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Infolampo: Donne – Cittadinanza

Donne e lavoro: gli Stati generali della Cgil di La Spezia
Venerdì 29 e sabato 30 marzo la due giorni di incontri e dibattiti, un’occasione per fare il punto sulla
condizione femminile. La segretaria Lara Ghiglione: “Serve un’idea di quartiere, di città, di Paese a
misura di donna. Dobbiamo pensarci insieme”
Si terrà all’ex opificio della Vaccari, a Santo Stefano Magra, in provincia della Spezia, venerdì 29 e sabato
30 marzo, la due giorni di incontri e dibattiti “Donne al lavoro-Gli Stati generali”, un’iniziativa della
Camera del lavoro della Spezia. Un’occasione per fare il
punto sulla condizione delle donne, nel territorio ed a
livello nazionale, e di elaborazione di progetti per il
futuro.
“Esiste una condizione femminile contemporanea ancora
inadeguata e di un percorso di emancipazione ancora
incompiuto – dice Lara Ghiglione, segretaria generale
della Camera del lavoro della Spezia – Le donne
ottengono ottimi risultati negli studi, ai quali non
corrispondono altrettanti successi professionali. Nelle
progressioni di carriera è penalizzante ancora oggi la
quasi totale responsabilità del lavoro di cura domestico in
capo alle donne, che si manifesta nell’impossibilità di essere sempre disponibili, a spostamenti lavorativi,
a straordinari, a frequentare corsi di formazione. Le donne sono meno occupate e spesso rinunciano
addirittura a cercare lavoro. Sono costrette a part time involontari; a parità di livello e mansioni sono
retribuite meno degli uomini e hanno pensioni più basse. Le donne fanno fatica a curarsi; trovano enormi
difficoltà se decidono di ribellarsi a datori di lavoro molesti e a mettere fine a rapporti violenti. Troppo
spesso e troppe donne rinunciano ai propri sogni e alla propria felicità”.
Temi che saranno affrontati nella due giorni, con il supporto di un parterre di ospiti di tutto rilievo (vedi il
programma) e con un filo diretto con Verona, dove proprio sabato 30 marzo si svolgerà il “congresso
delle famiglie”. “Una caccia alla streghe moderna – lo definisce Ghiglione – che vuole mettere sotto
processo il principio dell’autodeterminazione femminile, l’omosessualità in quanto tale, la possibilità di
decidere come vivere e di scegliere chi amare e come realizzare la propria esistenza”.
Però le donne ci sono. “Ci siamo. Siamo nelle associazioni, che oggi sono presenti numerose in tutti i
territori, ma che troppo spesso dialogano poco e con difficoltà – continua la segretaria della Cgil spezzina
– Siamo nelle istituzioni, nei partiti, nei sindacati. Siamo presenti, non senza difficoltà, anche negli
ambienti protetti. Spesso le regole di accesso e di permanenza nelle organizzazioni politiche, sindacali,
associative non sono a misura di donna. Ci siamo, ma non ci conosciamo tra di noi, non riusciamo ad
essere trasversali e a pensare ad un’idea di quartiere, di città, di di Paese a misura di donna. Dobbiamo
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Famiglia: Cgil parteciperà a
manifestazione 30 marzo a Verona

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Ramy ha vinto la lotteria della cittadinanza
“Se un ragazzino di 13 anni fa un gesto importante, in via eccezionale si può dare un riconoscimento.
Ma l’Italia è già il Paese che dà più cittadinanze di tutta Europa” (Matteo Salvini , 24 marzo). “Sì alla
cittadinanza a Ramy perché è come se fosse mio figlio e ha dimostrato di aver capito i valori di questo
paese, ma il ministro è tenuto a far rispettare le leggi. Per atti di bravura o coraggio le leggi si possono
superare”. (Matteo Salvini, 26 marzo)
“L’ho convinto io”. (Luigi Di Maio, 26 marzo)
di Oreste Pivetta
Fossi il giovane Ramy fuggirei al più presto da questo paese che ha bisogno di eroi per riconoscere la
cittadinanza a chi è nato in questo paese, un paese guidato da un bullo arrogante e furbo di tendenze
fascistoidi e da un bulletto che si mette in coda per guadagnare il suo momento di gloria in una vicenda,
che al di là della conclusione ma persino nella sua conclusione si dimostra penosa, avvilente, offensiva.
