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Testimoni di Geova: 10mila anni di reclusione per non uccidere

I numeri di un sondaggio sull’obiezione di coscienza tra cui centinaia
del fermano
Fermo – Sono stati in centinaia delle zone del fermano, tra gli oltre 14.000 obiettori di
coscienza condannati e per quasi 10.000 anni di reclusione. È questo il clamoroso risultato di
un recentissimo sondaggio realizzato fra i Testimoni di Geova italiani, su quanti di loro hanno
pagato il rifiuto alle armi e quanto sia costata loro questa decisione. Si tratta indubbiamente di
un prezzo altissimo per il loro ‘no’ alle armi espresso chiaramente nei decenni passati. Oggi la
giurisprudenza internazionale riconosce l’obiezione di coscienza al servizio militare come uno
dei diritti umani fondamentali ma non è stato sempre così.
I Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare incompatibile con la loro
religione. Secondo uno studio, basato sulle testimonianze di chi ha praticato l’obiezione di
coscienza prima che questa fosse consentita dalla legge, è emerso che, tra i Testimoni di
Geova italiani attualmente in vita, almeno 14.180 hanno dovuto scontare una condanna
per aver rifiutato di prestare servizio militare, tra questi, come dicevamo, giovani
provenienti da tutte le località delle Marche che in totale hanno scontato 579 anni di
prigione.
Ciò avvenne in larga parte tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’90. In totale, i
partecipanti al sondaggio hanno trascorso in carcere 9.732 anni.
I Testimoni di Geova costituirono “la stragrande maggioranza dei giovani incarcerati per essersi
rifiutati di svolgere il servizio militare”, commenta lo storico Sergio Albesano. “Con la loro
massiccia adesione al rifiuto di entrare nelle fila dell’esercito, di fatto crearono un caso politico e
aiutarono a portare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica”.
La posizione assunta dai Testimoni obiettori di coscienza colpì anche l’ex Presidente del
Consiglio Giulio Andreotti, che nel 1983 scrisse: “Negli anni Sessanta, quando ero alla Difesa,
volli rendermi conto del fenomeno, che andava moltiplicandosi, delle obiezioni militari di
coscienza da parte di giovani appartenenti ai Testimoni di Geova. Mi colpì, parlando con loro
uno a uno nel carcere di Forte Boccea, la evidente ispirazione religiosa e l’estraneità da
qualsiasi speculazione politica; non a caso si sottoponevano ad anni di prigione continuando nel
rifiuto di indossare la divisa”.
Il giurista Sergio Lariccia rileva: “Oggi l’obiezione di coscienza è inclusa tra i diritti inalienabili
dell’uomo e, sebbene le sue origini culturali siano anche religiose, ciò che è stato conquistato
ha recato benefici a tutti. Abbiamo un debito di riconoscenza verso coloro che hanno contribuito
con la loro vita anche alle garanzie delle nostre libertà”.
Bruno Segre, avvocato e giornalista, fondatore de “L’Incontro” e difensore di Pietro Pinna,
commenta: “I miei patrocinati furono quasi tutti, tranne qualche obiettore radicale, libero
pensatore, anarchico, cattolico negli ultimi tempi, Testimoni di Geova che io ammiravo per il loro
assoluto rispetto delle idealità pacifiste, per il loro altissimo livello morale”.
Anche il contributo di quegli obiettori spinse dunque le autorità ad approvare, dopo anni di
discussioni e rinvii, una legge che sanciva nel 1998 il pieno riconoscimento giuridico
dell’obiezione di coscienza. Il servizio di leva obbligatorio venne poi sospeso nel 2005.
Referente Reparto Stampa Roberto Guidotti 338 7411902

