aerospaziale e
del settore della tecnologia avanzata per la difesa, che oggi conta ben 97000 dipendenti – dominano
all’interno del gruppo delle top 100 con più di 217 miliardi di dollari di ricavi nel 2016 – in crescita del
4% rispetto al 2015. Buona parte di questi ricavi delle imprese USA derivano dalle esportazioni: secondo
il SIPRI, nel periodo 2013-2017 esse ammontavano al 34 percento del totale, con un incremento del 25
percento rispetto al periodo 2008-2012. I paesi destinatari di queste esportazioni sono molti, ben 98, ma il
49 percento dell’export USA è diretto al Medio Oriente. In realtà, verso quest’area instabile del mondo si
indirizzano in modo crescente le esportazioni di armi di molti paesi; ad esempio, quelle tedesche sono
aumentate del 109 percento tra i due periodi indicati in precedenza. E’ anche da notare che in Asia le armi
importate si aggiungono a quelle prodotte localmente che, come mostra chiaramente la Fig. 1, sono in
crescita costante dalla metà degli anni Settanta.
Non è una novità che il capitalismo vada incontro a problemi di carenza di domanda aggregata ed abbia
bisogno della creazione di nuovi mercati. La spesa militare potrebbe rappresentare una via d’uscita da
questi problemi, che sono persistenti da molti anni, e che talvolta si accompagnano all’esigenza di
riconvertire economie insostenibili da un punto di vista ambientale. E’ questo il caso australiano dove la
fine del boom del settore minerario è stato dettata non da logiche o politiche ambientali nazionali ma
piuttosto dagli sforzi (esterni all’Australia) di riconversione energetica che la Cina sta adottando sotto la
leadership di Xi Jinping. La transizione ad un’economia senza carbone si sta rivelando un vero rompicapo
per il governo conservatore australiano che sembra deciso a fare della spesa militare il motore della

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guerra/