Attualità a cura di Maurizio DoniniUltimissime Notizie

Libertà e grande fratello sul web

GrandeFratelloChi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea

sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza. (Benjamin Franklin)

Mai frase appare più attuale di questa pronunciata dal grande Benjamin Franklin, non è passato molto che

l’FBI ha chiesto di avere accesso illimitato ed in tempo reale a risorse come i nostri cassetti digitali tipo

Dropbox e comunicativi come Skype. Dobbiamo chiederci fino a che punto c’è la  necessità di questi

invadenti controlli e fino a che punto siamo disposti a rinunciare ai nostri diritti di privacy in nome di una

sbandierata  quanto non dimostrata sicurezza? Viviamo tutti i giorni la limitazione alla libertà personale

avvenuta dopo l’11 settembre, con la morte per anni (solo in Italia) del wi-fi con hotspot pubblici in base alla

legge Pisapia, estenuanti controlli e divieti in ogni aeroporto a fronte di quali risultati? I nostri archivi

digitali sono l’estensione dei cassetti di casa nostra, accettereste che qualcuno senza che ci sia alcun

sospetto, ma solo in base alla volontà di garantirvi “sicurezza” possa entrare in qualunque momento in casa

vostra a rovistare nei vostri effetti personali alla ricerca di materiale terroristico? Vi pare logico che

qualcuno possa ascoltare le vostre conversazioni come se avesse posto una “cimice” nel vostro salotto?

Certo ci assicurano che tutti i dati sono trattati in maniera perfetta, ma quello che è sicuro è che qualche

grande fratello orwelliano avrebbe accesso alle nostre foto ed ascolterebbe i nostri colloqui

Non per niente l’estate è stata caratterizzata dall’esplosione del caso Hacking Team, la profanazione del

santuario degli “spioni” ha dimostrato, una volta di più se necessario, che nessuno è al sicuro. Un vecchio

detto recita che: “L’unico computer sicuro è quello disconnesso dalla rete, spento e rinchiuso in un bunker

sotterraneo. Ed anche sulla sicurezza di quel computer, non c’è troppo da stare allegri!”. Prism, Datagate,

Wikileaks, tanti nomi con un unico comune denominatore, il controllo dei cittadini. Un paio di

considerazioni sono necessarie per inquadrare lo scenario, la prima è che in realtà, anche se come sempre in

questi casi mancano le conferme ufficiali ed oggettive dei fatti, tutto quanto venuto alla luce era noto

nell’ambiente e basa la sua giustificazione politico-legale nelle pieghe delle leggi seguite all’11 settembre.

Nel mondo in cui viviamo l’unica isola di libertà più o meno reale, è proprio internet, quale governo

nell’attuale scacchiere politico può permettersi di tollerare la libertà di espressione senza che questa venga

moderata dai classici mezzi di informazione che in una maniera o nell’altra fanno comunque capo al

sistema?

Ma se quello che appare alla luce del sole è inquietante, è quello che non si vede, che non affiora, che resta

nascosto sul fondo che deve soprattutto preoccuparci. In un documento della sussidiaria della CIA per gli

investimenti in società informatiche (fra le altre promuove Google Earth) In-Q-Tel, si legge che “La

sorveglianza dei social network acquista per i governi sempre più importanza quando si tratta di tenere

sott’occhio i movimenti politici nascenti”. Ricordiamoci che il database di dati personali di Facebook è il più

grande del mondo ed è appetito da tutti, finchè viene usato per finanziare il social network di Zuckerberg

tramite la pubblicità è un male inevitabile e tollerabile, ma gli usi illeciti che ne potrebbero derivare sono

molteplici. Paranoie direbbe qualcuno? Tuttaltro, membri del board della In-Q-Tel sono, con altra società,

nel CdA del social cui hanno partecipato alla fondazione con la mirabolante cifra di 27 milioni di dollari….

Il terzo membro è Peter Thiel, magnate e filantropo, tedesco di nascita, finanziatore della prima ora di

Facebook ed in seguito fra i fondatori di Paypal e di Spotify. Fra le sue affermazioni ve ne sono un paio

decisamente fuori dalle righe: “che libertà e democrazia non vanno d’accordo”, in aggiunta ha avuto a

dichiarare che lui “promuove con incentivi l’abbandono da parte degli studenti dell’Università giudicando

l’istruzione inutile”. Lo stesso è anche fondatore della Stanford Review, il cui motto è Fiat Lux (“Sia la

luce”) ed è membro di TheVanguard.org, un gruppo di pressione neoconservatore basato su internet.

 

Le proposte di riforma della governance di internet vanno poi tutte in senso di un maggior controllo da parte

dei governi, dal trasferimento delle competenze dall’ente no-profit ICANN a quello formato dai

rappresentanti statali dell’ITU, da limitazioni alla navigazione su base geografica a forme avanzate di

filtering dei contenuti (Russia, Cina e Siria tanto per fare un esempio). L’Unione Europea ha anche avanzato

una proposta per regolamentare la tracciatura degli utenti sul web, la cosiddetta no cookies law, che però è,

ovviamente, fortemente avversate dalle multinazionali a stelle e strisce. Siamo in piena era Big Data, che

tradotto vuol dire raccolta ed aggregazione dei dati provenienti dalla rete, profilazione degli utenti, se

compri un libro di cucina su Amazon ti arriverà d’ora in poi pubblicità mirata sull’argomento, dicono che lo

fanno per agevolarti, ma siamo sicuri che tutti questi dati vengano usati solo per “facilitarci” la vita?

.

Abbiamo visto in passato il famoso Echelon (sostantivo di lingua francese che in italiano si traduce con

scaglione), un sistema di intelligence digitale che raccoglie ed analizza segnali in mano ad un ristretto

gruppo di paesi. Nato durante la guerra fredda negli anni 60, raccoglie una mole impressionante di dati,

proprio questo pare la forza ed i limite del sistema, troppi dati pare abbiano creato un rumore di fondo che

non fa rendere al massimo le potenzialità del sistema. Con Wikileaks è venuto alla luce come, finita

l’emergenza militare, il sistema sia stato usato in campo politico e commerciale, e che la vittima in questo

caso è stata proprio l’Europa, con l’eccezione del Regno Unito che fa parte dell’Ukasa, l’accordo che

gestisce Echelon, ma a farne le spese sono state in primis Francia e Germania. Capiamo come accettare

limitazioni estreme alle nostre libertà come quelle proposte dai nostri governi negli ultimi anni sia

assolutamente inaccettabile e che la libertà sul web e la protezione di privacy e dati siano diritti da

salvaguardare come inalienabili.

MAURIZIO DONINI