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La crisi economica e il segreto delle aziende vincenti: il caso Loccioni

C’è un virus più virulento della stessa pandemia. Si chiama pressione
commerciale, allo scopo di ottenere e massimizzare il profitto nel breve
periodo. E questa logica di bussiness non si cura con le stesse armi. Non
sono solo i responsabili ai vertici aziendali, ma gli stessi agguerriti direttori
di Banche e Poste che pur di vedersi riconosciuti premi vogliono essere in
assoluto il primo ufficio della filiale, mettendo all’inizio e a fine turno, sul
piede di guerra gli stessi collaboratori, disseminando un clima di attacchi
personali e discordie interne, che diventano terreno fertile per la
competizione malsana, utilizzando la ben nota tecnica politica romana del
“divide et impera”. Una comunicazione con questi contenuti che stile
relazionale può produrre? In fondo la guerra non è mai finita. Le
dinamiche cambiano, ma i problemi strutturali restano. Comportamenti
ritorsivi e sleali, pratiche tacitamente tollerate, non giuridicamente accolte
o di difficile dimostrazione. Oltre alla lotta sindacale, si dovrebbe praticare
un nuovo modo di lavorare all’interno dell’azienda, che facendo leva sul
clima e sulla qualità delle relazioni tra colleghi, porti grandi risultati in
termini di numeri come conseguenza e non il contrario. È quanto capita
nell’azienda di Enrico Loccioni, l’azienda leader vallesina delle Marche,
che con i suoi 350 dipendenti, si è imposta nel mercato mondiale,
puntando l’attenzione alla persona per farne un valore aggiunto in termini
di performance e risultati raggiunti, grazie ai giovani con gli occhi grandi e
pieni di passione. Questo gruppo negli ultimi vent’anni, proprio nel
periodo della precedente crisi del 2008 ha raddoppiato il proprio fatturato,
passando da 24 milioni a 64 milioni nel 2012, con un più 166 % e ha
previsione di arrivare ancora più in alto. Il suo segreto è stato quello di
occuparsi molto più delle persone, molto più del clima, della relazione,
molto più della comunicazione interna all’azienda, della crescita
dell’individuo che dei numeri. È chiaro che i numeri sono una
conseguenza di azioni, che fanno sì che le persone interne all’azienda, si
sentano parte di un progetto, di un sogno. “Oggi abbiamo molto bisogno

di avere sogni condivisi all’interno delle azienda- spiega Cristina Nardone
della Scuola di “Terapia Strategica Breve” di Arezzo, scuola nata grazie a
suo fratello Giorgio Nardone- dove gran parte dei titolari e manager che si
occupano di risorse umane scelgono la strada dei tagli e non la strada della
crescita e questo tagliare mette poi le aziende in ginocchio, perchè se io
devo produrre, che questo sia un servizio o un materiale, se io non ho più
risorse da impiegare a fare questo, capisce bene che l’azienda si ridurrà a
zero”. L’arte di fare impresa vincente, in questo momento storico di
particolare crisi, è quell’arte di avere imprenditori, che abbiamo ben chiaro
che qualsiasi azienda per avere un anelito vitale che la sostiene e la
sospinge in una situazione in cui i venti, come ora, non sono a nostra
favore deve soprattutto far sentire le persone parte integrante nei progetti
di sviluppo e nelle problematiche. “Si parla tanto di responsabilità e di
allineamento. Se non si comunica in maniera efficace ed altrettanto
efficiente -continua Cristina- non si possono pretendere questi aspetti,
imprescindibili dal saper trasmettere e comunicare, in modo altrettanto
chiaro ed efficace. Oggi si dovrebbe puntare sulla formazione in termini di
pragmatica della comunicazione, ovvero di quella comunicazione che
studia gli effetti che ogni cosa che dico crea e produce nel contesto e
nell’individuo”. Non quindi la comunicazione di massa, come soft skills,
ma quella pragmatica della comunicazione che deve saper raggiungere
l’obiettivo nel momento in cui comunico qualcosa a qualcuno, per saper
persuadere le persone. Il rischio delle aziende che si basano soltanto sui
valori matematici e statistici resta molto incerto. Cristina Nardone –
riprendendo un aneddoto, ancora molto attuale, trascritto nell’introduzione
del suo libro “i segreti delle aziende vincenti”, ci riporta un fatto accaduto,
a dir poco sconcertante, durante la scorsa crisi economica del 2007. La
regina Elisabetta chiese agli esponenti più prestigiosi della British
Academy, di spiegare come mai con tutti i numeri, le previsioni e le
statistiche a disposizioni, non si era prevista una crisi di tale portata. La
risposta allora come oggi risiede nel fatto che la generazione degli
economisti pensa di essere ingegnere dell’economia; gli economisti hanno
carenze culturali, filosofiche, storiche e psicologiche, che risiedono

principalmente nelle carenze acquisite durante gli anni dell’università.
Gran parte degli imprenditori, manager che sono ai vertici delle aziende,
hanno una formazione che riguarda solo il mondo dell’economia e dei
numeri. Nessun avvertimento è stato sufficiente a farci capire che il
sistema che abbiamo costruito non regge più. Domandiamoci anche
stavolta con tutte le statistiche a disposizioni perché quest’ultima crisi
economica non è stata prevista. Il modello tecnologico che si è imposto
sulla scena globale, divide l’uomo dalla realtà e la crisi è una crisi prima di
tutto sociale, ambientale e poi economica. Forse è arrivato il momento di
cambiare.
Paola Pieroni