Attualità a cura di Maurizio Donini

Pandemie, presunti complotti e scenari economici reali

“La storia ci insegna che l’umanità evolve significativamente soltanto quando ha realmente
paura: allora essa inizialmente sviluppa meccanismi di difesa; a volte intollerabili (dei capri espiatori e dei
totalitarismi); a volte inutili (della distrazione); a volte efficaci (delle terapeutiche, che allontanano se
necessario tutti i principi morali precedenti). Poi, una volta passata la crisi, trasforma questi meccanismi per
renderli compatibili con la libertà individuale ed iscriverli in una politica di salute democratica. La pandemia
che sta iniziando potrebbe far scatenare una di queste paure strutturanti, meglio di qualsiasi discorso
umanitario o ecologico, la presa di coscienza della necessità di un altruismo, quanto meno interessato. E,
anche se, come bisogna ovviamente sperare, questa crisi non sarà molto grave, non bisogna dimenticare,
come per la crisi economica, di impararne la lezione, affinché prima della prossima crisi – inevitabile – si
mettano in atto meccanismi di prevenzione e di controllo, come anche processi logistici di un’equa
distribuzione di medicine e di vaccini. Si dovrà per questo, organizzare: una polizia mondiale, un sistema
mondiale di stoccaggio (delle risorse) e quindi una fiscalità mondiale. Si arriverebbe allora, molto più
rapidamente di quanto avrebbe permesso la sola ragione economica, a mettere le basi di un vero governo
mondiale. È del resto con la creazione dell’ospedale che è cominciata in Francia, al XVII secolo, la
realizzazione di un vero e proprio Stato”. Queste parole sono del famoso economista e saggista francese
Jacques Attali, e furono rilasciate in una intervista del 2009, profetiche a dir poco.
Ora sgombriamo il campo da dubbi complottistici, il virus esiste, magari in vaste zone del mondo, come già
altre pandemie del passato, sta sparendo e probabilmente non tornerà, come già la SARS, anche se
essendo una forma nuova nulla è scontato. Ribadiamo anche che a parte quel balzano di Trump e la genìa
dei terrapiattisti non penso sia stato prodotto e diffuso per gli scopi descritti da Attali. A parte la
disumanità di creare un’arma come questa e diffonderla, anche a livello di intelligenza si dimostrerebbe
poca perspicacia nel mettere al mondo qualcosa che non si è in grado di controllare. Certo che come in
alcuni films apocalittici si potrebbe pensare a un complotto globabale in cui gli ideatori hanno già da parte
l’antidoto necessario, ma qui entriamo nella bolla di Hollywood. Molto più prosaicamente una pandemia
come questa comporta una serie di rischi su cui è bene riflettere e le cui limitazioni introdotte rispetto le
libertà personali sono da tenere ben presente, temperare con accortezza e limitare nel tempo nei poteri
conferiti alle autorità preposte con paletti inamovibili.
Oltre gli effetti sanitari, che nel caso del Covid-19 si prospettano molto meno incidenti rispetto le decine e
decine di milioni di morti provocati dalle pandemie passate come la peste nera e la spagnola, ma
economicamente un virus molto contagioso e poco letale è quanto di peggio si possa avere. Esistono tre
pandemie riconosciute dall’OMS: l’influenza spagnola del 1918-19, l’influenza asiatica del 1957 e l’influenza
di Hong Kong del 1968-69. Si stima che il tasso di attacco di tutte e tre le pandemie fosse compreso tra il 25
e il 35 per cento, mentre il tasso di letalità era compreso tra il 2 e il 3 per cento per la spagnola e inferiore
allo 0,2 per cento negli altri due casi (OMS, 2009). L’effetto economico di una crisi da pandemia è
altamente incidente nel primo anno, decade nel secondo e rientra completamente nel terzo. Nel breve
periodo, un virus molto contagioso ma poco letale è più dannoso per l’economia di un virus molto letale
ma poco contagioso, poiché è in grado di generare shock più forti sia nei consumatori sia nelle imprese.
L’effetto sul commercio internazionale è più forte di quello sul Pil, per cui il danno economico è maggiore
per i paesi che più dipendono dagli scambi internazionali e colpisce in particolare i paesi emergenti che
hanno maggiori difficoltà a contenere la diffusione del virus a causa delle sacche di estrema povertà e di un
sistema sanitario inefficiente, ma anche perché i capitali tendono a spostarsi verso i paesi avanzati,
considerati più sicuri dagli investitori.
MAURIZIO DONINI