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Infolampo: Antifascismo – Donne

Roma. L’antifascismo spiegato ai ragazzi
Alle nove del mattino su via Ardeatina il cielo è grigio, ha appena smesso di piovere. Fuori dal cancello
del Mausoleo delle Fosse Ardeatine un gruppo di anziani aspetta 150 ragazzi. Sono i pensionati della
Cgil che si sono dati appuntamento qui ieri, 23 maggio, con i volontari dell’Anfim, l’associazione dei
familiari dei partigiani, per accompagnare gli studenti delle scuole medie di Fiumicino in uno dei luoghi
simbolo della Resistenza.
La visita alle Fosse Ardeatine è la terza tappa di un lungo percorso che ha accompagnato i ragazzi delle
scuole durante l’anno scolastico. È il Progetto Memoria che lo Spi Cgil porta avanti in tutta Italia ormai
da anni e che sul territorio viene declinato in molteplici
modi. Qui a Roma i pensionati del comprensorio di Spi
Cgil di Roma Centro Ovest e Litoranea hanno lavorato
sodo con studenti e insegnanti per avvicinare al presente
quella storia che a tanti ragazzi sembra lontana e
polverosa.
Quando gli studenti arrivano con i loro minibus colorati è
già festa, con tutta l’energia e l’ottimismo di chi non ha
nemmeno compiuto ancora 14 anni. Si fa merenda, tutti
insieme, prima di entrare. Il sole inizia a fare capolino
dalle nubi grigie e piano piano ci si organizza in piccoli
gruppi. Pronti per una vera e propria visita guidata tra le
tracce di una Storia drammatica che i più anziani hanno il
dovere di raccontare e trasmettere alle nuove generazioni.
Perché non si dimentichi cosa è stato il Fascismo, perché
non si perda traccia di chi ha lottato in nome della libertà e della democrazia, perché non si ripetano più
gli orrori della seconda guerra mondiale, perché bisogna conoscere la nostra storia per essere cittadini
consapevoli e liberi.
C’è tutto questo nelle parole dei familiari delle vittime della Resistenza. Raccontano accalorati e con
passione ciò che è stato l’Eccidio delle Fosse Ardeatine. I ragazzi sono attenti, silenziosi e rispettosi.
Qualcuno fa domande, altri rispondono ai quesiti dei più grandi. Sono preparati. Hanno studiato e
raccontano l’Eccidio, a parole loro.
Ora sono qui, riuniti davanti a quei 335 sacelli allineati, illuminati da una luce fioca. Il colpo d’occhio è di
quelli forti, da brividi, anche per chi al Mausoleo delle Fosse Ardeatine c’è già stato tante volte.
Impossibile non commuoversi. Ci sono i nomi di tutti coloro che sono morti, vittime di una carneficina
senza senso. Ci sono italiani ma anche tedeschi, giovani e meno giovani, monarchici e comunisti, dal
Nord al Sud, operai e professori. “Qui c’è tutta l’Italia, sia geograficamente che politicamente”, racconta
Nicoletta, una delle volontarie dell’Anfim che parla con forza ed energia coinvolgendo i ragazzi in un
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Buon bi-centenario, Karl Marx!

