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Infolampo: lavoro – diseguaglianza

La giungla del lavoro senza regole
Le norme ci sono ma non si rispettano. Il risultato dei controlli parla da sé: su 150mila ispezioni,
irregolari due aziende su tre. Lavoro nero e caporalato ma anche evasioni previdenziali ed assicurative.
E poi subappalti, false coop e scarsa prevenzione
di Giorgio Frasca Polara
Inquietanti, seppur prevedibili, i risultati complessivi della vigilanza svolta dal nuovo Ispettorato
nazionale del lavoro che integra Carabinieri, Inps, Inail e il personale della neo Agenzia. In sintesi, dai
controlli svolti l’anno scorso su 155mila accessi, ben
103.498 aziende sono risultate in vario modo irregolari:
come dire che due aziende su tre sono state trovate in
situazioni non conformi alle leggi. Di più e di peggio: in
queste aziende il numero dei lavoratori irregolari (252.659) è
aumentato, rispetto all’anno precedente di ben il 36%,
quando ne erano stati accertati 186.027. Nel complesso, il
maggior numero di lavoratori irregolari è stato trovato dagli
ispettori dell’Agenzia in cinque regioni: Lombardia (10.471),
Campania (8.538), Emilia Romagna (7.965), Piemonte
(7.939), Lazio (7.897) e Puglia (7.287). Nonostante il lieve
calo del numero delle imprese ispezionate (-36mila), l’entità
del recupero dei contributi previdenziali evasi è
sostanzialmente pari a quello del 2016: 1 miliardo e 100,1
milioni.
Gli accertamenti finalizzati al contrasto del lavoro sommerso hanno portato, inoltre, alla individuazione di
48.073 lavoratori in nero, cioè il 19% dei lavoratori irregolari: un lavoratore irregolare su cinque è
totalmente in nero; e ogni due aziende irregolari è stata accertata l’occupazione di un lavoratore in nero.
Di questi 48mila più di tre quarti (38.775) sono stati individuati nell’ambito di iniziative di vigilanza
lavoristica. Una graduatoria per macrosettori ci dice che il numero maggiore di lavoratori non dichiarati è
nel terziario (23.903 in nero), nell’edilizia (5.710), nell’industria, manifatturiero compreso (5.613) e in
agricoltura (3.549). Ma proprio quest’ultima cifra lascia perplessi: con tutta evidenza, soprattutto
nell’agricoltura meridionale dove il lavoro nero è più diffuso (Campania, Puglia e Sicilia) le forze a
disposizione dell’Agenzia non sono ancora tali da consentire una verifica a tappeto della condizioni di
lavoro.
Se poi si scompone il dato delle infrazioni, i risultati sono altrettanto impressionanti. Vigilanza in materia
di lavoro: su 122.240 accessi, il tasso di di irregolarità si attesta al 60%. Vigilanza previdenziale: su
24.291 accessi, 77% di irregolarità. Vigilanza assicurativa: su 13.816 accessi, il tasso di irregolarità è
risultato dell’89% (+ 2 punti rispetto all’anno precedente). Ma, nello specifico, in materia di lavoro e
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Cgil in prima linea contro l’odio
e l’intolleranza

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Le infrastrutture riducono la disuguaglianza
Uno studio Deloitte e Luiss esamina la dotazione per provincia e ne emergono risultati preziosi per le
politiche: in media la disuguaglianza si riduce dove ce ne sono di più, ma quelle più avanzate (credito,
reti telematiche) fanno aumentare le differenze, mettendo in rilievo che c’è un altro fattore fondamentale:
quello dell’istruzione
di Attilio Pasetto
Da molto tempo si parla di rilanciare la crescita attraverso gli investimenti pubblici e privati in
infrastrutture, ma con scarsi risultati. In particolare gli investimenti pubblici in Italia sono costantemente
diminuiti negli ultimi anni, scendendo in rapporto al Pil dal 2,9% nel 2007 al 2,1% nel 2016. Ancora non
è noto il dato del 2017, ma è difficile aspettarsi un risultato significativamente migliore rispetto al 2016.
Nelle ultime leggi di bilancio, compresa quella per il 2018, è stato stanziato un certo ammontare di risorse
destinato alle infrastrutture, che però finora non si è tradotto in investimenti effettivi (vedi mio articolo
“Governi incapaci non fanno crescita”). L’effetto positivo degli investimenti in infrastrutture sulla
crescita è comunque testimoniato da così numerose analisi empiriche che non c’è bisogno di rimarcarlo.
