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Infolampo: Migranti – Federalismo

Migranti della Sea Watch, la Cgil scende in campo
Il sindacato in presidio al porto di Siracusa il 30 gennaio. Presenti delegazioni da tutta la Sicilia.
Massafra: “Affermiamo il principio che le persone vengono prima di ogni altra cosa”. Pagliaro: “Questa
è una terra di accoglienza da millenni”
di Carlo Ruggiero
La Cgil scende in campo. Domani (30 gennaio) il sindacato sarà in presidio al porto di Siracusa per
chiedere lo sbarco immediato dei migranti della Sea Watch, da oltre 10 giorni in attesa davanti alle coste
siciliane. Appuntamento alle 11, a via Stentinello, presso la
Contrada Targia.
Dov’è il presidio
La Cgil regionale, che annuncia la partecipazione con
proprie delegazioni da tutta la Sicilia e la presenza del
segretario confederale nazionale Giuseppe Massafra, parla
di una battaglia che non può che continuare, perché “nel
nostro Paese non si perda il senso dell’umanità e
prevalgano solidarietà e accoglienza, così come è stato per
la nave Diciotti”. Il sindacato poi sottolinea la “grande
generosità che stanno dimostrando in queste ore i cittadini
di Siracusa, il mondo dell’associazionismo e la Cgil
provinciale”.
“Quella di domani è una mobilitazione per affermare il
principio che le persone, gli esseri umani, vengono prima di
ogni altra cosa – dice Massafra a Rassegna –. È un
messaggio esattamente opposto a quello esclusivista e conflittuale che il ministro dell’Interno in
particolare, ma tutto il governo più in generale, sta continuando ad affermare”.
L’esecutivo gialloverde, infatti, secondo il segretario confederale di corso d’Italia, “non solo attraverso la
sua narrazione del Paese, ma anche attraverso politiche sbagliate come il decreto sicurezza”, continua a
ribadire un “binomio infedele tra immigrazione e ordine pubblico”. “Quanto di più lontano” da quello di
cui invece ci sarebbe bisogno, e cioè “affrontare le migrazioni come fenomeno strutturale, che va
governato attraverso processi di integrazione. Gli unici in grado di assicurare diritti e condizioni dignitose
a persone che scappano dalla sofferenza.”
Domani a Siracusa, quindi la Cgil affermerà “ancora una volta il suo impegno nel promuovere una
mobilitazione generale nel Paese”, ma anche per continuare a “contribuire alla costrizione materiale di
una rete diffusa di accoglienza”.
“È un’iniziativa per difendere i più deboli, un tratto che la Cgil porta con sé da sempre, ma che oggi è
forse giusto sottolineare più di prima, perché stiamo assistendo a una deriva oscurantista nella nostra
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Quante incertezze sulla strada del federalismo
differenziato
Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna chiedono più autonomia e più risorse. Ma l’operazione è
complessa, sotto il profilo politico e tecnico. E la Consulta dovrà esprimersi su moltissimi aspetti di
conflitto con i principi fondamentali della Repubblica.
di Floriana Cerniglia e Gianfranco Viesti
Le richieste di Veneto e Lombardia
Il tema dell’ “autonomia regionale differenziata” delle regioni merita certamente una discussione politica
e tecnica ben più ampia di quanto avvenuto finora.
Le richieste di Veneto e Lombardia, maturate negli ultimi anni ai sensi dell’articolo 116 della
Costituzione, sono esplicitamente finalizzate a ottenere, sotto forma di quote di gettito dei tributi erariali
da trattenere sul proprio territorio, risorse pubbliche maggiori rispetto a quelle oggi spese dallo stato a
loro favore. La richiesta di più autonomia e più risorse è dopotutto il cavallo di battaglia identitario della
Lega Nord sin dagli anni Novanta. E un recente contributo di uno di noi ne ripercorre le vicende.
Le risorse sono state il tema dominante della campagna per i referendum consultivi che si sono tenuti in
entrambe le regioni nell’ottobre 2017: era comune l’invito a recarsi al voto per rafforzare politicamente la
richiesta del cosiddetto “residuo fiscale”. L’allora presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni,
aveva indicato l’obiettivo di trattenere in regione 27 miliardi; in Veneto la cifra era stata esplicitata dal
Consiglio regionale nei nove decimi dei tributi riscossi nella regione.

Le richieste hanno trovato un primo seguito nelle pre-intese siglate (con le due regioni e l’Emilia-
Romagna) dal governo Gentiloni il 28 febbraio 2018, quattro giorni prima delle elezioni politiche. Vi è

stato stabilito che le risorse nazionali da trasferire per le nuove competenze siano parametrate, dopo un
primo anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale
regionale; fatto comunque salvo l’attuale livello dei servizi (cioè prevedendo variazioni solo in aumento).
Gettito fiscale e fabbisogni standard
Il gettito fiscale non è mai stato considerato nei complessi calcoli dei fabbisogni standard per i comuni,
finora collegati sempre e solo alle caratteristiche territoriali e agli aspetti socio-demografici della
popolazione. Parametrizzare il fabbisogno al gettito è una novità fondamentale. Per i possibili esiti sulle
relazioni finanziarie tra i livelli di governo, soprattutto in condizioni di finanza pubblica che rendono
difficile aumentarle per alcuni territori senza diminuirle per gli altri. E perché significa stabilire un
principio estremamente rilevante: i diritti di cittadinanza su alcuni servizi essenziali (a cominciare da
istruzione e salute) possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito regionale è
più alto perché maggiore il fabbisogno.
Il percorso attuativo dell’autonomia differenziata prevede che il governo concluda un’intesa con ciascuna
delle regioni: per il 15 febbraio prossimo, stando a recenti dichiarazione del presidente del Consiglio
Conte. L’intesa verrà poi sottoposta alle Camere, che non avranno possibilità di emendarla né di entrare
nel merito dei suoi contenuti ed esprimere indirizzi. Potranno approvarle, con un voto a maggioranza
degli aventi diritto, o respingerle. Se le intese saranno approvate dal Parlamento (è prevedibile entro le
elezioni europee del prossimo maggio), tutto il potere di definizione degli specifici contenuti normativi e
finanziari del trasferimento di competenze e risorse (inclusi i fabbisogni) è demandato a commissioni
paritetiche stato-regione. Parlamento e governo non possono modificare le intese se non con il consenso
delle regioni interessate; né il Parlamento può intervenire sulle decisioni delle commissioni. Non è
possibile un referendum abrogativo delle intese.
E i diritti dei cittadini?
Certamente, al di là del riferimento al gettito fiscale, definire i fabbisogni standard per quantificare i costi
dei servizi pubblici è opportuno. Tuttavia, la definizione di parametri oggettivi di fabbisogno è complessa,
come ha dimostrato negli ultimi anni l’esperienza dei servizi comunali. Non solo tecnicamente, ma perché
richiede un’azione politica importante del governo centrale di mediazione degli interessi delle diverse
comunità coinvolte. L’uso di diversi indicatori tecnici può infatti produrre esiti assai differenti soprattutto
in un Paese come l’Italia, dove l’eterogeneità tra i territori è molto elevata. Richiede una discussione
approfondita e trasparente.
Questo ancor più perché, finora, il legislatore nazionale non ha mai provveduto alla definizione dei livelli

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differenziato/