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Infolampo: reddito – accoglienza

Reddito minimo, per colmare il gap c’è ancora molto da
fare
Le debolezze dei sistemi di protezione ultima nel Sud Europa sono particolarmente accentuate nel caso
dell’Italia, il Paese che per il momento investe meno per contrastare il rischio povertà
di Marcello Natili, Rps
Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n.3-2017 della Rivista delle
Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla
rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista
Se collocati all’interno di un solido edificio di protezione sociale
in grado di includere gran parte della cittadinanza, possono
essere strumenti efficaci a contrastare povertà e crescenti
disuguaglianze che affliggono le società occidentali. E tuttavia,
schemi di reddito minimo non sono presenti in tutti i Paesi
europei, e in alcuni casi scarsa generosità e requisiti d’accesso
particolarmente stringenti limitano fortemente la loro capacità
protettiva.
Sono in particolare i Paesi del Sud Europa ad aver avuto, in
passato, i sistemi di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale
meno efficaci e più lacunosi. Prima della Grande Recessione,
soltanto il Portogallo presentava una rete di sicurezza ultima
comparabile (seppur meno generosa) ad altri Paesi europei. In
Spagna schemi di reddito minimo esistevano, e però
presentavano notevoli limiti in termini di copertura, e di
conseguenza a livello di spesa complessiva. Infine, Italia e
Grecia rimanevano privi di una protezione, considerando la
contemporanea espansione degli schemi di reddito minimo anche nell’Europa dell’Est.
L’avvento della crisi ha reso evidenti l’inadeguatezza del sistema di welfare tradizionale e familistico per
proteggere dai rischi sociali tipici del XXI secolo. In un contesto reso difficile dalle ristrettezze di bilancio
e dalle pressioni internazionali volte al contenimento della spesa pubblica, questo ha contribuito negli
ultimi anni a far sì che la rete di sicurezza ultima venisse rafforzata anche nel Sud Europa.
In particolare in Spagna durante la crisi vi è stata una notevole espansione degli schemi regionali di
reddito minimo in tutte le comunità autonome, seppure rimangono evidenti limiti in termini di differenti
capacità protettiva dei diversi programmi regionali. In Portogallo, dopo una fase caratterizzata da tagli e
riforme sottrattive anche (e persino) in questo settore, gli ultimi interventi del 2017 mirano a ristabilire la
capacità protettiva del Rendimento Social de Inserção.
Quanto alla Grecia, in un contesto reso drammatico dalla crescita della povertà e dalla drastica
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Manifestazione nazionale
a Roma il 24 febbraio

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Il sistema di accoglienza dei migranti in Italia, spiegato
per bene
Se il sistema di accoglienza dei migranti in Italia fosse un ristorante, i suoi primi frequentatori sarebbero
Kafka e Tolkien. È infatti un mondo estremo e metafisico, con una sua cosmogonia, un suo linguaggio,
dei suoi personaggi. Un mondo di epica e burocrazia, dove si affastellano sigle, tumulti, criteri di
ripartizione.
di Fabio Colombo
Un mondo che abbiamo provato a comprendere. Cercando informazioni che non sono mai in unico posto,
leggendo report e circolari, interpellando un esperto impegnato sul campo. Lo abbiamo fatto perché
sollecitati da più spunti che ci sono arrivati. Uno per tutti quello di Giuli, che in un commento a corredo
di un precedente articolo chiedeva con disarmante secchezza:
Qual è la differenza tra i vari centri di accoglienza in Italia CPSA, CDA, CARA, CID, CIE, CPR,
SPRAR?
Ci siamo attrezzati per sconfiggere questo esercito di sigle. Abbiamo fatto chiarezza sul loro significato, e
ve le spiegheremo una ad una, secondo una logica che segue il percorso di un migrante che arriva sulle
coste italiane e poi entra, appunto, nel sistema di accoglienza, con un processo che possiamo rendere
visivamente così:

Il sistema di accoglienza in Italia opera su due livelli: prima
accoglienza, che comprende gli hotspot e i centri di prima accoglienza,
e seconda accoglienza, il cosiddetto SPRAR (Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati).
In teoria, se tutto filasse liscio (l’accoglienza ordinaria, linea piena
nell’infografica), la prima accoglienza dovrebbe servire a garantire ai
migranti primo soccorso, a procedere con la loro identificazione, ad
avviare le procedure per la domanda di asilo. Dovrebbero essere
procedure veloci, per poi assegnare i richiedenti asilo ai progetti
SPRAR, ossia alla seconda accoglienza, fiore all’occhiello del sistema,
un programma che riesce a garantire un processo di integrazione nei
territori a 360 gradi, che va ben oltre il vitto e l’alloggio.
Però non fila tutto liscio. I beneficiari del sistema di accoglienza
(richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e
umanitaria) sono aumentati a dismisura dal 2014, a causa del numero
crescente di arrivi via mare in Italia di persone che fanno domanda di
asilo, entrando quindi nel sistema di accoglienza.
Non solo. Il programma SPRAR per funzionare bene come funziona,
garantendo una reale accoglienza e integrazione nel territorio, ha
bisogno dell’adesione dei comuni, che i comuni diano cioè la loro
disponibilità a gestire un progetto di accoglienza sul proprio territorio.
Moltissimi comuni non lo vogliono fare, nonostante i progetti siano pagati con soldi dello Stato. Non lo
vogliono fare per ragioni politiche. Un po’ perché sono di un altro colore politico rispetto al governo, un
po’ perché non vogliono assumersi la responsabilità di avviare un progetto che porta “i profughi” a
contatto con i propri elettori.
Così, il sistema non può funzionare. Troppe domande, troppi pochi posti. Aumentare i posti, di fronte alle
difficoltà nel rapporto con i comuni, è un processo lento. C’è bisogno di una soluzione rapida, “di
emergenza” (la linea tratteggiata nell’infografica), che viene individuata nei cosiddetti CAS (Centri di
Accoglienza Straordinaria), un ibrido che formalmente rientra nella prima accoglienza a cui si accede
spesso direttamente dai porti di sbarco, ma praticamente dà ormai un’accoglienza di lungo periodo come
accade nella seconda accoglienza.
Vediamo meglio come funzionano nello specifico le diverse componenti del sistema di accoglienza: la
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