Più recenti studi hanno messo in evidenza l’impatto della dotazione infrastrutturale anche sulla
distribuzione del reddito, sottolineando come una maggiore/migliore dotazione infrastrutturale riduca la
disuguaglianza di reddito. La spiegazione è intuitiva: un miglioramento nelle infrastrutture dovrebbe
conferire maggiori opportunità soprattutto agli strati più poveri della popolazione e alle piccole imprese,
che non hanno accesso ad alternative di vario genere. Scavando però in profondità, l’analisi si arricchisce
ulteriormente, fornendo materia di riflessione per i policy maker. In particolare, un recentissimo studio di
Deloitte e Luiss “Infrastrutture e disuguaglianza: il caso delle province italiane” mette a raffronto la
dotazione infrastrutturale delle province italiane con l’indice di disuguaglianza di Gini delle stesse
province negli anni 2001 e 2015. I dati sulle infrastrutture – suddivisi in dieci componenti, di cui sette
economiche (strade, ferrovie, porti, aeroporti, reti energetiche, reti telefoniche/ambientali, reti
bancarie/servizi alle imprese) e tre sociali (strutture per l’istruzione, strutture culturali e ricreative,
strutture sanitarie), – provengono dall’Istituto Tagliacarne, quelli sulla distribuzione reddituale dal
Ministero dell’Economia attraverso le dichiarazioni dei redditi.
Che cosa emerge? Innanzitutto la mappa delle province italiane si presenta molto disomogenea per quanto
riguarda sia le infrastrutture sia la distribuzione del reddito. In generale, le province del Centro-Nord
stanno meglio per entrambi gli indicatori, ossia hanno una dotazione infrastrutturale maggiore e un minor
grado di disuguaglianza. Tuttavia differenze significative si colgono anche all’interno di ciascuna
macroarea. Inoltre il confronto temporale mostra come, da un lato, la dotazione infrastrutturale non
presenti nel suo insieme grandi cambiamenti dal 2001 al 2015 e come, dall’altro, l’evoluzione dell’indice
di Gini tenda leggermente a migliorare in termini di distribuzione del reddito (minore disuguaglianza) dal
2001 al 2010 per poi peggiorare nei cinque anni successivi. Tali tendenze non sorprendono, in quanto
rispecchiano l’andamento dell’economia e della società italiane negli ultimi quindici anni.
Più interessante è andare a verificare la correlazione tra i due fenomeni. Anche qui il primo risultato
dell’analisi è in linea con le attese: globalmente considerata, la disuguaglianza di reddito diminuisce per
effetto di un miglioramento infrastrutturale della provincia (va sottolineato che le analisi condotte non
lasciano dubbi sul nesso di causalità: sono le infrastrutture ad avere un impatto sulla disuguaglianza e non
viceversa). Meno ovvie altre conclusioni cui giunge la verifica empirica. Suddividendo la dotazione
infrastrutturale nelle sue dieci componenti, si vede infatti come nel loro insieme siano le infrastrutture
economiche a determinare il risultato complessivo, mentre le infrastrutture sociali hanno nel complesso
un effetto opposto sulla disuguaglianza, tendendo ad aumentarla.
Scavando ulteriormente e prendendo una ad una le dieci componenti emergono altre differenziazioni. Tra
le infrastrutture economiche, quelle di trasporto (strade, ferrovie, porti, aeroporti) concorrono tutte e
quattro a far diminuire la disuguaglianza, così come le reti energetico-ambientali, mentre al contrario le
reti telefoniche/telematiche e quelle bancarie tendono a far aumentare le distanze di reddito. Qual è la
spiegazione? Se le infrastrutture più tradizionali, come quelle di trasporto ed energetiche, aprono
maggiori opportunità ai cittadini meno abbienti e alle piccole imprese, per contro le reti tecnologiche e
l’accesso a una vasta gamma di servizi finanziari “premiano” i soggetti più qualificati rispetto a quelli
scarsamente qualificati. A nostro avviso qui si può vedere, dal punto di vista di un osservatorio
infrastrutturale, una spaccatura nel nostro sistema economico e sociale prodotta dalle nuove tecnologie,
con effetti sulle disuguaglianze. La stessa spaccatura può essere determinata dalle differenze culturali.
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