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Infolampo: Sanità, Preconcetti

Sanità, è fuga dal Sud
Non è in sofferenza solo il sistema sanitario nazionale nel suo complesso ma anche i singoli sistemi
regionali registrano sempre più rilevanti differenze rispetto alla garanzia dei livelli essenziali di
assistenza
di Giorgio Frasca Polara
Dalle regioni meridionali c’è una fuga impressionante al Nord di pazienti che non riescono ad accedere
alle cure di cui hanno bisogno nei territori in cui vivono. Queste disuguaglianze, anche in materia
sanitaria, tra le regioni settentrionali e quelle del Sud sono messe in evidenza da un recente rapporto della
Fondazione Gimbe sulla mobilità sanitaria interregionale. Questo rapporto, mettendo a confronto l’indice
di attrazione e quello di fuga, fornisce un quadro sia
dell’efficacia e sia dell’efficienza di ciascun servizio
sanitario regionale. Da un punto di vista economico, la
cosiddetta mobilità attiva, cioè l’indice di attrazione di una
regione (identificando le prestazioni sanitarie offerte a
cittadini non residenti) rappresenta per le regioni una voce
di credito, mentre la mobilità passiva rappresenta una voce
di debito. E’ la conferma di quanto aveva denunciato nella
passata legislatura la commissione sanità del Senato a
conclusione dell’indagine conoscitiva sul sistema sanitario
nazionale: nel suo complesso esso non solo è in sofferenza
ma i singoli sistemi regionali registrano rilevanti differenze
rispetto alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza
(Lea).
Ed ecco allora le cifre del saldo calcolato dalla Fondazione,
e in base al quale si deduce che le regioni possono essere
suddivise in quattro categorie. Quattro di esse mostrano un
saldo positivo rilevante, ben oltre i cento milioni: Lombardia (+808,7 milioni di euro), Emilia Romagna
(+357,9), Veneto (+161,4) e Toscana (+148,3). In sostanziale equilibrio o saldo comunque positivo,
inferiore a 20 milioni di euro, sono altre tre regioni: Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia. Un moderato
saldo negativo, inferiore a 6 milioni, si registra in Basilicata, Liguria, Piemonte, Marche, Sardegna e
Abruzzo. Infine altre cinque mostrano un saldo negativo rilevante: dalla Calabria (-319,5 milioni) alla
Campania (-302,1), dal Lazio (-289,9) alla Sicilia (-239,8), alla Puglia (-181 milioni di euro).
Ora la legge determina annualmente il fabbisogno sanitario, nazionale standard, cioè il livello
complessivo delle risorse del Servizio sanitario nazionale al cui finanziamento concorre lo Stato. Com’è
determinato questo fabbisogno? Oltre che dal quadro macroeconomico e dal rispetto dei vincoli di finanza
pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, anche dalle necessità derivanti dalla
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L’Italia delle paure. Gli immigrati tra preconcetti e realtà
Nella seconda metà di ottobre sono stati pubblicati, a distanza di pochi giorni, ben due rapporti nazionali
sull’immigrazione: il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone
Moressa e il Dossier Statistico sull’Immigrazione del Centro Studi e Ricerche IDOS. Entrambi gli studi
evidenziano la profonda discrepanza tra la percezione del fenomeno migratorio da parte dell’opinione
pubblica italiana e la situazione reale.
Scritto da: Marilena Giannetti
Secondo i dati forniti dall’Eurobarometro 2017, il 33% degli italiani pone l’immigrazione al secondo
posto tra i problemi più importanti, preceduta soltanto dalla disoccupazione. Sempre secondo
l’Eurobarometro, l’Italia è il paese europeo dove la distanza tra la percezione e la realtà in tema di
immigrazione è più significativa. Infatti, gli italiani credono, in media, che gli immigrati siano il 27%
della popolazione, quando invece al 1 gennaio 2018 nel nostro paese sono 5.144.440 i residenti stranieri
cioè solo l’8,5% di tutta la popolazione residente (dato più o meno costante negli ultimi 4 anni). Di questi,
3.714.934 sono cittadini non comunitari. Sempre al 1 gennaio 2018, sono solo 180.000 i richiedenti asilo,
cioè meno dello 0,3% di tutta la popolazione.
