News ItaliaUltimissime Notizie

Infolampo: Scuola, universalismo

La buona scuola parte dal contratto
Non si sblocca il rinnovo di istruzione e ricerca. Il nodo riguarda l’individuazione delle materie affidate
alla negoziazione. Sinopoli (Flc) a RadioArticolo1: “Ci dicano i loro sì e i no. Poi decideremo la strada
per riconquistare il ccnl”
Il comparto più consistente del mondo del lavoro pubblico è quello della scuola, dell’istruzione,
dell’università, della ricerca, come il resto del lavoro pubblico in attesa del rinnovo contrattuale da quasi
dieci anni. Ma mentre per le funzioni pubbliche centrali la trattativa si è finalmente conclusa, e il rinnovo
è stato siglato, per quanto riguarda la scuola la trattativa sembra essersi arenata. Il nodo che ha impedito
al negoziato di avviarsi è quello delle relazioni sindacali. Per l’Aran le leggi – a cominciare dalla “Buona
scuola”, la legge 107 -, debbono avere preminenza sul contratto. Per i sindacati questa posizione è
inaccettabile.
“L’incontro di prosecuzione del negoziato per il rinnovo del
contratto istruzione e ricerca all’Aran del 15 gennaio si è
incentrato prevalentemente su tre questioni: le modalità con
cui definire gli incrementi economici, le procedure
disciplinari e le relazioni sindacali. La discussione si è svolta
ancora sugli aspetti di metodo, la cui rilevanza non è di poco
conto soprattutto sulle questioni di carattere normativo”. E’
quanto afferma una nota congiunta dei segretari di Flc Cgil
Francesco Sinopoli, di Cisl Scuola Maddalena Gissi, di Uil
Scuola Rua Giuseppe Turi e di Snals Confsal Elvira Serafini.
Per quanto riguarda gli incrementi retributivi, l’Aran ha
illustrato i criteri con cui si sta elaborando la proposta che
verrà portata al tavolo di trattativa: “Al fine di sostenere i
trattamenti retributivi più bassi rispetto all’obiettivo di
incremento medio fissato nell’accordo di palazzo Vidoni, si
ipotizza l’introduzione di un elemento perequativo sotto forma di una tantum che verrebbe corrisposta dal
mese di marzo e fino al mese di dicembre 2018 in aggiunta all’incremento base, anch’esso decorrente dal
1 marzo. Prevista anche la corresponsione di arretrati relativi agli anni 2016 e 2017 e ai primi due mesi
del 2018”.
“L’indennità di vacanza contrattuale attualmente percepita – spiegano sempre i sindacati illustrando la
proposta dell’Aran – si conserva e verrà conglobata nei nuovi stipendi. Prevista anche la rivalutazione di
tutte le indennità a carattere continuativo attualmente corrisposte (CIA, RPD, indennità DSGA) e delle
altre dotazioni finalizzate all’erogazione di salario accessorio (fondo di istituto)”.
In pratica, puntualizza la Flc in una nota pubblicata sul suo sito, non è stata presentata ai sindacati alcuna
tabella relativa agli incrementi, ma solo il meccanismo di funzionamento degli aumenti retributivi che
Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/la-buona-scuola-parte-dal-contratto

