Attualità a cura di Maurizio Donini

Corridoi umanitari per i migranti

Quando si parla di migrazioni uno dei termini più ricorrenti è quello che riguarda i ‘Corridoi
umanitari’, oggetto misterioso che spesso è stato preso in prestito anche dal premier Conte, in
particolare nel suo primo governo. Nati nel dicembre 2015 da un protocollo firmato tra la
comunità di Sant’Egidio con le Chiese protestanti da una parte e i Ministeri degli interni e degli
esteri dall’altra, avevano lo scopo di fare arrivare in Italia 1000 cittadini siriani bloccati nei campi
per rifugiati in Libano. Il protocollo prevedeva l’individuazione dei soggetti in possesso dei
requisiti, cui sarebbero stati rilasciati visti temporanei umanitari per il paese accogliente. Si tratta
quindi di un modo per superare l’impasse generato dalla chiusura delle frontiere e dagli ostacoli
posti in essere riguardo l’accesso legale dei migranti allo status di rifugiati.
Malgrado i 2.669 arrivi in Europa tramite questa procedura, il fatto che i corridoi umanitari siano
limitati ai campi profughi in Libia, non risolve il problema dei morti durante il viaggio di
trasferimento verso nord. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) calcola che i
morti nel deserto siano il doppio rispetto quelli periti durante la traversata del Mediterraneo. In
questo deve essere intesa la richiesta fatta a dicembre 2018 dal Parlamento europeo alla
Commissione, di usare il mezzo dei Corridoi Umanitari per la partenza diretta dai paesi della fascia
sub-sahariana. Nel biennio 2015-2016, i flussi dal Mali sono duplicati, quelli dal Gambia triplicati e
sono stati quasi 20 mila gli arrivi dalla Nigeria.
Ma sul fronte dei rimpatri, terreno tanto caro alla Lega e anche a parte del M5S durante il breve
interregno giallo-verde? I numeri dicono che i rimpatri verso l’Africa sub-sahariana negli ultimi
dieci anni appare più o meno costante, fra le 300 e le 600 unità, mentre molto più variabile è il
numero di ordini di espulsione emessi. Irrisoria la percentuale dei rimpatri forzosi rispetto il totale
degli ordini di espulsione, tra il 4% ed il 12%. La soluzione dell’espulsione forzata è di complicata
attuazione per via dei costi diretti (in media, almeno 5800 € per rimpatrio) e delle difficoltà legali
legate alla mancanza di accordi con i paesi Sub-Sahariani di destinazione dei rimpatriati (unica
eccezione, la Nigeria). Visto il fallimento dei rimpatri forzati il sistema dei Corridoi Umanitari si
propone come la migliore panacea, individuare in via preventiva gli aventi diritto evita di fare
entrare in Europa migranti che poi non conseguono lo status di rifugiato e quindi rientrano nel
sistema dei rimpatri che, come abbiamo visto, non funziona.
Sul tema non dimentichiamo gli strumenti finanziari messi a disposizione dalla UE, a cominciare dal
Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF) 2014-2020, del valore di €4.4 miliardi, che
promuove l’efficiente gestione dei flussi migratori e l’attuazione. Il Fondo di sicurezza interna (ISF)
che per il periodo 2014-2020 prevede uno stanziamento di circa €2,8 miliardi e garantisce che gli
Stati dell’UE dispongano di un adeguato sostegno finanziario. A questi €7.2 miliardi iniziali si sono
poi aggiunti oltre €1.1 miliardi in fondi emergenziali mobiliati proprio per rispondere alla pressione
migratoria nei diversi paesi Membri. Vi sono poi Fondi dedicati all’esterno della UE come quello
per i rifugiati in Turchia (FRIT) per il periodo 2016-2019 ammonta a €6 miliardi. Quello per
supportare la crisi siriana forte di €1,6 miliardi, per nuovi progetti per rifugiati e comunità locali in
Giordania, Libano, Iraq e Turchia. Per l’Africa sono invece stati mobilitati oltre €4 miliardi
attraverso il Fondo Fiduciario di Emergenza costituito a seguito del vertice de La Valletta del
Novembre 2015.