Ramy sarà stato un eroe quando ha dato l’allarme, mettendo al riparo gli amici e se stesso dalle tragiche
possibili conseguenze del gesto di un disgraziato autista di bus. Forse ha imparato qualcosa dai tanti
telefilm che ci raccontano episodi analoghi di violenza, di paura, di morte. Forse s’è immaginato di vivere
da protagonista una di quelle avventure e ha pensato bene di viverla con freddezza, da “eroe”. Ma Ramy
si è superato quando tornando su questa terra, alla luce del sole, lontano da qualsiasi minaccia, anzi
protetto e coccolato, ha buttato lì sul tavolo maggiorenne (?) della politica quella banale richiesta: datemi
la cittadinanza italiana, sono nato in Italia, mi sento italiano, parlo italiano, frequento una scuola
italiana… Non immaginava di mettere tanto scompiglio tra ministri e ministeri, di martellare un cuneo
nelle tattiche propagandistiche del leader leghista, di denunciare con tanta evidenza le arretratezze del
quadro legislativo nazionale. Non immaginava neppure di dare fiato alle trombe di guerra degli
opinionisti seriali, che frequentano indifferenti e mistificatori tutte le reti televisive. Mistificatori perché
non si può affermare (come ho sentito nel talk show, condotto dalla immobile Palombelli, affermare dal
campione delle mistificazioni, tale Giordano, mosso evidentemente dalla dichiarazione di Salvini) che
l’Italia vanterebbe il primato nella concessione di cittadinanze, perché ciò che potrebbe essere vero in
termini assoluti non è assolutamente vero in rapporto alla popolazione presente (siamo al nono posto in
Europa), perché la cittadinanza non è un regalo ma è un diritto fissato per legge (legge del 1992), perché
quei numeri e la legge non riguardano Ramy ed altri ragazzi, minori come lui, oltre un milione, perché
secondo la stessa legge un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano, mentre un bambino
nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo
aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”
(guai se i genitori, magari per necessità di lavoro, si assentano per un attimo dal belpaese).
Il paterno Salvini darà dunque la sua benedizione al “cittadino” Ramy, concederà una medaglia al
suddito che ha superato il suo esame, con il plauso dell’invidioso Di Maio e della schiera dei soliti
fantasmi da talk show, ossequiosi davanti a tanto regale generosità, ma lascerà a bocca asciutta migliaia di
altri ragazzi, ai quali non è capitato di vivere un giorno da leoni e neppure di segnare gol in nazionale, ma
che sono nati qui e sono approdati da noi neonati, che parlano la nostra lingua, che vivono normalmente
nelle città e nei paesi italiani, che magari si sono già diplomati. Li vedo tutti i giorni all’ingresso delle
scuole o nel prato dell’asilo sotto casa mia. L’altro giorno, per le giornate del Fai, in Valsesia, è stata una
ragazzina di evidenti origini africane a spiegarmi mirabilmente le caratteristiche di una chiesetta
trecentesca sotto la Parete Calva (in cima s’era rifugiato fra’ Dolcino, l’eretico che predicava la povertà
della chiesa, citato da Umberto Eco nel suo “Il nome della rosa”, appena televisto). Quella ragazzina,
studentessa di un istituto d’arte ne sapeva di più della storia italiana di tanti italianissimi cittadini… Ma
nessuno si sognerà di concederle la cittadinanza.
Alla fine della scorsa legislatura, il partito democratico presentò una legge, quella sullo ius soli (non
stiamo a discutere adesso le forse non esemplari tappe di quella iniziativa e tanto meno i vari modi in cui
si potrebbe declinare per legge questo diritto), che provava a risolvere la questione. Una legge tramontata
nel nulla per tante ragioni e soprattutto per l’opposizione di Forza Italia, della Lega e per l’ignavia dei
cinque stelle (già pregustavano evidentemente l’alleanza futura).
Il Pd ha resuscitato la sua proposta e i noti commentatori l’hanno sbeffeggiato, accusandolo di
strumentalizzare Ramy. Sorrisi ironici e facce sdegnate si sono alternate sui nostri sovranisti teleschermi.
Ma come… questi approfittano dell’eroismo di un ragazzino per riparlarci di jus soli, che vergogna.
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