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Infolampo: Voucher – Pensioni

«No ai voucher»: riparte la protesta
Conferenza stampa a Roma di Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil per illustrare la mobilitazione nazionale del
24-26 luglio. “Nel nostro settore i ticket esistono già”, spiega la segretaria generale Ivana Galli: “Si
punta a deregolamentare il lavoro agricolo”
Un capitolo archiviato, almeno così lo consideravano i sindacati, vista l’abolizione attuata dal governo
Gentiloni con un decreto legge del marzo 2017. E invece no: il nuovo esecutivo vuole reintrodurre i
voucher. Riparte allora la mobilitazione, in prima fila i
lavoratori dell’agricoltura. Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil
tengono oggi (lunedì 23 luglio) a Roma una conferenza
stampa (appuntamento alle ore 12,30 presso la sede della
Uila, in via Savoia 80) nella quale illustreranno i dettagli
della mobilitazione nazionale, in programma da martedì
24 a giovedì 26 luglio in occasione della discussione in
Parlamento del cosiddetto “decreto dignità”, contro la
reintroduzione dei buoni lavoro.
“I voucher in agricoltura esistono già e sono disciplinati
con limiti ben definiti”, spiegano i segretari generali di
Flai (Ivana Galli), Fai (Onofrio Rota) e Uila (Stefano
Mantegazza): “Abbiamo deciso di mobilitarci e presidiare
la Camera, nei giorni di discussione del decreto, per
impedire che si torni a un sistema penalizzante per i
lavoratori, la legalità e la tracciabilità”. Per Galli, Rota e
Mantegazza “è inaccettabile pensare di ridurre la
precarietà con norme ad hoc sul lavoro a tempo
determinato e sul lavoro somministrato e, contemporaneamente, ampliare l’utilizzo dei voucher rispetto a
quanto già previsto dalla normativa, in un settore nel quale il 90 per cento dell’occupazione è stagionale e
a chiamata”.
I voucher in agricoltura, ricordano i sindacati, sono già disciplinati dalla legge 96/2017, che individua le
aziende che possono utilizzarli e i prestatori d’opera che possono fruirne, indicando gli importi orari e le
modalità con cui agricoltori e imprese possono accendere questo rapporto di lavoro a chiamata. “Da
quando la legge ha introdotto trasparenza, attraverso un sistema telematico di gestione, l’utilizzo dei
voucher è sceso in maniera drastica e, guarda caso, sono aumentate le giornate di lavoro dipendente
retribuite regolarmente dalle aziende”, concludono Flai, Fai e Uila: “Non siamo disponibili a tornare
indietro, a quando i voucher venivano utilizzati da troppe aziende come salvacondotto da mostrare in caso
di ispezioni in azienda”.
Ivana Galli, segretario generale della Flai, insiste sulla “inutilità” della reintroduzione. “In agricoltura i
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Il Manifesto degli scienziati
razzisti, l’alibi della scienza per le
leggi razziali

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http://temi.repubblica.it/micromeg
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La favola brutta della Fornero immutabile e
dell’invasione
Non è vero che non si può abbassare l’età pensionabile a 64 anni. Costa 9 e non 18 miliardi. Molti
interventi ridurrebbero la precarietà delle nostre vite. E senza mettere in contrapposizione ex giovani e
anziani o lavoratori stranieri con italiani. Dagli stranieri 5 miliardi annui di saldo attivo.
di Felice Roberto Pizzuti
Il dibattito economico e politico riporta l’attenzione sulla previdenza, sui suoi bilanci e sulle connessioni
con le tendenze demografiche e i flussi migratori.
Poiché il compito dei sistemi pensionistici è trasferire agli anziani parte del reddito prodotto dagli attivi, è
normale che l’aumento del rapporto numerico tra i primi e i secondi connesso all’invecchiamento della
popolazione faccia crescere l’onerosità di questo trasferimento. Lo stesso accade se la quota di
popolazione occupata e la produttività diminuiscono. Il fatto è che nell’ultimo quarto di secolo,
specialmente in Italia, le politiche economico-sociali improntate alla piena libertà dei mercati e
all’austerità dei conti pubblici hanno contribuito a tenere bassi sia il tasso di occupazione sia la dinamica
della produttività.