Questi non sono semplici numeri. Sono dati che servono per riflettere sulla mancanza di elementi a
sostegno della paura di “invasione” molto diffusa in Italia e più in generale in Europa. Tale paura è frutto
non solo di ignoranza, ossia di non conoscenza di dati reali, ma anche della percezione distorta del
fenomeno, alimentata dall’uso che di tali insicurezze si è fatto nelle recenti campagne elettorali
Uno studio dell’Istituto Cattaneo (Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione, 2018), fornisce utili
informazioni sulla distorsione della percezione, in 15 nazioni europee mettendo in evidenza la relazione
strettamente positiva fra l’indice NIM (ossia l’indice elaborato dal Pew Research Center, che misura il
grado di sentimento Nazionalista, anti-Immigrati e contrario alle Minoranze religiose della popolazione
esaminata) e l’errore di percezione rispetto alla realtà (ottenuto dalla differenza tra percentuale di
presenza di stranieri percepita nel proprio paese e la percentuale reale). Com’è possibile vedere nella
figura 1 tanto maggiore è l’indice NIM (che varia tra 0 e 10, aumentando al crescere del sentimento di
ostilità verso gli immigrati e le minoranze religiose), tanto maggiore è l’errore nella percezione della
presenza di immigrati nel proprio paese.
L’Italia, tra i 15 paesi considerati, presenta il valore più elevato di “errore di percezione” e il maggior
livello di ostilità verso l’immigrazione e le minoranze religiose. Anche la relazione della Commissione
parlamentare “Jo Cox” sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio presentata nel
luglio 2017, sottolinea come, a causa anche di una cattiva informazione, nella popolazione italiana è
diffusa l’idea che gli immigrati siano la causa del degrado ambientale o peggio ancora dell’aumento della
criminalità. Secondo la maggioranza della popolazione (56,4%) “un quartiere si degrada quando ci sono
molti immigrati” e “l’aumento degli immigrati favorisce il diffondersi del terrorismo e della criminalità”
(52,6%).
In realtà, la crescita della presenza di immigrati in Italia negli ultimi 25 anni – da meno di un milione di
stranieri residenti in Italia nel 1992 a 5 milioni nel 2017- si è accompagnata ad una diminuzione della
criminalità: gli omicidi volontari sono passati da circa 1700 all’anno a “soli” 380. Ed è diminuita la
microcriminalità (furti e rapine): nello stesso periodo l’indice di microcriminalità è sceso da circa 29mila
a circa 20 mila per milione di abitanti. Secondo gli ultimi dati del Viminale, il 2017 ha visto un calo del
9,2% dell’insieme di tutti i delitti in Italia rispetto al 2016. Proprio l’anno in cui le richieste d’asilo hanno
raggiunto il numero più alto di sempre, 130mila circa (tale dato è calato di circa il 90% nei primi 9 mesi
del 2018 passando ad appena 21mila, in seguito all’accordo firmato nel 2017 dal governo italiano con la
Libia).
Un ulteriore ambito in cui la disinformazione contribuisce a creare molte tensioni tra autoctoni e stranieri
è l’economia. Non stupisce più sentir dire che gli stranieri “vengono in Italia a rubarci il lavoro” o che
“sono un aggravio per le casse dello stato perché pesano sul sistema sanitario e assistenziale”. E’ bene far
chiarezza anche su questi aspetti.
Come evidenziato nel rapporto dell’IDOS, la grande maggioranza dei lavori svolti dagli stranieri sono
poco qualificati e poco retribuiti. Nel 2017 la forza lavoro straniera occupata in Italia era poco più di
2.400mila unità, circa il 10% del totale degli occupati. Di questi, i 2/3 svolgono lavori poco qualificati e
poco remunerati. Sono impiegati come collaboratrici domestiche e badanti (il 71% di queste figure è
straniero), venditori ambulanti (più del 50%) facchini, camerieri o addetti alle pulizie in alberghi e
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