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Infolampo: inclusione – impeachement

Il sindacato tra inclusione e contrattazione
Per uscire dall’astrattezza è necessario tornare nel campo delle trasformazioni reali nel mondo del
lavoro, riconoscendo alle nuove figure voce autonoma e diversità. Il tema è come si può tradurre questo
approccio nelle scelte organizzative
di Giuliano Guietti
Da tempo la Cgil si pone l’obiettivo di sviluppare una contrattazione “inclusiva”, intendendo per tale una
contrattazione collettiva che riguardi quelle aree sempre più vaste di lavoratori che normalmente non
rientrano nel suo campo di applicazione o restano ai margini di essa. Anche la prima fase di discussione
in vista del XVIII congresso mette al centro questo tema e lo
fa a partire dal documento che ne costituisce la traccia. Il
quale, mentre riafferma l’obiettivo di estendere questo tipo di
contrattazione, riconosce però la debolezza dei risultati fin qui
raggiunti su questo terreno, sul quale “abbiamo registrato i
nostri limiti, le nostre pigrizie”. In effetti una sostanziale
divaricazione tra obiettivi enunciati e risultati raggiunti in
questo campo è un dato di fatto.
Ovvio che il carattere inclusivo della contrattazione collettiva
dovrebbe riguardare in qualche misura tutti gli ambiti nei
quali essa si esercita, ma in particolare dovrebbe trovare
espressione attraverso due forme specifiche, spesso
richiamate nei documenti e nella discussione: la
contrattazione di filiera e quella di sito.
L’ultima conferenza nazionale d’organizzazione svolta nel
settembre 2015 è giunta fino ad indicare, nel proprio documento conclusivo, un preciso e dettagliato
modus operandi di tale tipo di contrattazione, di cui si concludeva per indicare un soggetto protagonista:
“il/la delegato/a di filiera deve rappresentare il naturale raccordo di una politica confederale che ha
bisogno di essere esercitata per governare il complesso processo di coordinamento tra le categorie ed il
punto di sintesi di istanze non direttamente contrattuali, ma altrettanto importanti per il rapporto tra
impresa–lavoratori–territorio.”
Tuttavia bisogna prendere atto che queste indicazioni hanno trovato molta difficoltà ad essere attuate.
Non solo il delegato di sito e filiera è rimasto sulla carta, ma anche i casi concretamente realizzati di
contrattazione di questo tipo restano assai limitati nel numero e nell’ampiezza dei temi trattati. In
particolare, restano molto rari gli accordi in qualche modo riconducibili ad una contrattazione di filiera:
quei pochi casi sono quasi sempre legati ad un particolare interesse aziendale a promuovere un
lungimirante processo di qualificazione della propria catena di fornitura, che viene ritenuta strategica per
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Sicurezza: diritto fondamentale

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Impeachment, come funziona l’articolo 90 della
Costituzione
Ecco cosa dice la legge per la messa sotto accusa del presidente della Repubblica per alto
tradimento e attentato alla Carta.
Dopo essere stata evocata a fasi alterne nella storia storia repubblicana, il naufragio del
governo Conte ha fatto tornare nel vocabolario della politica italiana, come spesso accade
in momenti di crisi istituzionali, la parola “impeachment”. Si tratta della messa sotto
accusa del presidente della Repubblica, previsto all’articolo 90 della Costituzione, in caso
di alto tradimento o attentato alla Carta. «Il presidente della Repubblica», recita il
passaggio, «non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne
che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di
accusa dal parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri».
La Costituzione Italiana
In Italia, c’è da dire, il verdetto finale non spetta neanche al parlamento bensì alla Corte
Costituzionale e mai, pur essendo stato più volte evocato – con Giovanni Leone, Francesco
Cossiga e Giorgio Napolitano – ha visto completare il suo complicato percorso. Ecco qual
è:
PRIMA FASE. Viene presentata – sostenuta da tutto il materiale probatorio – una richiesta
di messa in stato d’accusa al presidente della Camera che poi trasmette il materiale a un
Comitato formato dai componenti della giunta per le autorizzazioni a Procedere di Senato
e Camera.
SECONDA FASE. Ove stabilita la legittimità dell’accusa dopo un verdetto votato a
maggioranza, viene presentata una relazione al parlamento riunito in seduta comune.
TERZA FASE. Il ‘dossier’ a questo punto può essere archiviato o posto in votazione
nell’Aula riunita sempre in seduta comune che deciderà sull’autorizzazione a procedere.
QUARTA FASE. Nel caso in cui non siano avanzate richieste di ulteriori indagini, si apre
la discussione sulla competenza parlamentare dei reati imputati. Se la relazione propone la
messa in stato d’accusa, il voto è a scrutinio segreto e la destituzione scatta solo se si
raggiunge la maggioranza assoluta.
QUINTA FASE. La questione passa infine alla Corte Costituzionale che, coadiuvata da
sedici giudici aggregati estratti a sorte, potrà – dopo un vero e proprio processo – emettere
la sentenza inappellabile.

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90-alto-tradimento-mattarella/220520/