Beni confiscati a Parma. La
battaglia per la legalità continua

Leggi su www.libereta.it

www.eticaeconomia.it
L’universalismo: l’araba fenice dello stato sociale
italiano?
In questo articolo vorrei portare l’attenzione su due aree di intervento sociale in cui la XVII legislatura è
stata particolarmente attiva, le politiche per la famiglia e quelle di sostegno al secondo welfare, ovvero
al variegato mondo delle associazioni, enti non a scopo di lucro e imprese private per il profitto che
erogano prestazioni di welfare in aggiunta a quelle assicurate dal settore pubblico.
di Elena Granaglia
Vorrei sostenere che tali interventi, nel loro complesso, acuiscono un limite storico del nostro stato
sociale: una categorialità che è fonte d’iniquità orizzontali. Per categorialità, intendo, in termini generali,
la scelta di circoscrivere l’accesso a determinate prestazioni a un sotto-gruppo di soggetti identificati sulla
base di variabili diverse dal solo bisogno. Le iniquità orizzontali, invece, riguardano differenze nel
trattamento fra soggetti in condizioni simili di bisogno. Non solo, le categorie scelte neppure coincidono
in molte istanze con chi sta peggio, con la conseguenza ulteriore della creazione di iniquità verticali fra i
più e i meno avvantaggiati.
Incominciamo dalle politiche per la famiglia. Quattro sono gli interventi principali effettuati e ancora in
vigore. Vi è il Bonus Mamma domani, 800 euro erogati in unica soluzione nel periodo compreso fra gli
ultimi mesi della gravidanza e il primo anno di vita del figlio. Vi è il Bonus Asili Nido, di durata
triennale, 1000 euro annui, erogati in undici mensilità, volto a sussidiare l’iscrizione ad asili nido pubblici
o privati (o sostegno a casa per i bambini sotto i tre anni d’età affetti da gravi patologie). Vi è la proroga
del Bonus Infanzia (introdotto in via sperimentale nel 2012) a favore delle madri lavoratrici che rientrano
al lavoro dopo i cinque mesi di congedo obbligatorio. Il bonus ammonta a 600 euro mensili e può essere
speso per pagare l’asilo nido (pubblico o accreditato) o la baby sitter. La durata è sei mesi per le
dipendenti e tre per le lavoratrici autonome. Vi è poi il Bonus Bebè. Mentre gli interventi appena ricordati
non sono basati sulla prova dei mezzi, il Bonus Bebè è accessibile solo alle famiglie con ISEE non
superiore a 25.000 euro e con bimbi in età non superiore a tre anni. Per chi ha un ISEE fino a 7000 euro
l’importo è 160 euro al mese, che scende a 80 euro per chi ha un ISEE compreso fra 7.000 e 25.000.
Tutte queste misure sono circoscritte ai figli sotto i tre anni. Certo, tutti passiamo per i primi tre anni di
vita: dunque, misure apparentemente categoriali potrebbero non esserlo nell’arco di vita. Inoltre, si
potrebbe sostenere un maggiore costo dei figli più piccoli. Se così, dare di più alle famiglie con figli
piccoli non generebbe iniquità orizzontali rispetto al complesso delle famiglie con figli, le prime essendo
in condizioni di maggiore bisogno. Il punto, oltre alla necessità di evidenze empiriche sul maggiore costo
dei figli nei primi anni di vita, concerne lo status quo. Oggi in Italia, chi ha figli in età superiore ai tre
anni, è incapiente o non è lavoratore dipendente non fruisce di alcun aiuto per i figli più grandi, non
potendo accedere né alle detrazioni per carichi familiari (i limiti di reddito per essere a carico sono anche
stati recentemente aumentati, equivalendo a 4000 euro a partire dal 2019), né all’assegno al nucleo (da cui
sono esclusi i lavoratori autonomi). Concentrare le risorse sulle famiglie con figli sotto i tre anni comporta
allora una categorialità che diviene fonte d’iniquità orizzontali. Alcune famiglie traggono un doppio
beneficio fino a tre anni di età dei figli (le misure a favore dei figli piccoli si sommano a quelle esistenti in
generale per i figli) e un beneficio quando i figli superano i tre anni, mentre altre nelle stesse condizioni
familiari hanno rispettivamente uno e nessun beneficio. Il Bonus infanzia discrimina, poi, sulla base dello
status lavorativo della madre. È limitato alle donne che erano già lavoratrici prima di diventare mamma e,
fra le lavoratrici, le dipendenti hanno un trattamento migliore delle autonome. I limitati stanziamenti
implicano poi il rischio di una selezione a favore di chi prima arriva.
Si aggiungono, inoltre, i rischi d’iniquità verticali, nonostante la capacità dei bonus di evitare il problema
dell’incapienza. Un sostegno di 1000 euro per il pagamento delle rette dell’asilo nido aiuta chi ha le
risorse per pagare la parte residuale delle rette. Può, tuttavia, essere del tutto inutile per chi non è in grado
di farlo (sulla stratificazione sociale dei rischi con riferimento agli asili nodo, cfr. ad esempio, Pintelon et
al. 2013 of Social Risks: The Relevance of Class for Social Investment Strategies, in «Journal of
European Social Policy», 23, 1, pp. 52–67).
Passando alle politiche di sostegno al secondo welfare, l’ultima legislatura ha previsto la detassazione
totale delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del settore privato imputabili a guadagni di produttività e
destinate all’acquisto di servizi di welfare anch’essi privati (sanità, asili nido, altri sostegni ai figli,
sostegni alla non auto-sufficienza…). Ne possono fruire i lavoratori con redditi non superiori a 80.000
Leggi tutto: https://www.eticaeconomia.it/luniversalismo-laraba-fenice-dello-stato-sociale-italiano/