Per quanto riguarda le tendenze demografiche, le nascite degli italiani, che negli anni Sessanta avevano
superato il milione annuo, attualmente sono scese fino a meno della metà. Questo forte calo è stato
parzialmente attenuato dal flusso degli immigrati che, peraltro, non è tra i più elevati in Europa: in base
agli ultimi dati Eurostat riferiti al gennaio 2016, l’incidenza della popolazione straniera su quella totale è
dell’8,3% in Italia, del 10,5% in Germania, del 9,5% in Spagna, dell’8,6% in Gran Bretagna e del 6,6% in
Francia.
Fino al 2014, l’ingresso di stranieri è riuscito a impedire la decrescita della nostra popolazione, ma
successivamente è iniziato il declino dei residenti, alimentato anche dalla ripresa delle nostre emigrazioni
che includono molti giovani laureati. Il complessivo calo demografico contribuisce ad accentuare
l’aumento del rapporto tra anziani e occupati e riduce le potenzialità della crescita economica. Le
prospettive sono ulteriormente appesantite dal fatto che le previsioni economiche e previdenziali, finora
basate sull’attesa – tra il 2015 e il 2020 – di un flusso annuo di immigrati oscillante tra i 270.000 e i
240.000, dovranno essere riviste in peggio se diventeranno permanenti le nuove barriere all’entrata che
vanno affermandosi anche nel nostro Paese.
L’offerta di lavoro degli stranieri entra poco in concorrenza con quella degli italiani poiché corrisponde a
mansioni, specialmente nei servizi, per le quali c’è poca disponibilità nella nostra popolazione attiva. Il
calo degli immigrati potrebbe lasciare scoperte quelle funzioni con conseguenze negative sia per il
sistema produttivo sia per le esigenze domestico-assistenziali delle nostre famiglie.
Effetti negativi sulla finanza pubblica e sulla qualità degli equilibri nel mercato del lavoro possono invece
derivare dall’impiego irregolare dei lavoratori stranieri: per il venir meno dei contributi sociali e per il
rischio che si diffondano un più generale degrado delle condizioni lavorative e un peggioramento delle
relazioni contrattuali. Per contrastare questi rischi che interessano l’intero sistema economico-sociale, si
rende necessario un forte e lungimirante impegno non solo da parte delle organizzazioni delle forze
produttive, ma anche e soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche tramite incentivi, regolamentazioni
e controlli.
Sul piano specifico degli equilibri previdenziali, va tenuto presente che gli immigrati (regolarizzati) al
momento versano contributi ben superiori alle prestazioni ricevute e il saldo netto positivo, intorno ai
cinque miliardi di euro annui, è utilizzato per finanziare le pensioni degli italiani.
Data la loro composizione per età, che si concentra nella fascia lavorativa, gli immigrati pensionati
attualmente sono pochissimi e se quelli attivi rimarranno nel nostro Paese fino all’età della pensione, in
base alle regole vigenti, la riceveranno solo se riusciranno ad accumulare contributi lavorativi per almeno
20 anni e per un ammontare complessivo sufficiente a maturare una prestazione pari ad almeno 1,5 volte
l’assegno sociale.
Oltre a quella tra lavoratori italiani e immigrati, un’altra falsa e deleteria contrapposizione costantemente
riproposta nel dibattito economico e politico è quella tra giovani e anziani, fondata sull’idea che le
pensioni ricevute dai primi sarebbero un ostacolo alle prospettive di vita dei secondi. Questo contrasto
d’interessi sarebbe evidenziato dagli squilibri finanziari attribuiti al sistema pensionistico e dai costi che
richiederebbero alcune modifiche proposte per migliorare il suo attuale assetto. Questa contrapposizione
Leggi tutto: http://sbilanciamoci.info/ununica-favola-brutta-della-fornero-immutabile-e-dellinvasione/