Attualità a cura di Maurizio Donini

Democrazia digitale tra GAFA e GAIA

Chiudere il Parlamento ed usare il web per la democrazia, l’idea lanciata da Davide Casaleggio ha trovato
molti adepti. L’anti-politica fine a sé stessa, i complottisti, gli affascinati dal poter trovare nuovi sbocchi, ne
hanno fatto quasi un mantra; ma è tutto oro quello che luccica? Per rimanere sul tema Casaleggio se il
futuro fosse la piattaforma Rousseau non si saprebbe se esserne divertiti o preoccupati, la lentezza ed i
malfunzionamenti in occasioni di votazioni con un numero di partecipanti corrispondente ad un piccolo
comune della bassa padana è impressionante. Ma il tema non è nuovo nell’ottica casaleggiana, il padre
Gianroberto aveva teorizzato il progetto Gaia, dove un nuovo ordinamento chi mondiale avrebbe garantito
ai cittadini del mondo, non più confinati nei singoli stati, pace e benessere. Ma la domanda immediata che
dovrebbe essere posta è chi dovrebbe governare questa specie di Capitol City uscita direttamente da
Hunger Games?
Già il sistema esistente, la piattaforma Rousseau, che dovrebbe garantire la democrazia totale è quanto di
meno democratico ci sia, non è open source, ma chiuso e controllato dalla Associazione Rousseau che ha
sede alla Casaleggio Associati. L’iscrizione non è libera, ma sottoposta ad una serie di vincoli, la sicurezza è
labile, il 21 dicembre l’Autorità per la protezione dei dati aveva imposto alla piattaforma di risolvere cinque
gravi criticità, al 16 maggio la situazione non era ancora sanata in toto. La relazione tra rappresentanti e
votanti è asimmetrica, il rapporto è tra chi vota e chi è eletto, che può rispondere agli elettori, ma ciò non è
possibile tra gli aderenti. Contrariamente a piattaforme simili come LiquidFeedback, Loomio e
DemocracyOS, utilizzata dal Partito Pirata in Germania, da Podemos in Spagna, o dal Partido de la Red in
Argentina che rendono visibili le scelte di ogni elettore.
Lasciamo perdere Rousseau ed analizziamo la democrazia sul web a livello globale. Il mondo è in mano a 4
aziende che vengono identificate come GAFA (FANGS in inglese), Google+Apple+Facebook+Amazon.
Secondo le analisi di Interbrand occupano 4 dei primi 7 posti nella classifica mondiale dei marchi più
influenti, cresciuti in maniera esponenziale nella totale assenza, se non acquiescenza, dei governi. I governi
hanno elargito generose tax ruling per attirarle sui propri territori, le varie authority hanno chiuso gli occhi
mentre si espandevano monopolizzando il proprio segmento, Facebook ha acquistato Instagram e
Whatsapp senza che nessuna agenzia sollevasse particolari obiezioni.
La democrazia 2.0 pare più una oligarchia ristretta ad una serie di poteri forti che la usano per influenza e
gestire. Il web democratico vagheggiato da Tim Berners-Lee è ben lontano dalla realtà attuale, uno dei
pilastri fondamentali, la Net Neutrality, è stato abbattuto dall’amministrazione Trump. Lo scorso 14
dicembre la Federal Communications Commission ha concesso il via libera al web a due velocità,
consentendo agli operatori di offrire un servizio più veloce alle aziende che pagano, o che pagano di più. I
provider potranno veicolare prioritariamente i contenuti che vorranno e dare velocità diverse a seconda di
quanto vogliono mostrare e di quanto gli utenti vorranno e potranno pagare, si va verso un web veloce per
i ricchi e lento per gli altri, e con contenuti mirati.
Sulla nascita del social più importante a livello mondiale, Facebook, gravano parecchie ombre, a partire dai
10 milioni di dollari elargiti dal mecenate Peter Thiel, al terzo socio, la In-Q-Tel, azienda sussidiaria della CIA
per gli investimenti in società informatiche (fra le altre promuove Google Earth). La In-Q-Tel ha finanziato
Facebook con la mirabolante cifra di 27 milioni di dollari. In un suo documento si legge che “La sorveglianza
dei social network acquista per i governi sempre più importanza quando si tratta di tenere sott’occhio i
movimenti politici nascenti”.
MAURIZIO DONINI