TESTIMONIANZE DEL FERMANO …
Franco Pistolesi, Fermo (FM)
Sono stato recluso per 12 mesi nel 1977 nel carcere di Gaeta. Ho avuto l’occasione di

conoscere e parlare con Walter Reder, recluso lì in quanto accusato della strage di Marzabotto.
Ricordo che sembrava una persona gioviale, ma non interessato al messaggio biblico che noi
Testimoni di Geova non rinunciavamo a diffondere in carcere ai compagni di cella e alle guardie
militari.
Al di là di questo rammento due situazioni particolari. Una, la buona attitudine e fiducia che le
autorità militari nutrivano verso di noi. Questo permetteva di ottenere un trattamento il più
umano possibile in quel particolare “soggiorno”.
D’altro canto fui vittima spesso dei soprusi di un detenuto appartenete alla “mala” napoletana
che arrivò al punto di dare fuoco alla mia coperta e di scagliarmi del vino in faccia. La mia
reazione conciliante sorprese tutti a partire dal mio stesso provocatore che da quel momento in
poi cessò nei suoi atteggiamenti persecutori. I caporali presenti e gli altri detenuti cominciarono
a mostrare sempre più rispetto nei miei confronti, tanto che venivano spesso a chiedermi
consigli o a porre domande sul messaggio pacifico della Bibbia, che avevano appurato, influiva
realmente sulle nostre azioni.
Quest’esperienza, posso dire ora a distanza di anni, è stata positiva per molti aspetti. Mi ha
permesso, di maturare come uomo da un punto di vista morale, psicologico e specialmente
spirituale, rafforzando la mia determinazione di servire Geova Dio, come sto facendo ancora
oggi.
Gabriele Capriotti, Porto San Giorgio (FM)
Sono stato recluso per 39 mesi a Gaeta, Palermo, Poggio Reale, Forte Boccea, Peschiera del
Garda e Torino dal 1966 al 1969.
Il motivo? Sin da piccolo mio padre mi aveva insegnato l’importanza di amare il prossimo come
indicato nel Vangelo. Non potevo dunque accettare di indossare una divisa militare per
imparare ad usare armi. Non nego alcune volte di aver provato un po’ di paura per ciò che mi
aspettava. Fui rinchiuso in una cella buia su un traghetto per attraversare lo stretto di Messina
con le manette ai polsi. Pensavo: se qualcosa dovesse andare storto, che fine farò?
In un’altra occasione rimasi in una cella di isolamento per tre mesi. La cella era grande solo
2,50 x 2,50 mq. Avevo solo un’ora di aria al giorno.
A Poggio Reale invece fui legato con delle manette ad una lunga catena insieme ad altri sette
detenuti. Uno di loro era lì per aver ucciso diversi suoi parenti. Mi diceva spesso, tra il serio e il
faceto, che entrambi avevamo fatto qualcosa di grave: lui commesso omicidi e io…niente…
In ogni caso lo studio della Bibbia e la preghiera mi permisero di non abbattermi
eccessivamente. Anzi, impiegai il tempo per dipingere e disegnare, una mia passione da
sempre, e per insegnare la Parola di Dio ai miei compagni di cella. A volte erano loro a
chiedermi di raccontare episodi delle Sacre Scritture più volte. Era impressionante per me
vedere persone che si erano macchiate di gravi reati ascoltare attentamente come bambini le
narrazioni della Bibbia.
Ripensando adesso a quel periodo, ora che sono passati 50 anni, posso dire di aver fatto la
scelta giusta anche se mi è costato dei sacrifici, nel momento più bello della vita di un giovane.
Samuele Bonifazi, Monte Urano (FM)
Sono stato recluso otto mesi a Forte Boccea e a Gaeta, nel 1986. Eppure il momento per me
più duro è stato nei giorni in cui ero detenuto nel Carcere Civile di La Spezia per il processo;
questo a motivo delle difficili condizione igieniche e per il genere di detenuti reclusi.
Poi per quanto riguarda la mia detenzione a Gaeta non posso lamentarmi eccessivamente. In
uno spirito di collaborazione con le autorità del Carcere, svolgevamo diversi lavori utili all’interno
dello stesso reclusorio. Per un periodo mi fu addirittura affidata la custodia di una cassaforte
con dei beni preziosi. Eravamo felici di questo implicito riconoscimento morale che le autorità
concedevano a noi testimoni. Questa particolare sinergia permise anche l’organizzazione
interna delle nostre riunioni nonché di una rappresentazione biblica in costume che fu
apprezzata da tutto il personale militare presente, incluse le più alte gerarchie.
Tutto sommato,se da una parte ho rifiutato di addestrarmi militarmente, non ho rinunciato a
sfruttare bene il tempo a disposizione in quel frangente per crescere da un punto di vista
culturale e caratteriale.