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Infolampo: Condono – Musica

Si chiama pace fiscale, si legge condono
Il progetto delineato nel contratto di governo ha un altro nome, ma la finalità è quella: le prime
anticipazioni sulle politiche del nuovo esecutivo riguardano uno sconto ai disonesti che, come sempre
accade, è un incentivo all’evasione futura
di Cristian Perniciano, responsabile delle Politiche fiscali della Cgil nazionale
La rottamazione delle cartelle prevista nelle ultime due leggi di bilancio l’abbiamo definita “una sorta di
condono”. Una sorta, perché non tagliava il debito in sé, ma solo le sanzioni. Non era quindi tecnicamente
un vero e proprio condono, anche se favoriva comunque i ritardatari
e i procrastinatori rispetto a chi aveva invece sistemato le proprie
pendenze in tempi brevi. Il progetto di “pace fiscale” delineata dal
contratto di governo, e che sembra uno dei primi passi che si
avvierà a svolgere il nuovo esecutivo, è invece un condono fatto nel
modo più palese, salvo usare un nome che sia il più lontano
possibile proprio dalla parola “condono”, che mal si coniuga con la
tanto decantata onestà. Non manca anzi l’esplicita esclusione di
“ogni finalità condonistica”. Tuttavia, non essendo appassionati di
filosofia medievale, non crediamo sia utile soffermarsi su una
moderna quaestio de universalibus.
Troviamo più interessante chiederci quali siano i calcoli che portano
a stimare gli incassi di una riduzione delle cartelle al 6% o al 25%
del dovuto rispettivamente a 13 o a 60 miliardi di euro. Abbiamo
più volte analizzato il magazzino Equitalia come descritto dal
direttore Ruffini. Nell’aprile 2017 la quota di crediti definiti
recuperabili ammontava a circa 52 miliardi di euro. Le stime di
questa pace fiscale invece sembrano puntare ad aggredire,
condonandola, una platea di circa 240 miliardi di euro, sperando
quindi di riscuotere quei crediti (circa 400 miliardi, da dati Equitalia) per cui l’agenzia ha già messo in
atto in questi anni, senza risultati, azioni di recupero esecutive e/o cautelari; o crediti riferiti a posizioni
non lavorabili per gli interventi degli ultimi governi, che hanno limitato le azioni del riscossore pubblico.
Per cui le ipotesi sono due: o il professor Conte ha intenzione di togliere alcune limitazioni sui debiti con
l’erario (per esempio, l’impignorabilità della prima casa), o auspica che chi non ha mai pagato nulla ed è
già certo di poter farla franca, in un afflato di onestà, aderisca alla pace fiscale per il bene del Paese. In
ogni caso, crediamo che le stime riportate dalla stampa siano assolutamente inverosimili. E pensiamo
inoltre che sia abbastanza grave che i primi rumor sulle politiche fiscali del futuro governo riguardino
(oltre alla flat tax “a due aliquote” che merita una trattazione a parte) uno sconto agli evasori, che, come
ogni volta, non è altro che un incentivo a evasione futura. Speriamo che l’onestà torni davvero di moda.
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Cgil Marche sulla morte del
giovane afgano

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Nella musica italiana le donne e gli uomini non sono
uguali
In Italia la parità tra uomini e donne è un miraggio. Dall’economia alla cultura, le cifre sono impietose.
Le donne che guidano i consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa sono solo il 33,5 per
cento, dice l’Istat. In media una lavoratrice ha un salario inferiore a quello di un collega: per cento euro
guadagnati dagli uomini, le donne ne guadagnano 66,6.
di Giovanni Ansaldo, giornalista di Internazionale
In parlamento le cose vanno leggermente meglio: le elette dopo il 4 marzo sono il 35 per cento, la
percentuale più alta nella storia della repubblica. Spostandosi nel mondo della cultura, la situazione però è
sconsolante. Solo dieci scrittrici hanno vinto lo Strega nei settant’anni di storia del premio. L’ultima è
stata Margaret Mazzantini, nel 2003, quindici anni fa. Quest’anno – evento raro – le donne sono la metà
sulle dodici candidature che andranno a comporre la cinquina finalista.