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Perché la Casa internazionale delle donne di Roma è
sotto attacco
“La legge 194 sull’aborto è il risultato di un lungo processo, una battaglia condotta dalle femministe
italiane per anni. Quella legge è un compromesso, come sempre in politica, che sintetizza diverse
posizioni e contiene anche il punto di vista di una larga parte del mondo cattolico italiano”, racconta
Giovanna Olivieri, femminista e storica responsabile di Archivia, un centro di documentazione che
raccoglie 30mila volumi, 35mila foto, 900 manifesti e 600 riviste nazionali e internazionali all’interno
della Casa internazionale delle donne di Roma.
di Annalisa Camilli
Nonostante l’archivio e la Casa siano frequentati ogni anno da migliaia di donne, nella settimana in cui si
celebrano i quarant’anni della legge 194 del 1978, che ha depenalizzato l’aborto in Italia, a Roma
l’amministrazione guidata dalla prima donna sindaco della città ha dichiarato guerra a uno dei luoghi
storici del movimento femminista. Dal 2001 la Casa ha accumulato con il comune un debito di circa
800mila euro di affitto non pagato e ora rischia di chiudere perché il comune vuole riprenderne possesso e
indire un bando di gara per l’assegnazione degli spazi e dei servizi, dopo una mozione presentata il 17
maggio dai consiglieri del Movimento 5 stelle e approvata dall’assemblea capitolina, malgrado una
trattativa avviata per risolvere la situazione.
Olivieri è la memoria storica del centro: una lunga militanza alle spalle cominciata negli anni settanta a
Trento. È scossa dal fatto che l’amministrazione capitolina voglia rimuovere la dimensione storica e
politica di un luogo molto importante per almeno tre generazioni di donne, ma per altro verso è abituata a
non dare nulla per scontato: “Ne ho viste tante. Per esempio la legge 194 è sempre stata sotto attacco: c’è
stato il referendum che ha provato ad abrogarla nel 1981 e poi innumerevoli tentativi di rimetterla in
discussione. Nel 1993 un milione di donne scesero in piazza per difenderla. Non ci stupisce che ora, a
quarant’anni dall’approvazione della legge, i movimenti prolife abbiano di nuovo lanciato un’offensiva
con manifestazioni, manifesti e convegni”.
“Se mi chiedessi di mostrarti quali sono i documenti più importanti della battaglia per la legalizzazione
dell’aborto custoditi dall’archivio”, continua Olivieri, “comincerei dagli atti del processo contro Gigliola
Pierobon, una ragazza veneta finita in carcere a 17 anni nel 1973 per aver abortito e che diede avvio al
movimento per la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza nel nostro paese. La ragazza fu difesa
dall’avvocata Bianca Guidetti Serra, che trasformò il processo in un palcoscenico mediatico e politico.
Migliaia di femministe da tutta Italia andarono in aula a Padova, si volevano costituire parte civile. Inoltre
migliaia di donne si autodenunciarono attraverso una raccolta di firme”.
La socializzazione, l’uscita dall’isolamento e dalla solitudine vissuti da ogni donna che provava ad
abortire, è stata la fase più importante della costruzione della battaglia sulla legalizzazione dell’aborto ed
è andata di pari passo con la nascita dei movimenti femministi italiani: “C’erano donne famose,
importanti che si autodenunciavano, anche se non avevano mai abortito”. I primi gruppi femministi erano
piccoli e disseminati su tutto il territorio nazionale, ma attraverso azioni esemplari come la campagna per
Gigliola Pierobon riuscirono a cambiare la percezione che le donne avevano di sé e a influenzare i
processi politici del paese tra mille difficoltà.
“Vorrei farti vedere gli articoli che documentano il viaggio in Italia di un’avvocata francese che è stata
una delle promotrici della legalizzazione dell’aborto in Francia nel 1974, e anche le foto del digiuno in
piazza di migliaia di donne nel 1974 o gli articoli sul cosiddetto voto nero del senato nel 1976, quando per
gli otto voti del Movimento sociale italiano (Msi) la discussione della legge fu bloccata”, racconta.
E poi c’è il fondo Simonetta Tosi che raccoglie le testimonianze sui viaggi all’estero delle donne italiane
per abortire e i gruppi di self-help delle femministe per diffondere l’uso del diaframma come metodo
contraccettivo. Ma la battaglia sull’aborto è solo un capitolo dell’impegno delle femministe per
l’autodeterminazione: c’è la lotta per il divorzio, quella per la parità salariale, quella contro il sessismo
della lingua, per la riforma del diritto di famiglia e contro la violenza degli uomini sulle donne.
Olivieri spiega che molte ragazze per motivi di studio frequentano ancora oggi l’archivio e la biblioteca
del palazzo dell’ex convento del Buon Pastore, nel cuore di Trastevere, e nel centro hanno la possibilità
non solo di consultare l’archivio sul femminismo, ma anche di parlare direttamente con le protagoniste di
alcune delle battaglie per l’autodeterminazione femminile più importanti degli ultimi cinquant’anni. Per

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