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Infolampo: Bonus – Robot

Il bonus bebè è per tutte
L’Inps costretta a sbloccare la procedura per il riconoscimento del “premio nascite”. L’Inca invita tutte
le donne immigrate cui sono state respinte le domande o non hanno potuto presentarla a rivolgersi agli
uffici del patronato per avviare il riesame
di Alice Frei
Finalmente il premio alla nascita di 800 euro “una tantum”, riconosciuto alle gestanti a partire dal 7° mese
di gravidanza, può essere richiesto anche dalle donne immigrate con titoli di soggiorno di diversa natura.
A distanza di due mesi dalla condanna per condotta discriminatoria (15 dicembre scorso), l’Inps in
ottemperanza dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano
ha diramato il messaggio (n. 661 del 13 febbraio) nel quale
avverte che la procedura telematica per l’inoltro delle istanze
è stata implementata e che potranno essere riesaminate (su
richiesta dell’interessato) le domande precedentemente
respinte sulla base di una interpretazione restrittiva che
limitava l’accesso solo a coloro che avessero il permesso di
soggiorno di lungo periodo. “C’è voluto tanto tempo, ma alla
fine l’Inps è stata costretta a cedere” commenta Morena
Piccinini, presidente di Inca: “Si tratta di un risultato
importante, frutto delle pressioni che abbiamo esercitato sin
dall’inizio affinché si cancellasse questa limitazione, che
danneggiava donne straniere regolarmente presenti nel nostro
paese, che lavorano e pagano le tasse allo Stato italiano”.
Ma la battaglia contro le discriminazioni non è finita. Se per il
premio alla nascita il possesso della carta di soggiorno di lungo periodo è stato cancellato tra i requisiti
richiesti, altrettanto non è stato fatto per le altre prestazioni quali sono il bonus bebé, il bonus asili nido,
assegni dei Comuni e dello Stato, nonostante le numerose sentenze di condanna emesse da tanti tribunali
italiani e dalla Corte di Giustizia europea. A tutt’oggi, infatti, le norme di legge limitano il diritto alle
misure di sostegno alla maternità ai soli titolari di Carta di soggiorno per lungosoggiornanti. Più volte
l’Inca ha sollecitato il Ministero del lavoro, ma senza avere alcuna risposta in tal senso. “Per questa
ragione andremo avanti con i ricorsi legali – avverte Piccinini – convinti che la cancellazione di ogni
forma di discriminazione sia la condizione per sviluppare una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione;
presupposto indispensabile anche per fermare le ondate xenofobe che stanno avvelenando la convivenza
civile nel nostro paese”.
Incassato il risultato, l’Inca invita, quindi, tutte le donne straniere che si sono viste respingere le domande
o che non hanno potuto presentarla a rivolgersi agli uffici di patronato territoriali ricordando che anche
per ottenere il riesame occorre avviare un’apposita istanza.
Leggi tutto: http://www.radioarticolo1.it/articoli/2018/02/20/8255/il-bonus-bebe-e-per-tutte
Pensioni di reversibilità.
Attenzione alle fake news!