Il mondo della musica non fa eccezione. All’ultimo festival di Sanremo, per fare un esempio, in gara nella
categoria Campioni c’erano solo quattro donne su venti concorrenti (un po’ meglio nella sezione Nuove
proposte, con tre donne su otto).
Secondo una ricerca del Nuovoimaie, l’istituto che gestisce i diritti connessi (come per esempio i diritti
che spettano agli esecutori dei brani o quelli per i pezzi che finiscono nelle colonne sonore) in Italia le
interpreti sono l’8,7 per cento. La stessa percentuale di settant’anni fa. Dal 1984, da quando, cioè, si
assegnano le targhe Tenco per il miglior album, considerate uno dei premi più prestigiosi della musica
italiana, solo una volta ha vinto una donna: Carmen Consoli, nel 2010. E ancora: tra i primi venti posti
nella classifica degli album più venduti in Italia nel 2017 ci sono solo due nomi femminili: Mina (in duo
con Adriano Celentano) e Cristina D’Avena.
Se guardiamo al mondo dello streaming, il panorama è identico. Osserviamo due classifiche settimanali,
in due periodi diversi dell’anno: in quella dei primi sette giorni di marzo, tra i venti brani più ascoltati su
Spotify c’è solo una donna, Elettra Lamborghini. Nella settimana compresa tra il 18 e il 25 maggio,
invece, figurano solo due nomi femminili: Francesca Michielin, in un brano di Carl Brave, e Dua Lipa.
La principale fonte di guadagno per l’industria musicale però non sono gli album o lo streaming (che ha
comunque un peso crescente, visto che genera il 38,4 per cento dei ricavi). La maggior parte dei soldi gira
attorno ai concerti e ai festival. E che spazio hanno le donne nella musica dal vivo? Poco, anche in questo
caso, a giudicare dalla programmazione dei principali festival italiani: Rock in Roma, Miami, Ypsigrock,
Club to Club (l’ultima edizione, novembre 2017), Lucca Summer Festival, Pistoia Blues, Umbria Jazz e
Ferrara Sotto Le Stelle. Le manifestazioni sono state scelte in base a tre criteri: bacino di utenza,
collocazione geografica e longevità (almeno cinque anni di attività alle spalle).
Leggendo i nomi in cartellone di questi festival, si nota che in media le donne (o i gruppi in cui almeno
una donna è tra i componenti principali) sono poco meno di un quinto degli artisti in programma, il 19 per
cento. Tutti gli altri (l’81 per cento) sono uomini. E questa è la media, perché guardando i casi singoli la
situazione è perfino peggiore.
I più virtuosi sono l’Ypsigrock di Castelbuono, in Sicilia, (con il 33 per cento di presenze femminili), il
Miami a Milano (25 per cento) e Ferrara Sotto Le Stelle (25 per cento). Gli esempi più negativi invece
sono quelli del Lucca Summer Festival (11 per cento) e soprattutto del Rock in Roma, il più importante
evento della capitale, che quest’anno non ha neanche un’artista nel suo cartellone principale. Per trovare
delle musiciste bisogna guardare alle band che accompagnano i solisti, come quella di Roger Waters o di
Caparezza, di Mannarino o di Macklemore.
Quindi anche nei casi più virtuosi la parità è un miraggio. Ma c’è una piccola consolazione: confrontando
i dati con quelli di cinque anni fa, nel complesso è stato fatto un passo avanti. Nel 2013 la percentuale di
donne presenti in questi otto festival era ferma al 15 per cento. Alcuni sono migliorati. Il Club To Club è
passato dal 5 al 21 per cento (addirittura al 26 per cento, se si tiene conto dell’edizione estiva del festival
torinese, il Viva!) ed è andato oltre, dando spazio in questi anni a diversi artisti transgender, il Pistoia
Blues ha raddoppiato, salendo dal 7 al 14 per cento. Altri sono decisamente peggiorati: Ferrara Sotto Le
Stelle è sceso dal 44 per cento all’attuale 25 per cento, il Rock in Roma nel 2013 era al 5 per cento.
“La musica è maschilista”
Da dove nasce il problema? Le artiste sono poche oppure i festival le ignorano? Cosa ne pensano le
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