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I robot possono diventare nostri colleghi di lavoro
Non vale neanche la pena chiedersi se i computer stanno facendo perdere posti di lavoro alle persone.
Certo che sì, e l’attuale ondata di rivolte politiche populiste nei paesi occidentali è una versione del
luddismo aggiornata alle democrazie industrializzate. La vera domanda da farsi è: che tipo di posti di
lavoro vengono distrutti? Il paradosso di Moravec aveva previsto la risposta quasi trent’anni fa.
di Gwynne Dyer, giornalista
In questo momento sono i posti di lavoro di medio livello che rischiano di sparire. Non le professioni o i
posti di lavoro manageriali di alto livello, che richiedono sofisticate capacità sociali e intellettuali e che
sono remunerate molto bene. E neppure i lavori sottopagati nel settore delle consegne o dei fast-food,
anche se l’automazione finirà per eliminare anche questo tipo d’impieghi.
A ridursi velocemente sono invece i posti di lavoro a medio reddito e non troppo specializzati, che un
tempo davano da vivere a un’ampia e prospera classe media. L’automazione rende più fragili le società
occidentali, come prevedeva il paradosso di Moravec. Spesso chi è disoccupato da poco trova un altro
impiego, ma generalmente nel settore dei servizi a basso reddito. Sono queste persone impoverite della
classe medio-bassa e del segmento più alto di quella lavoratrice a ingrossare le file delle rivoluzioni
populiste.
Sempre più spesso l’intelligenza artificiale scopre da sola quale dovrebbe essere il risultato e come
ottenerlo
Negli anni ottanta Hans Moravec, un pioniere della ricerca sull’intelligenza artificiale, aveva osservato
che “è relativamente facile fare sì che i computer abbiano prestazioni paragonabili a quelle degli adulti
nei test d’intelligenza o giocando a dama, ma è impossibile attribuirgli le capacità percettive e motorie di
un bambino di un anno”.
Il paradosso è che attività come i ragionamenti di alto livello che risultano complicate per gli essere
umani sono facili per i robot dotati d’intelligenza artificiale. Abilità sensoriali e motorie semplici per un
bambino di un anno, invece, sono assolutamente inarrivabili per i computer odierni. La cosa non
dovrebbe sorprendere, in realtà: simili abilità negli esseri umani sono il prodotto di milioni di anni di
evoluzione, e sono quindi perlopiù inconsce per noi.
E quindi i lavori nei quali i robot possono facilmente sostituirci sono quelli manageriali di medio livello e
quelli manuali altamente ripetitivi, ovvero tutti quelli che potrebbe svolgere la classe media. Quel che
rimane è un piccolo gruppo di ricchi (che possiedono i robot), una massa impoverita di persone che
forniscono servizi di ogni tipo o non hanno alcun lavoro, e un livello di risentimento tra queste ultime che
costituisce un eccellente carburante per le rivoluzioni populiste.
Questa visione distopica è molto comune oggi, come evidenziano bene la Brexit nel Regno Unito,
l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, i successi elettorali dei neofascisti (anche se non proprio le
vittorie) nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania. Lo stesso fenomeno ha buone probabilità di svolgere
un ruolo importante nelle elezioni politiche di marzo in Italia.
E presto i robot saranno in grado di svolgere anche tutti gli altri lavori. Moravec e i suoi colleghi
lavoravano con computer di trent’anni fa, macchine in realtà molto semplici e monocorde. L’intelligenza
artificiale di oggi e di domani è installata su computer infinitamente più potenti, e che gli permettono
attività molto diverse, come per esempio l’apprendimento profondo.
Le istruzioni per l’uso, dunque, non vengono più solo dall’alto (cioè dagli esseri umani). Sempre più
spesso l’intelligenza artificiale scopre da sola quale dovrebbe essere il risultato e come ottenerlo, grazie
all’apprendimento profondo, un processo empirico che per una macchina diventa possibile solo
possedendo una capacità di analisi dei numeri infinitamente più grande di quella degli anni ottanta.
Il passo successivo è (tra le altre cose) un’intelligenza artificiale dotata di capacità motorie e sensoriali
pari a quelle degli esseri umani. Non subito, naturalmente, ma verrà il momento.
Quando questo accadrà spariranno anche gli altri posti lavoro, direte, e probabilmente sarà così per molti
di essi. In questo modo anche gli esseri umani non serviranno più a niente, penseranno i più pessimisti, e
forse è vero anche questo. Ma quest’ultimo esito è ancora una scelta, non è inevitabile.
Una nuova evoluzione umana
Un gran numero di specialisti dell’intelligenza artificiale sta lavorando oggi a quella che chiamano
“intelligenza generale forte”, o agi. Piuttosto che insegnare a una macchina a usare una logica simbolica
per rispondere a specifici tipi di domanda, stanno costruendo reti neurali artificiali e moduli

(Traduzione di Federico Ferrone)
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